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lunedì 21 gennaio 2013

Cloud atlas - la musica dell'anima


A proposito di Cloud Atlas ci eravamo lasciati qualche tempo fa con un interrogativo: non si tratterà mica di una "incoerente vaccata"?  Devo ammettere che all'ingresso in sala (brulicante di pubblico, non sarà che la crisi del box office è dovuta alla carenza di titoli accattivanti?) la mia vocina interiore mi suggeriva il dubbio di aver comprato un biglietto per tre ore di delirio senza capo nè coda, e invece (bisogna essere pronti a ricredersi da quello che suggerisce la vocina interiore) dallo spegnersi al riaccendersi della luce non ho mai sentito la voglia di essere da un'altra parte, immerso in una storia frammentata ma coerente.

Susan Sarandon

Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo Cloud Atlas dello scrittore inglese David Mitchell, opera divisa in sei capitoli ambientati in epoche diverse, per riassumere diciamo che è un'opera che parla di reincarnazione e di prevaricazione.
Cloud Atlas si è guadagnato la nomea del mito da ben prima dell'uscita: il progetto, estremamente ambizioso, ha richiesto l'esorbitante budget di oltre cento milioni di dollari, le difficoltà  a reperire l'intera cifra necessaria hanno fatto sì che la lavorazione sia stata più volte interrotta. I registi si sono spartiti il lavoro e le locations: Tom Tykwer ha girato tre degli episodi: i due girati nel secolo scorso e quello ai giorni nostri, mentre Andy e Lana Wachowski si sono occupati di quello ambientato nell'800 e dei due ambientati nel futuro.

Jim Broadbent e Ben Whishaw

I sei episodi sono ambientati come si è detto in epoche diverse, ciascuno di essi è dedicato ad una diversa declinazione del concetto di prevaricazione. Gli attori compaiono in ruoli più o meno importanti in tutti gli episodi contribuendo a mantenere il "filo concettuale" che lega tutte le vicende. Il primo episodio è dedicato al razzismo ed ambientato verso la metà dell'800, vi si narra di un giovane avvocato in viaggio per mare che aiuta un clandestino nero ad essere accettato a bordo e ne nasce una solida amicizia. Nell'episodio successivo, dedicato all'omofobia (con un'accenno di antisemitismo nel personaggio di Halle Berry), un giovane compositore rifiuta di farsi ricattare dall'anziano e famoso musicista presso cui lavora, Il terzo capitolo, a tema manipolazione dell'opinione pubblica vede una avvenente giornalista alle prese con un complotto per creare ad arte un disastro atomico.

Hugh Grant

L'episodio ambientato nel 2012 ha come sfondo la discriminazione verso i vecchi; vede un'anziano editore in difficoltà fatto rinchiudere dal fratello (uno Hugh Grant superlativo) in un ospizio-lager dal quale tenterà di evadere in compagnia di altri avventurosi vecchietti (la comica finale è meravigliosa). Nell'episodio ambientato nella futura NeoSeul (dedicato allo sfruttamento lavorativo) una replicante acquista coscienza di sè e tenta di cambiare il sistema in compagnia di un gruppo di ribelli, nell'episodio finale ambientato in un imprecisato  futuro con il mondo tornato ad una sorta di preistoria un selvaggio ma affettuoso padre scopre che la dea in cui ha sempre creduto era in realtà una persona in carne ed ossa e lotta contro il proprio demone interiore. Quest'ultimo episodio è stato da molti interpretato come un attacco alla religione, ma io ci vedo piuttosto la lotta contro la parte oscura di sè, per liberarsi dalla convenzione e dall'omologazione.

Tom Hanks

Della regia si è detto, due troupe quella americana e quella tedesca hanno lavorato in parallelo, il compito di dare unitarietà e ritmo ad un materiale di partenza così disomogeneo è stato affidato ad  Alexander Berner (Alien vs Predator, 10.000A.C., I tre moschettieri del 2011) il cui montaggio è magistrale: mentre nel romanzo gli episodi sono raccontati per intero uno dopo l'altro, nella versione cinematografica si salta con volo pindarico da un tempo all'altro, e da una storia all'altra seguendo il fluire delle idee e dedicando tempi e mettendo gli accenti là dove serve per tenere sempre alta la soglia di attenzione.
Trattandosi sostanzialmente di sei corti assemblati in un'opera più maestosa, tutta la crew produttiva merita il plauso per la convinzione con cui ha svolto il proprio lavoro; tutto dalla scenografia ai costumi è curato nel dettaglio e fa sì che lo spettatore sia sempre in grado di capire immediatamente in quale momento ed in quale storia ci troviamo.
Il make-up la fa da padrone, regalando facce sempre diverse ai vari personaggi, anche se devo dire che la scelta di "orientalizzare" Jim Sturgess e Hugo Weaving, così come quella di occidentalizzare Doona Bae nel primo episodio, anche se comprensibile per mantenere il concetto di ricorrenza della reincarnazione, dà luogo a risultati piuttosto ridicoli.

