domenica 29 settembre 2013

The Bling Ring - Ti sento


Da mesi si parla di questo nuovo film di Sofia Coppola, The Bling Ring,l a regista di Lost in translation e Somewhere (senza dimenticare ciò che di ottimo ha fatto anche prima) si occupa ancora una volta di adolescenti e ancora una volta centra il bersaglio. In pieno.


Il film si basa su un articolo comparso nel 2010 su Vanity Fair, The suspects wore Louboutin, dove si racconta la storia del gruppo di teenagers conosciuto come "Burglar Bunch" o "Bling Ring", una compagnia di ragazzi di Beverly Hills cresciuti nel mito glamour delle stars di Hollywood nelle cui case si introducevano abusivamente per rubarne i vestiti e gli accessori che li rendevano tanto "cool" ai loro occhi.
Tutto nasce da una ragazzata fatta un po' per caso, ma presto il Burglar Bunch si fa prendere la mano e rubare dalle case incustodite delle star diventa un'abitudine, un modo per passare una serata un po' eccitante. E' ovvio che la faccenda non possa durare a lungo e infatti, grazie alle riprese delle telecamere di videosorveglianza (decisive quelle di Lindsay Lohan, ironicamente il mito assoluto delle protagoniste), dopo qualche tempo la polizia riesce a trovare la giusta pista e ricostruire la vicenda. L'epilogo è inaspettato, pure considerando l'inconsuetudine dei fatti.


Gli interpreti sono tutti giovanissimi e, fatta eccezione per Emma Watson, quasi o del tutto sconosciuti: a questo proposito Sofia Coppola ha dichiarato di aver voluto sfruttare la freschezza di approccio di un'esordiente rispetto al modo più impostato modo di lavorare di un attore già esperto. I risultati sono comunque di ottimo livello: Katie Chang interpreta Rebecca, la leader del gruppo, ossessionata da personaggi come Paris Hilton e Lindsay Lohan. Il modo che trova per entrare a far parte del loro mondo è certamente efficace, anche se moralmente discutibile! Israel Broussard interpreta il giovane Marc, l'unico maschio della gang, completamente succube della personalità di Rebecca. Claire Julien (una particinissima nell'ultimo Batman di Nolan) è la annoiata e caustica Chloe, Emma Watson è Nicki, ragazzina alla disperata ricerca del suo posto nello star system, insieme alla sorella-non-sorella Sam (Taissa Farmiga, sorella nella realtà della più famosa Vera).


Molte delle celebrità derubate dal Bling Ring hanno messo a disposizione della regista le loro abitazioni come location per il set e se quando vedrete il film ve lo chiederete, la risposta è sì: Paris Hilton lasciava davvero la chiave di casa sotto lo zerbino (non lo fa più adesso) e Orlando Bloom è davvero partito per girare un film a New York senza curarsi di controllare se le porte erano tutte chiuse bene.
Insomma a quanto pare a Beverly Hills le star si sentono così sicure da lasciare le proprie case piene zeppe di tesori, facilmente accessibili al primo che abbia voglia di andare a vedere cosa c'è dentro. L'esperienza peraltro può essere davvero sorprendente, come dimostra la casa di Paris Hilton, un vero monumento a sè stessa.
Dal punto di vista autoriale mi pare che la Coppola dia prova di aver raggiunto una grande maturità, sia per quanto riguarda la direzione degli attori, sia - soprattutto - per la tecnica di ripresa (il lentissimo zoom durante l'effrazione in casa di Orlando Bloom è magistrale e le inquadrature apparentemente fuori campo sono ormai un marchio di fabbrica).


