mercoledì 28 dicembre 2011

Sherlock Holmes - gioco di ombre



La notizia del momento è che i classici "cinepanettoni" quest'anno sono stati battuti dal secondo capitolo dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie, l'atteso Sherlock Holmes - Gioco di ombre. A parte che i conti sarebbe meglio farli a bocce ferme, i lusinghieri incassi del primo week end di programmazione non dovrebbero stupire, Gioco di Ombre è un film che lega azione, avventura, attori belli, o almeno affascinanti, e quel pizzico di scorrettezza politica che rende più digeribile una ambientazione vittoriana altrimenti ingessata.
Lo Holmes di Ritchie trae ispirazione in parti uguali dal fumetto di Lionel Wigram, oltre che dai celeberrimi libri di Conan Doyle; Sherlock dunque eccelle nelle doti fisiche quanto in quelle intellettuali, non disdegna le scazzottate in pubblico, esegue spericolati esperimenti pseudoscientifici direttamente in casa propria, non si rade che ogni tre o quattro giorni e sfoggia un look piuttosto trasandato. Insomma è uno Sherlock "tamarro", ma accessibile al grande pubblico.



Il secondo capitolo si inserisce perfettamente nel sentiero tracciato dal primo, ma senza colpi d'ala che ne rinnovino l'appeal. Holmes ed il fido Watson sono impegnati a sventare la sottile macchinazione del perfido prof Moriarty, che tenta di impossessarsi del monopolio di importanti manifatture, in primis quelle di armi e contemporaneamente cerca di far scoppiare una guerra mondiale ricorrendo ad  attentati dinamitardi, che fa apparire opera di anarchici manovrati da potenze rivali.
Sherlock si imbarca (letteralmente) in una avventura ai quattro angoli d'Europa. Il gioco, benchè in punta di fioretto, con Moriarty, che gode fra l'altro di importanti appoggi politici, si rivelerà piuttosto pericoloso portando più volte i due protagonisti ad un passo dalla morte.
L'importante ruolo ricoperto dal fascino femminile, che nel primo episodio era appannaggio di Rachel McAdams (qui solo una fugace apparizione), viene affidato alla bella gitana Madame Simza interpretata da Noomi Rapace. Quanto al dottor Watson, nonostante riesca finalmente a sposare l'amata Mary, viene letteralmente strappato via dalla luna di miele per assistere Holmes nella più impegnativa missione di sempre.



L'interpretazione è forse la cosa migliore del film, Robert Downey Jr. nel ruolo di Sherlock Holmes si conferma saccente il giusto e piuttosto divertito dalla porre in continuazione una personale sfida alle convenzioni sociali.
Jude Law (la sua apparizione nella pellicola strappa ancora strilletti e sospiri di ammirazione da parte del pubblico femminile,anche il meno giovane) è un dr. Watson che maschera il gusto per l'avventura dietro all'aspirazione ad una tranquilla vita domestica in compagnia dell'esasperata Mary.
In questo capitolo vengono introdotti due interessanti personaggi: Mycroft Holmes , interpretato dal bravo Stephen Fry (Gli amici di Peter di Branagh, Wilde,V per vendetta, Operazione valchiria; atteso nel prossimo ed attesissimo Lo Hobbit), il fratello più furbo di Sherlock, visto che passa la vita correndo meno rischi e vantando maggiori soddisfazioni. Mycroft è essenziale per lo svolgimento della trama, dal momento che il cancelliere dello scacchiere lo utilizza le fini doti intellettuali nella diplomazia internazionale della gran Bretagna. L'altro personaggio che viene finalmente introdotto è il prof. Moriarty , l'alter ego cattivo di Sherlock, una mente raffinatissima al servizio del crimine. Rispetto a Lord Blackwood, "vilain" del primo capitolo, Moriarty (Jared Harris, figlio  del Richard "Uomo chiamato cavallo",una bella carriera a sua volta) è decisamente più sottile e perversamente raffinato. Per lui la sfida di intelligenze con Holmes sembra quasi essere un divertissement i cui danni collaterali possono essere tranquillamente trascurati, quasi si trattasse di semplici pedine sulla scacchiera.
La Madame Simza di Noomi Rapace (la Lisbeth Salander della trilogia di Stieg Larsson) non lascia il segno,non abbastanza spettacolare nelle scene d'azione, non abbastanza intelligente per il confronto con Holmes e, questo sì davvero imperdonabile, non abbastanza affascinante per farsi ricordare.