Halle Berry e Keith David

Alcune scene sono già culto: quella in cui lo scrittore alla festa sorprende il critico, quella al pub nel quale i vecchietti in fuga trovano rifugio, quella dove il clandestino Autua lotta per la vita mostrando come si fa a spiegare la vela.
Tykwer ed i Wachowski giocano con i generi, passando dalla black comedy alla fantascienza, dall'azione allo storico al postatomico mischiando in continuazione le carte con citazioni (ed autocitazioni: tutta la parte dei replicanti di NeoSeul è una possibile rilettura di Matrix), tuttavia, nonostante allo spettatore sia richiesto di cambiare in continuazione il contesto ed i vari episodi siano stati girati in modo completamente disgiunto, il film ha una sua solidità che aiuta a tenere il filo del discorso, dopo un inevitabile momento di iniziale disorientamento.

David Gyasi e Jim Sturgess

Entrato prevenuto, devo dire che sono uscito cogitabondo: anche se il film non mi ha entusiasmato, non si può non riconoscergli capacità tecnica (della quale però non ho mai dubitato), ed il pregio di andare dritto al punto senza perifrasi. Tuttavia, una costruzione (ed una produzione) così colossale è al servizio di un messaggio piuttosto puerile, si tratta insomma di un film più complicato che complesso, tutto incentrato sulla risposta più che sulle domande. Non ci ho trovato alcuna traccia di dubbio, di ambiguità, di riflessione, il che se a spettatori più giovani di me può forse apparire un pregio, ad un occhio più maturo ne fa un film non inconcludente ma un po' superficiale. Intendiamoci, il messaggio non è sbagliato, ma tre ore piene per sentirsi ripetere più volte (quasi che gli autori volessero essere ben sicuri che abbiamo capito) che il bene ed il male che si fanno restano, modificando il mondo da uno dei mille possibili a quello reale mi pare restare un po' sulla superficie, oppure mirare ad un pubblico a cui la vita non ha ancora imposto il compromesso.
Per chiudere: le tre ore passano senza fatica, i fratelli Wachowski (ed il loro sodale Tykwer) quando vogliono sanno come fare un bel film. Ne sono uscito dicendo "tutto qui?" però poi ci ho ponzato su per qulache giorno. Può darsi che nel film ci sia qualcosa di più di quello che colpisce l'occhio, vale comunque il prezzo ed il tempo spesi per vederlo.

Doona Bae e Jim Sturgess



2012 - Cloud Atlas
Regia: Andy & Lana Wachowski, Tom Twiker
Montaggio: Alexander Berner
Fotografia:  John Toll, Frank Griebe  
Scenografie: Hugh Bateup, Uli Hanisch  
Costumi: Kym Barrett, Pierre-Yves Gayraud  




lunedì 7 gennaio 2013

La migliore offerta


La migliore offerta è il nuovo film di Giuseppe Tornatore (sua anche la sceneggiatura), a cui ho dedicato la mia prima uscita al cinema dell'anno 2013; dopo il successo di La sconosciuta l'autore italiano ripropone una ambientazione mitteleuropea utilizzando Vienna come location principale, con un cast più che mai internazionale che comprende, oltre al protagonista Geoffrey Rush, anche un mito vivente come Donald Sutherland ed un giovane emergente come Jim Sturgess (The Universe, il prossimo Cloud Atlas). La protagonista femminile è l'olandese Sylvia Hoeks e segnalo la presenza, pur in una parte piccola, della modella e attrice etiope Liya Kebede, bellissima.