La cosa meno sorprendente di tutta la storia sono i protagonisti: non è strano che i ragazzi cerchino di evadere da un mondo che non comprendono e che tutto sommato non li considera, come dimostra il rapporto che hanno con i genitori, ma anche il fatto che per mesi nessuno si renda conto di cosa sta succedendo. 
Quei ragazzi sono così perchè li abbiamo voluti così: ammirano le celebrità e si sentono vivi solo se postano ciò che fanno su Facebook (un'evoluzione 2.0 del detto "se non è passato in TV allora non è mai successo"), del resto i genitori non sono meno fuori di testa dei figli, di cui si interessano solo per finta, senza avere la voglia, o gli strumenti, per passare del tempo con loro, per sapere cosa fanno, chi vedono, dove vanno quando escono. La Coppola ci mostra tutto questo senza emettere un solo giudizio, sarebbe superfluo. Se in Somewhere ci mostrava la redenzione di un attore dal nulla esistenziale in cui si era lasciato scivolare, in The Bling Ring ci mostra come gli spettatori non siano meglio degli interpreti, anzi. Nei personaggi non c'è redenzione, non c'è senso di colpa, non c'è consapevolezza, non c'è - maledettamente - nulla. La rappresentazione è impietosa, quasi documentaristica, di cosa siamo e quale forma stiamo dando al mondo. 
Come direbbero i Matia Bazar: un colpo che fa pieno centro.

The real Bling Ring

2013 - The Bling Ring
Regia, soggetto, sceneggiatura: Sofia Coppola
Scenografia: Anne Ross
Costumi: Stacey Battat
Musiche: Brian Lopatin, Brian Reitzell

martedì 24 settembre 2013

Dior - Lady noire affair - Director's ads


Come promesso proseguiamo nella carrellata dei commercials dedicati alla Lady, l'iconica borsa Dior, con protagonista Marion Cotillard.
Il primo capitolo della serie è Lady Noire, un classico intrigo che vede Marion coinvolta in un intrigo a Parigi, armata di una Lady nera dal contenuto misterioso (e griffatissimo), e con tanto di colpo di scena finale.

Il corto è realizzato da Oliver Dahan, regista di video (suoi alcuni famosi clip per i Cranberries, come Salvation e Animal Instinct), ma anche di cinema (I fiumi di porpora 2 con Jean Reno, ma anche l'atteso Grace di Monaco con Nicole Kidman nei panni di Grace Kelly, in uscita a novembre, mi pare)

Il regista si diverte a fare il verso a Hitchcock, con inquadrature che si stringono sugli occhi, e in cui l'insistere su un semplice particolare riesce a infondere una suspense insostenibile, anche grazie alla sapiente uttilizzo della musica.

Marion è, come sempre, bellissima e si esibisce in rischiose acrobazie come scalare la Tour Eiffel e correre con tacco 12 sull'asfalto bagnato, scena per cui spero abbia chiesto ed ottenuto un cospicuo bonus, o almeno una vantaggiosa assicurazione infortuni!

Il capitolo successivo sarà invece dedicato al colore rosso, ma ne riparleremo la settimana prossima!




2011 - Lady Noire Affair
Prodotto: Lady Dior
Regia: Olivier Dahan
Fotografia: Alex Lamarque

venerdì 20 settembre 2013

Rush - I was made for loving you baby


" Potevi guidare a due centimetri dalle ruote della sua auto ed essere certo 
che non avrebbe mai fatto una cazzata. Era un grande pilota"
(N.Lauda a proposito di J. Hunt: il complimento perfetto)

Nonostante l'apparenza non si può dire che Rush, ultima fatica di Ron Howard, sia un film sulla Formula 1: potrebbero essere pugili, o quarterback, o persino giocatori di poker o di biliardo e il film non cambierebbe di una virgola. Però per raccontare la storia di due modi opposti di concepire la vita, la passione per quello che si fa in un mondo estremo, in cui occorre restare sempre concentrati nonostante il successo, il "circus" della F1 con il suo alto tasso di rischio, glamour e enormi interessi economici è l'ambientazione ideale.