Le oltre due ore di film non pesano, il salto da una ambientazione al'altra (quasi un salto da un livello al'altro di un videogame,con scenografie che c'entrano poco una con l'altra) permette allo spettatore di avere l'attenzione sempre desta, il ritmo è incalzante. Tuttavia, da estimatore dello stile di Ritchie, mi aspettavo qualcosa di più. Nessuna nuova trovata, la precognizione di Holmes viene utilizzata troppo e spesso a sproposito. Moriarty, da quella sottile mente criminale che è, non trova di meglio per far fuori una coppietta in viaggio di nozze che imbottire un treno di un intero battaglione di finti soldati armati di mitragliatrici pesanti e casse di bombe a mano (occasione nella quale  abbiamo però la possibilità di amirrare una performance "en travesti" di Robert Downey, con un make up che nel disfarsi lo rende simile ad un ghignante Joker di Batman). In compenso varrebbe da sola la pena di una visita in sala la sorprendente e divertentissima scena con Sherlock Holmes mimetizzato da... poltrona!

In definitiva un buon prodotto natalizio, ma non un film che possa far innamorare. Già annunciato un terzo capitolo della serie, che speriamo focalizzato su Londra, habitat naturale dei personaggi, e con un rispetto maggiore della coerenza dei personaggi. Stile e capacità di regista e interpreti giustificano aspettative di alto livello, la preferenza accordata dallo spettatore in questi tempi grami merita l'impegno di tutto il cast.

venerdì 23 dicembre 2011

The Artist per Torino Style


Il Natale, si sa, va trascorso in famiglia. La recensione di The Artist è il piccolo regalo che The Talking Mule fa al suo blog "madre", Torino Style.

La recensione la trovate qui, in questo post solo alcune immagini di questo film straordinario, che per ragioni di spazio non ho potuto inserire nel post principale.

Buon Natale alle lettrici ed ai lettori di The Talking Mule, ed a quelle/i di Torino Style!

Bless and love to you all!

C'est Noel, l'amour triomphe!



Fate in modo che i parenti che vedete una sola volta all'anno vi possano riconoscere...

...regalatevi qualche coccola ...


...e se andate al cinema, godetevi lo spettacolo in silenzio (come chiede il cartello alle spalle di Jean)

mercoledì 14 dicembre 2011

The artist - Enjoy the silence

Più o meno un anno fa, dalle pagine di questo blog ci lamentavamo della mancanza di titoli che riprendessero  lo stile delle pellicole di un tempo. Fortunatamente, ci sbagliavamo!


The Artist fva addirittura oltre, ripartendo più o meno dal principio, cioè dal cinema muto. Gli spettatori meno cinefili non si lascino ingannare, questo film si può riassumere in una sola parola: bello!

L'operazione pare una via di mezzo fra la scommessa (vinta) fra amici e una produzione hollywoodiana dei tempi d'oro.
La pellicola del quarantenne regista francese Michel Hazanavicius, quasi si trattasse di un falso d'autore, riprende il linguaggio e le tecniche dei grandi classici del muto, togliendo da questo genere la polvere di svariati decenni. Ma interrompiamo le lodi e parliamo del film.



La trama segue le carriere parallele e divergenti di due personaggi, George Valentin, stella del cinema muto, e Peppy Miller, ragazza che con l'approssimarsi del sonoro passa da comparsa a stella di prima grandezza. Alla caduta del primo si contrappone l'ascesa della seconda. Tuttavia anche se l'intesa fra i due è evidente fin dal primo, fortuito, incontro nel corso del film l'amore vero e proprio fatica a sbocciare. Solo l'intuizione finale ci rivelerà che muto e sonoro non sono antitetici, ma parti integranti di una stessa meraviglia: il cinema!


Il bello del film muto rispetto al sonoro è nella universalità del linguaggio, la recitazione, che consente allo spettatore di concentrarsi sull'immagine anzichè sui dialoghi. L'ora e mezza abbondante del film passa senza fatica; l'evoluzione della trama e le trovate di sceneggiatura si susseguono a ritmo veloce e non fanno rimpiangere l'assenza dei dialoghi (a proposito, ma non sarà meglio un film muto di uno con battute banali o inconsistenti? Noi condividiamo l'opinione dei Depeche Mode in merito alla questione)

Gli attori principali sono Jean Dujardin, interprete della versione francese della sitcom Love Bugs, che alla prima interpretazione di respiro internazionale si è portato a casa (per ora, ma le nomination son) la palma d'oro di Cannes come miglior interprete; di scarsa esperienza internazionale è anche Bérénice Bejo, brava e bellissima moglie di Hazanavicius.