La trama racconta del bisbetico indomabile, antiquario e richiestissimo battitore d'asta Virgil Oldman (Rush), che si ritrova coinvolto da una misteriosa e invisibile donna, Claire Ibeson (Hoeks), nella valutazione e dell'immenso patrimonio in mobili, quadri e oggetti d'arte. Oldman, che non si lascia contaminare da contatti umani di sorta (frequenta sempre egli stessi locali nei quali utilizza stoviglie personalizzate, indossa sempre i guanti, di cui possiede una sterminata collezione, riveste il telefono con un fazzoletto per non contaminarsi con i betteri presenti nella cornetta), in un primo momento rifiuta l'approccio quantomeno inusuale della Ibeson, lasciandosi però lentamente conquistare dalla giovane, che si scopre essere malata di agorafobia al punto da vivere all'interno della vecchia villa di famiglia in una sorta di "panic room". Nel corso del suo lavoro nella vecchia casa Oldman rinviene alcuni misteriosi ingranaggi, che secondo il giovane "aggiustatutto" Robert (Sturgess) appartengono ad un famoso automa parlante del 1700. Robert diventa confidente e consigliere  di Virgil , approfondendo l'amicizia man mano che il rinvenimento dei pezzi dell'automa permette di ricostruirlo. Nel frattempo Oldman, in combutta con Billy, un pittore suo amico, acquista alle aste diversi quadri con i quali riempie una stanza segreta che funge da museo personale. Fra passi avanti e indietro finalmente sboccia l'amore fra Oldamn e la giovane Claire, fino a che il ritiro dall'attività di Virgil dopo una importante asta a Londra non si rivelerà l'evento catalizzatore di una sorpresa nella quale tutti i personaggi saranno coinvolti.


Il film si regge prevalentemente sulla prova attoriale di Rush, praticamente in sempre in scena, ma anche i comprimari sono azzeccati per la propria parte. Degno di grande lode è il lavoro dello scenografo Maurizio Sabatini (La tigre e la neve, Baarìa), dalla magnificenza imperiale dei ristoranti viennesi, al lusso asettico e razionale della casa di Virgil, al disordine romantico della villa Ibeson, ogni ambiente è lo specchio fedele di chi ci vive; numerossissime e bellissime le opere d'arte che vengono mostrati (la stanza-bunker di Virgil è zeppa di capolavori), i costumi sono altrettanto rispondenti al carattere dei personaggi quanto le ambientazioni; in particolare l'eleganza classica con una punta di eccentrico di Oldman la trovo perfettamente aderente al personaggio.
Rinnovando la abituale collaborazione con Tornatore, la colonna sonora è composta da Ennio Morricone.


Come abbiamo visto, sotto l'aspetto tecnico la pellicola è realizzata con grande cura, e dal punto di vista artistico gli attori sono capaci ed azzeccati, eppure i conti non tornano: la storia non funziona, non coinvolge, i meccanismi, al contrario di quelli dell'automa messo insieme da Robert, non girano in modo fluido. I temi (amore, morte, finzione: la "mezogna" dell'arte cara a Tornatore) sono trattati in modo a dir poco didascalico, con il personaggio di Virgil ("virgin") Oldman graniticamente astuto sul lavoro e inesorabilmente stupido in amore. Anche gli altri personaggi lasciano spesso perplessi: quando Claire dopo aver urtato il piede contro un tavolo non trova di meglio che succhiarsi l'alluce le braccia di più di uno spettatore rischiano di cadere fragorosamente sul pavimento della sala. Non sto a citare tutti i momenti che non convincono, basti questo esempio per dire che la sceneggiatura è stereotipata e non una sola delle riflessioni iniziate trova una soluzione. Impiegare 124 minuti per dire confusamente  quello che un mio amico con il dono della sintesi ha definito: "le donne son tutte troie" è davvero troppo. Oltre - immagino - a non essere il vero messaggio che l'autore intendeva comunicare, considerandolo sforzo in termini di mezzi, artisti e budget che ha richiesto La migliore offerta direi che era lecito aspettarsi molto di più.


Tornatore non ha di certo perso il talento registico che tutto il mondo gli riconosce, ma è messo a servizio di un testo superficiale, poco convinto, con personaggi raffazzonati e un finale da dimenticare. Un vero peccato, dal momento nonostante l'ottimo lavoro fatto in tutte le altre parti del film, rende la pellicola inconsistente.
Se siete appassionati d'arte o fan di Geoffrey Rush andate a vederlo, in tutti gli altri casi si può passare oltre senza rimpianti.



2013 - La migliore offerta (The best offer)
Regia: Giuseppe Tornatore
Musiche: Ennio Morricone
Fotografia: Fabio Zamarion
Scenografia: Maurizio Sabatini
Costumi: Maurizio Millenotti