Altrettanto ideali sono i protagonisti: James Hunt (detto The Shunt, lo Schianto, per l'irruenza in gara) e Niki Lauda (detto invece Il Computer, per l'estrema sensibilità nel capire come mettere a punto la macchina). Il film racconta la storia della rivalità fra questi due personaggi che paiono agli antipodi, ma che rappresentano invece l'uno i limiti dell'altro. La sceneggiatura ce li mostra fin dalle serie minori (dove Hunt correva con la scuderia di Lord Hesketh, un personaggio che da solo meriterebbe un film), dove i due  battagliavano senza esclusione di colpi, per poi ritrovarli in Formula 1 rivali diretti nella lotta per il titolo nel campionato 1976.
Lauda subì in quell'anno un gravissimo incidente - ricostruito con cura maniacale - nel quale rischiò di morire bruciato vivo, ma dal quale si riprese in poco più di due mesi, arrivando in vantaggio di un solo punto al Gran Premio del Giappone, ultima gara dell'anno che si svolse sotto una pioggia torrenziale.
La ricostruzione storica delle vicende legate ai due piloti si prende qua e là delle licenze, sempre funzionali però allo sviluppo del discorso che interessa ad Howard, o a rendere più fluente la trama.


Chris Hemsworth ha una notevole somiglianza naturale con James Hunt e ne rende benissimo lo stile personale: uno che brucia al propria candela da due lati, sempre sopra le righe ma con un'ironia tutta inglese che lo rende immediatamente simpatico. Daniel Brühl è superlativo, ci regala un Lauda quasi fotocopia dell'originale (al contrario di quasi tutti gli altri interpreti Brühl  ha potuto beneficiare dell'incontro con Lauda, sia nelle movenze che - pare - nella parlata inglese, che ha impressionato lo stesso Niki). Alexandra Maria Lara (vista in La Caduta con Bruno Ganz e più di recente in The Reader) interpreta Marlene Knaus, la moglie di Lauda, attraverso silenzi significativi e intensi sguardi. Una inedita Olivia Wilde bionda è la moglie di Hunt la modella Suzy Miller. Probabilmente più bella ancora del personaggio che interpreta, è elegantissima nei costumi vintage, accuratamente riscostruiti. Pierfrancesco Favino fa un ottimo lavoro interpretando la parte di Clay Regazzoni, personaggio che avrebbe meritato più spazio se solo si fosse trattato di un film sulla Formula 1 e non focalizzato sul rapporto fra Hunt e Lauda.


La fotografia di Anthony Dod Mantle (collaboratore di lungo corso di Danny Boyle e di molti registi di Dogma 95) dipinge gli anni 70 in modo un tantino "instagrammatico", con immagini molto patinate, in un modo cioè che rappresenta più come a noi piace ricordarci gli anni 70 che non come erano davvero le immagini negli anni 70. Il risultato comunque è molto di effetto. Bellissimi anche i costumi di Julian Day, estremamente curati e indicativi del carattere dei personaggi.
Le riprese in gara a filo dell'asfalto sono molto suggestive, con i fili d'erba che della loro fragilità fanno una forza che resiste anche al passaggio dei bolidi di F1, come piccole oasi al riparo dall'ineluttabilità del destino.


La Formula 1, dicevo, è un pretesto ma anche una metafora molto potente per descrivere chi cerca il limite dove nessun uomo è mai stato prima, ed è questo - dopotutto - che fanno Niki e James, come novelli Ulisse votati alla velocità, al pericolo e ad andare un sempre un passo più in là. Che l'approccio sia meticoloso e scientifico o irruento e divertito, la sostanza non cambia. E' una storia antica ed epica, una storia di uomini veri: tanto, tanto imperfetti e proprio perciò convincenti e trascinanti. Vi terrà incollati allo schermo per due ore piene, circa la durata di un Gran Premio!