I comprimari sono selezionati fra i migliori professionisti di Hollywood, e sembrano apprezzare molto la possibilità di fare qualcosa di diverso dal solito. John Goodman (un mito qui all'altezza del suo curriculum, di cui ricordiamo Arizona Junior, Big Easy - Brivido seducente, Seduzione pericolosa, I Flintostones, Il grande Lebowski) è il tipico grasso produttore Hollywoodiano inseparabile dal suo sigaro, cinico ma non troppo. Penelope-Ann Miller (Il boss e la matricola, Carlito's way, Relic) è la moglie trascurata di George. I fidati autisti di George e Peppy sono due "facce da duro", rispettivamente James Cromwell (Invito a cena con delitto, i due film di Babe mailino coraggioso, il cattivo capitano di L.A.Confidential, La figlia del generale, Il miglio verde, W di Oliver Stone) ed Ed Lauter (Quella sporca ultima meta, King Kong - quello del 76 - Cujo, il sottovalutato Rocketeer, Codice Magnum).

James Cromwell, chauffeur fedele anche nella sventura
Alcune scene che ci hanno colpito in modo speciale: la prima colazione a casa di George dove lui ed il suo cagnolino si fanno il verso a vicenda (un Jack Russell simpatico e bravissimo, da Oscar al miglior attore non protagonista), quella in cui una Peppy di belle speranze si ritrova nel camerino di George e si immagina abbracciata da lui infilando un braccio nella manica del suo frac. Infine - a nostro avviso da storia del cinema - la scena dell'incubo di George, con la "terrificante" irruzione del sonoro in un mondo altrimenti muto, dove perisno la caduta di una piuma genera un boato insopportabile, di grande efficacia scenica.


Nel corso del film vengono utilizzati alcuni espedienti visuali per sottolineare i diversi momenti e stati d'animo; ad esempio l'uso del contrasto, molto netto nelle sequenze iniziali che descrivono il momento dell'apice del successo di George, per farsi più grigio, quasi polveroso, nelle scene dedicate alla caduta e crisi. Le immagini tornano ad essere brillanti nella catarsi finale.

Bérénice Bejo è vestita benissimo sexy ed elegante, da Mark Bridges (costumista in vari blockbuster: Boogie Nights, Magnolia, Blow, The Italian Job, Be Cool, più di recente il bel The Fighter). Il cappottino con la pellicia lunga nera è un capo come (purtroppo!) non se ne fanno più, i cappelli a cloche sono deliziosi e gli inserti in pelliccia sono splendidi (a onor del vero su questo blog preferiamo che le pellicce restino attaccate ai legittimi proprietari).


Il nocciolo della questione a nostro avviso non sta tanto nel dilemma "muto o sonoro", non si può sostenere (e credo nessuno lo faccia) che sarebbe meglio tornare indietro alle tecniche di settanta(!) anni fa. Il cinema, da sempre, è alffiere dell'innovazione. Ma altrettanto sciocco - e non parliamo solo di film - sarebbe lasciare per strada una certa idea di come vanno fatte le cose, con passione e sapienza.
The Artist è un film divertente, che pur senza parlare ci sa raccontare di ascesa, caduta, amore, dedizione, riscatto. Il tutto sempre con un sorriso sulle labbra e un tocco di ironia.
Al bando dunque le idee preconcette e diamo il giusto riconoscimento un progetto coraggioso e ben realizzato!

lunedì 12 dicembre 2011

Midnight in Paris


E' proprio una Parigi da cartolina quella che scorre sotto lo sguardo nelle prime sequenze di Midnight in Paris. Immagini di una città ad uso e consumo dei turisti, ognuno in cerca - forse - di un'idea di cultura, di fascino, di un sogno di eleganza che magari vive ancora solo nell'occhio di chi lo vuole ancora vedere.
Di certo è cosi per Gil, sceneggiatore di Hollywood ed aspirante romanziere. Per lui Parigi è un vero e proprio luogo dell'anima, nel quale sente di respirare la stessa aria dei suoi miti: Hemingway, Fitzgerald, T.S. Eliot.


Gil (un Owen Wilson svampito e stralunato) e la fidanzata Inez (Rachel McAdams, qui in versione "succedaneo di Scarlett Johannson"), si trovano a Parigi, ma pare che stiano visitando due luoghi diversi. Inez, infatti, è a Parigi per fare la turista, magari lasciandosi guidare dall'amico Paul (Michael Sheen, con l'aria di divertirsi un mondo a fare l'antipatico), un pedante intellettualoide; Gil invece ama fare lunghe passeggiate, magari sotto la pioggia, tentando di trovare l'ispirazione che gli manca per finire il suo romanzo, il suo “salto alla letteratura”. In modo magico la città gli regala una chance. Allo scoccare della mezzanotte, in una precisa viuzza, tutte le sere passa un'auto d'epoca che costituisce una porta per tornare agli anni 20, il tempo che Gil avrebbe sempre voluto vivere:  la Parigi della “festa mobile”, tra una bevuta in compagnia di Hemingway e una chiacchierata con Dalì o Picasso.