2013 - Rush
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Peter Morgan
Musiche: Hans Zimmer
Costumi: Julian Day
Scenografia: Mark Digby

martedì 17 settembre 2013

Dior - Lady Grey London - Director's Ads


Lady Grey London è l'ultimo dei clip realizzati fra il 2010 ed il 2011 dalla Maison Dior per promuovere la borsa Lady, uno dei prodotti più iconici del marchio.
Di Lady Blue Shangai abbiamo già parlato qualche giorno fa, dei primi due capitoli "Black" e "Rouge" ci occuperemo prossimamente.
Lady Grey London, opera del regista ed attore texano John Cameron Mitchell non è solo un commercial molto riuscito, è anche un corto in tre atti di valore artistico assoluto, nel quale le carte dei generi cinematografici vengono mischiate in continuazione.

Il corto si giova dell'ottima prova di Ian McKellen, Russell Tovey (attore televisivo inglese) e di una Marion Cotillard che mai come qui incarna lo spirito della donna Dior: seduttrice e irraggiungibile sì, ma anche sensibile, compassionevole e capace di spingere gli uomini oltre i propri lmiti (cosa si potrebbe chiedere di più a una donna?)

La scena nel camerino, oltre al pregio di rivelare al mondo come si usano le giarrettiere maschili, è sinceramente commovente, ma non vi voglio rovinare il gusto della visione, ribadisco solo che il film è un finale in crescendo per la serie Lady Dior. Non vi tedio oltre, godetevi lo spettacolo!




2011 - Lady Grey London
Prodotto: Lady Dior
Regia: John Cameron Mitchell
Art Director: Robert Lussier
Musica: David Essex

venerdì 13 settembre 2013

Mood indigo - la recensione


La schiuma dei giorni di Boris Vian è un romanzo che ha avuto un enorme successo, dopo la morte dell'autore, probabilmente troppo intelligente, contraddittorio, anarchico e controcorrente per piacere da vivo. Vian è stato maestro nel tratteggiare mondi surreali, bizzarri, poetici e spietati al tempo stesso. Molto difficile rendere in immagini l'opera di un maestro delle parole con la passione per i neologismi immaginifici, ma se c'è qualcuno a cui affiderei il compito è proprio Michel Gondry.


Mood Indigo è un tentativo di tradurre in immagini un universo letterario immaginifico e surreale, dotato di leggi fisiche e morali "solo un po'" diverse dalle nostre, nel quale i personaggi si muovono in modo coerente anche se - ai nostri occhi - bizzarro. La prima parte è tutta dedicata alla descrizione del mondo in cui si muovono i personaggi: la casa di "Colén" è stupenda, ricca di oggetti semianimati, e Omar Sy è spettacolare nella caratterizzazione dell'amico-domestico Nicolas, che si destreggia come un mago fra i lavori di casa, senza disdegnare le lezioni di ballo. Colin vive di una piccola rendita; quando l'amico Chick - un fan del filosofo Jean-Sol Partre - gli rivela di essersi innamorato decide di cercare anch'egli una ragazza di cui innamorarsi e la trova in Chloé (bellissima la sequenza del primo appuntamento con i due che visitano tutta Parigi seduti in una "nuvola" attaccata ad una gru).  I due convolano presto a giuste nozze, ma Chloé si ammala subito: le cresce una ninfea all'interno dei polmoni, che un sapiente dottore (lo stesso Gondry) cercherà di curare con fiori e vietando a Chloé di bere acqua, per negare alla ninfea il suo elemento vitale. Tutto inutile: la malattia degenera, rovinando tutto ciò che la circonda: Colin deve iniziare a lavorare per poter pagare le cure, Nicolas invecchia a vista d'occhio, la casa in cui abitano si rimpicciolisce e prende un aspetto paludoso. Nel frattempo l'amico Chick spende tutti i soldi donatigli da Colin per sposare Alise in opere e gadget di Jean-Sol Partre, al punto che la esasperata ragazza prima uccide il filosofo e poi dà fuoco a tutte le librerie frequentate dal fidanzato, nel disperato tentativo di recuperare la sua attenzione. Riusciranno Colin, Nicolas e Alise a trovare la soluzione per ribaltare gli eventi a loro favore?


Romain Duris (Dobermann, L'appartamento spagnolo, Arsenio Lupin) è Colin come te lo aspetteresti dopo aver letto il libro: lieve, irresponsabile, innamorato. Omar Sy è semplicemente perfetto nel ruolo di Nicolas, l'amico-domestico di Colin che gli tiene insieme la vita, Audrey Tautou sulla carta sembra una scelta azzeccata per il personaggio di Chloé, ma vista in sala non mi ha convinto del tutto: da Il favoloso mondo di Amélie sono passati 12 anni, forse un'attrice più giovane sarebbe stata più coinvolgente. Gad Elmaleh (Train de vie, Una top model nel mio letto, Midnight in Paris) è un magnifico Chick, il fan di Jean-Sol Partre che indossa la stessa montatura di occhiali del suo idolo, di cui colleziona non solo i libri, ma ogni tipo di souvenir, senza probabilmente più chiedersi il significato dei discorsi del filosofo. Aïssa Maïga è Alise, la nipote di Nicolas e fidanzata di Chick che finirà con l'uccidere Partre (un momento molto liberatorio anche per lo spettatore!).
Spettacolare la scenografia di Stéphane Rosenbaum (già con Gondry in L'arte del sogno), un aspetto davvero fondamentale per la riuscita del film. Belli i costumi di Florence Fontaine (anche lei una vecchia conoscenza di Gondry)

 

Il regista per questo film è stato accusato di eccesso di manierismo ai danni del racconto e del coinvolgimento dello spettatore. Personalmente non condivido: ogni scena, ogni singola inquadratura è curata, sorprendente, magica. Gli effetti speciali sono un sapientissimo mix di arte d'altri tempi e grafica computerizzata, il che contribuisce a trasporre efficacemente sullo schermo il mondo, o meglio l'atmosfera del mondo descritto nel libro, senza scadere nella filologia fine a se stessa. Temo che, come il libro, anche il film verrà probabilmente apprezzato postumo, visto che in patria nel primo week end di programmazione raccolse solo 47.000 spettatori. Di fronte al disinteresse di fronte a un prodotto di questa qualità (sia pure con dei limiti), capace di prendere vita e valore al di là del libro da cui è tratto viene da domandarsi se il problema non sia nel pubblico (che pure di solito non sbaglia).


Il tentativo di Gondry a mio avviso è riuscito: nel film c'è tutto quello che si trova nel libro, chiaramente in modo meno approfondito. Probabilmente presuppone un tipo di pubblico che sia in grado di apprezzarne le strizzate d'occhio "culturali", come ad esempio la caricatura di Sartre (che pure all'epoca sostenne con convinzione il romanzo di Vian, dimostrando di essere meno trombone di quello che si crede). Resta comunque un film con scenografie e riprese spettacolari, pieno di gadget divertenti (l'auto trasparente, il campanello-insetto, le scarpe ringhianti) ben scritto, ben recitato e che racconta la storia di un amore assoluto. Mi pare che Gondry abbia fatto assai di più che svolgere un compitino!


2013 - Mood Indigo - La schiuma dei giorni (L'Écume des jours)
Regia: Michel Gondry
Fotografia: Christophe Beaucarne
Production design: Stéphane Rosenbaum
Costumi: Florence Fontaine

martedì 10 settembre 2013

The Runaways - I love rock 'n'roll


C'è più di un motivo per cui è un peccato che un film come The Runaways sia stato impietosamente bocciato al botteghino e, con il vostro permesso, qui vi dirò perchè.