Nel mondo fantastico che vive di notte, Gil riesce a far leggere una copia del manoscritto del suo romanzo a Gertrude Stein, da cui otterrà (ovviamente!) preziosi consigli. Ma nella realtà parallela non c'è solo il libro: nel corso delle sue scorribande notturne il protagonista incontra Adriana (Marion Cotillard, per correttezza ammetto di essere suo fan sfegatato sin dal lontano 1998), giovane amante di Picasso oltre che di Modigliani e Braque.
Diviso tra due realtà, quella magica della notte e quella frustrante del giorno, Gil si innamora immancabilmente della seducente parigina, il cui sogno è invece quello di vivere la Belle Epoque, i tempi di Toulouse-Lautrec, Gauguin, Degas (i quali a loro volta dichiarano che l'età migliore è stata sicuramente quella del rinascimento). Non c'è scampo: nessuna età è quella "giusta" ed il rischio è quello di passare senza soluzione di continuità da un tempo all'altro, senza sentirsi mai realmente al proprio posto! O forse si può decidere di mettere mano alla propria vita e buttare il cuore oltre l'ostacolo. Parigi  di certo non rifiuterà una piccola, ultima coincidenza...

Una volta tanto non si può trascurare la scenografia, curata da Anne Seibel (già direttore artistico per Il diavolo veste Prada e Hereafter), che passa con nonchalance dall'allestimento di un bistrot nel quale incontriamo Dalì che beve un bicchiere in compagnia di Buñuel e Man Ray, alla ricostruzione della casa-studio di Gertrude Stein (Kathy Bates), alla splendida festa a casa Fitzgerald, per finire con il Moulin Rouge di Toulous-Lautrec. Un film come questo è un'occasione d 'oro per ogni scenografo, e la Seibel non perde l'opportunità giocando con le ricostruzioni d'epoca precise, ma senza perdersi in maniacalismi che non sarebbero in linea con il tono della pellicola.


Interessanti anche i costumi opera di Sonia Grande (The Others, Il Mare Dentro, Vicky Cristina Barcelona, Gli abbracci spezzati), piuttosto curati: i coniugi Fitzgerald sono elegantissimi, Hemingway sembra appena tornato da un safari, il torero Juan Belmonte è un vero dandy. Marion cotillard con il vestitino giallo oro vale da sola il prezzo del biglietto (attenzione anche all'acconciatura "d'epoca", deliziosa).


Il cast di attori è straordinario. Oltre ai già citati troviamo Adrien Brody, un Dalì elegante e divertente, Alison Pill-Zelda Fitzgerald (avvistata già in Milk di Gus Van Sant), non manca nemmeno un ruolo, piccolo ma cruciale, per Carla Bruni nelle vesti di una gentile guida turistica. Un passaggio anche per Lèa Seydoux (vista in Robin Hood, la si attende in un ruolo vilain nel prossimo Mission Impossible: Protocollo fantasma)

Allen pare aver raggiuto un'età ed un'autorevolezza per cui può fare sempre il film che vuole, ed aver deciso di divertirsi un po'. Il film mette un sacco di carne al fuoco, regala corpo e parola a un buon numero dei più grandi artisti e scrittori del secolo scorso, ma lo sviluppo non sceglie con decisione nè la strada della riflessione filosofica, nè quella della battuta fulminante (strada che Allen sembra aver abbandonato dai tempi de La maledizione dello scorpione di giada). Alla fine la pellicola è divertente, anche grazie all'interpetazione ironica di alcuni attori (a mio parere in questo campo Adrien Brody e Michael Sheen spiccano sul resto della troupe) ma dubito che molti spettatori la ricorderanno a lungo,come sicuramente accade per altri titoli di Allen.

Il Gil di Owen Wilson (attore forse troppo bello e prestante per questa parte) pare muoversi fra esaltazione e spaesamento in un continuo salto temporale che riflette la sua stessa lacerazione fra la scelta pragmatica di scrivere dozzinali sceneggiature e l'aspirazione alla vera Arte. Ma non esistono età dell'oro, o meglio ciascuna lo è. Chissà se qualcuno dei miti di Gil, avendone la possibilità, non avrebbe preferito vivere negli anni dieci del duemila. Secondo Allen, e la tesi mi sembra condivisibile, abbandonarsi a un inconcludente “come sarebbe stato bello” porta immancabilemnte a chiudersi delle opportunità  nella vita presente. Questa è la nostra belle epoque, sta noi farla tale e farla ricordare nel futuro come un momento di grande fermento artistico ed ideale, ne abbiamo tutti i mezzi (o almeno Allen sembra esserne convinto).
Ai posteri l'ardua sentenza!