Le The Runaways sono uno dei primi gruppi rock interamente al femminile ed il primo in assoluto nell'hard rock, un territorio tradizionalmente maschile e maschilista (senza polemica, è un fatto).
Si tratta di un gruppo che ha aperto una via, raccogliendo assai meno, in termini economici e di popolarità presso il grande pubblico, dell'influenza che ha esercitato sui gruppi venuti dopo (sicuramente le Go-go's, le Bangles e più tardi le Hole, mentre al di qua dell'oceano in quel periodo stava per spaccare Siouxsie Sioux).


Quattro ragazze fra i sedici ed i diciassette anni si incontrano un po' per destino e un po' grazie ai buoni uffici del produttore Kim Fowley e formano una band davvero sex drugs & rock 'n' roll. Se fossero quattro uomini nessuno ci troverebbe nulla di strano ma da parte di ragazzine si tratta di una "bad attitude"  too hot to handle per le case discografiche. La parabola segue lo schema classico delle star del rock: inizi stentati, primi successi, tournée che causa tensioni all'interno del gruppo, fino al momento in cui l'equilibrio non può essere mantenuto. Ognuna andrà per la sua strada, ma ci sono legami che riemergono nel tempo. Per qualcuno è la naja, per altri una tournée in Giappone!


Kristen Stewart nella parte di Joan Jett, chitarrista e anima della band, dà la sua migliore performance interpretativa di sempre, intensa e convincente nella rappresentazione della passione per la musica. Cherie Currie, definita "la figlia illegittima di Iggy Pop e Brigitte Bardot" è invece interpretata da un'ottima Dakota Fanning, perfetta nel rappresentare un personaggio per un verso carico di rabbia repressa e per l'altro anelante ad una normalità ormai impossibile, rappresentata dal complicato rapporto con la sorella Marie. Michael Shannon è Kim Fowley, l'istrionico e cinico produttore che crea la band e la gestisce come una sua proprietà personale.
Molto riuscita la resa dell'atmosfera della controcultura di Los Angeles negli anni 70, a metà fra business e disagio sociale. Bellissimi i costumi (viene il dubbio che siano ancora quelli originali) e la coreografia dei concerti, ricreata nella pellicola in modo identico alla realtà, vedere per credere.
Bellissima la colonna sonora, in cui la Stewart e la Fanning cantano, più che dignitosamente, i loro pezzi.

The Runaways (quelle finte)

Basato sul libro autobiografico di Cherie Currie, Neon Angel: A Memoir of a Runaway, The Runaways è finora il solo lungometraggio realizzato da Floria Sigismondi, regista specializzata in videoclip musicali. In realtà più che raccontare la storia della band, la pellicola si concentra sul rapporto fra Joan Jett e Cherie Currie. Le altre componenti del gruppo vengono appena tratteggiate, anche se nella realtà hanno avuto un ruolo più importante per caratterizzare la band.
Sia per i temi trattati: femmismo, subculture metropolitane, l'assurdità del conformismo sociale che per le scelte tecniche (il movimento di camera durante lo shooting fotografico nel giardino di casa Currie è una firma inconfondibile e sublime) è a tutti gli effetti una continuazione del percorso artistico della regista attraverso un mezzo espressivo diverso dal solito (il lungometraggio di fiction).

The Runaways (quelle vere!)

Se penso al successo a suo tempo ottenuto da The Doors di Oliver Stone, è proprio ingiusto che il pubblico abbia snobbato The Runaways (ma quanti fra i giovani d'oggi sanno di che si sta parlando?): il film rende perfettamente la rabbia interiore e la voglia di rivolta "a prescindere" di un rocker adolescente e racconta una storia tutto sommato poco nota ma importante, nel suo universo di riferimento, oltre a ricordarci che se oggi qualcosa ci appare scontato, di solito è perchè ci sono stati dei pionieri, o delle pioniere di coraggio che hanno fatto qualcosa che nessuno aveva mai osato fare in precedenza. 

Il rispetto che si sono guadagnate nell'ambiente si spiega da sè in questo video in cui Dave Grohl (Foo Fighters e Nirvana) presenta al suo pubblico Joan Jett. A distanza di quasi quarant'anni sappiamo che ne valeva la pena. Ne vale sempre la pena!

2010 - The Runaways 
Regia e sceneggiatura: Floria Sigismondi
Soggetto: Cherie Currie
Produttore esecutivo: Joan Jett (et al.)
Costumi: Carol Beadle

giovedì 5 settembre 2013

Leonard Cohen - In my secret life - Ceci n'est pas un film


Leonard Cohen è di certo uno degli artisti che più hanno affascinato ed influenzato schiere di ammiratori, e anche se è giunto ormai alla vecchiaia la sua produzione più recente mantiene un altissimo livello (di quanti "over 60" si può dire lo stesso?).
Il video che vi propongo oggi è quello di In my secret life, tratto da un album del 2001: Ten new songs. Il testo è all'altezza del miglior Cohen: solitudine, depressione e un filo di humour, anche se a detta di alcuni conterrebbe un secondo livello di lettura legato alla kabbalah.


Il video è opera di un'artista di grande talento: Floria Sgismondi. Personaggio molto interessante, nata in Italia ma emigrata ancora bambina in Canada; specializzata in videoarte e molto apprezzata come videomaker dagli artisti più vari: David Bowie, Tricky, P!nk, Christina Aguilera, Katy Perry, Fiona Apple e moltissimi altri. A quanto pare se non ti sei fatto fare un video dalla Sigismondi, probabilmente significa che nell'empireo del pop non sei nessuno.

Scherzi a parte, il video è abbastanza tipico dell'universo creativo della Sigismondi; vi si descrive un mondo popolato da strani esseri dalla testa enorme, impegnati in una assurda routine. Molto di impatto la location, cioè l'edificio Habitat 67 di Montréal, che conferisce al video una atmosfera da espressionismo tedesco anni 20 molto azzeccata.
Da notare il fatto che nel video Cohen si sposta su una Citroën DS, auto che mi è particolarmente cara, come i lettori più affezionati ormai sanno bene.
Della Sigismondi riparleremo presto, visto che oltre a decine di video musicali si è cimentata anche in alcune pubblicità ed in un interessante biopic sulle The Runaway.


2001 - In my secret life
Artista: Leonard Cohen
Regia: Floria Sigismondi
Album: Ten new songs (2001)

martedì 3 settembre 2013

Dior - Lady Blue Shangai - Director's Ads


Che il solo grande schermo non sia sufficiente a contenere l'arte di David Lynch non fa notizia: regista di lungometraggi, cortometraggi, video musicali oltre che musicista e cantante, oggi ve lo propongo come una sorta di "one man band" (suoi regia, montaggio e musiche) creatore di un lungo commercial girato in digitale e dedicato alla Lady Dior, uno dei prodotti più iconici della Maison francese. Protagonista: nientemeno che mademoiselle Marion Cotillard.
Secondo le migliori tradizioni di Lynch la trama tratteggia una storia a cavallo tra due mondi, tra due epoche legate solo dai ricordi di Marion, da una Lady Dior blu e da una rosa.
Realtà, immaginazione, psicanalisi, sogno, reincarnazione: chi può dire esattamente quali componenti entrino a far parte di ciò che vediamo sullo schermo: l'unica certezza è una storia d'amore che oltrepassa i confini del tempo e della mente.
L'ambientazione in un albergo di Shangai rende omaggio in qualche modo al tipo di atmosfera descritto da Sofia Coppola in Lost in Translation, l'amore fra un cinese ed una occidentale invece mi ha ricordato L'amante di Annaud. Nello stesso periodo in cui è stato girato il commercial, la Cotillard era impegnata con le riprese di Inception: chissà se qualcuno le ha mai chiesto se le due performance si sono influenzate fra loro?



2010 - Lady Blue Shangai
Prodotto: Lady Dior
Regia, Montaggio, Musica: David Lynch
Fotografia: Justyn Field