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lunedì 3 marzo 2014

Saving Mr. Banks


John Lee Hancock è un regista irresistibilmente attratto dalle icone dell'american way of life. Dopo essersi occupato (con fortune piuttosto alterne in verità) di baseball, di selvaggio west e di football americano, non si lascia sfuggire l'occasione di confrontarsi con un autentico mito a stelle e strisce: Walt Disney.


Confronto è il termine che meglio riassume questa pellicola dove si narra la vicenda che portò alla realizzazione di Mary Poppins. Da un lato vediamo Disney deciso a mantenere la promessa fatta alle figlie di trarre un film dal loro libro preferito e dall'altro la coriacea P.L. Travers, autrice del libro, decisa a mantenere il controllo sul personaggio da lei creato. Dopo venti anni di tentativi andati a vuoto, la scrittrice, si convince a volare a Hollywood per verificare di persona il copione approntato dalla Disney e cedergli infine i diritti cinematografici. "Strappata" alla beneamata Londra la Travers affronterà i fantasmi della propria infanzia, confrontandosi con lo sceneggiatore Don DaGradi e con i musicisti, i fratelli Sherman. Alla fine sarà Walt a trovare il modo di tranquillizzare l'inaciditissima Travers e realizzare una buona volta il film, ma l'unico americano con cui la scrittrice riuscirà a creare una connessione è il tenero autista Ralph.


Emma Thompson ha dichiarato di considerare il personaggio della Travers uno dei più complessi della sua carriera, e possiamo crederle. Se la zitella acida è una parte piuttosto semplice, aggiungere quel tanto di dramma interiore che differenzia la macchietta dal personaggio a tutto tondo richiede un non comune senso del limite.
Tom Hanks interpreta un Walt Disney a cui non somiglia per nulla (baffetti a parte), ma che riesce a rendere attraverso gestualità e atteggiamento...insomma il mestiere dell'attore ogni tanto serve ancora, per fortuna!
Paul Giamatti riesce ad esprimere il suo meglio quando fa la spalla; in un ruolo del tutto secondario buca lo schermo. Complementare e non in concorrenza con la Thompson, lascia il segno da vero fuoriclasse. La piccola australiana Annie  Rose Buckley è molto brava nel ruolo della Travers bambina, Colin Farrell interpreta invece il padre, Travers Goff, un ulteriore personaggio fuori dalle righe che si aggiunge al lungo carnet di scoppiati e tossicomani a cui l'attore irlandese ha prestato volto.
Notevolissimi scenografia e costumi, l'una che ricostruisce il mondo Disney, i secondi rigorosamente fedeli all'epoca, efficaci nel contrapporre il mondo di ferrea disciplina autoimposta della Travers con la rilassata funzionalità a stelle e strisce.


Il film, non è storicamente rigoroso sotto diversi punti di vista: ad esempio la Travers si recò ad Hollywood dopo aver venduto alla Disney i diritti cinematografici e non prima; così come non è vero che non avesse famiglia nè che avesse scritto un solo libro; infine la scrittrice ufficialmente non espresse mai apprezzamento per la versione cinematografica della sua eroina, anche se probabilmente nessuno saprà mai cosa ne pensasse in realtà.
Pur nelle sue licenze Saving Mr. Banks è però efficace nella descrizione dei rapporti umani: sia quello travagliato della Travers con Disney, sia quello di malsopportazione della scrittrice per i fratelli Sherman e DaGradi.
La pellicola trova le sue radici in un documentario su P.L. Travers realizzato anni fa dalla BBC: la storia della scrittrice è parsa tanto interessante da farne una sceneggiatura per il cinema. La pellicola in effetti non mostra come venne realizzato il film, ma si concentra sull'antefatto che lo rese possibile.


Il film sa divertire e nel finale anche commuovere un po', le due ore di durata non sono faticose come il continuo alternarsi di flashback e azione potrebbe far supporre.
La pellicola affronta un tema interessante, e cioè la differenza fra l'autore e l'opera. Conoscendo P.L. Travers sarebbe parso quasi impossibile che fosse lei l'autrice del personaggio che ha conquistato generazioni di bambini, ma l'artista va giudicato per la persona che è o per l'arte che produce? La risposta corretta è indubbiamente la seconda, e del resto - sembra dirci Hancock - chi è il vero autore di Mary Poppins, la stizzosa Travers o la piccola sognatrice Ginty? Le motivazioni della Travers affondano in un trauma infantile, che può essere cicatrizzato solo attraverso l'opera taumaturgica dell'arte: la condivisione. Anche se ci fa paura, è solo accettando di scoprire il fianco dolente che diamo a chi ci ama l'opportunità di curarlo.


2013 - Saving Mr. Banks
Regia: John Lee Hancock
Fotografia: John Schwartzman
Musiche: Thomas Newman
Costumi: Daniel Orlandi

mercoledì 28 agosto 2013

Too big to fail - Il crollo dei giganti


"Non so se resisterò ad un altro giorno come ieri"
"Sei sceso da una Mercedes e stai entrando alla Federal Reserve, non è lo sbarco in Normandia!"

Dopo aver visto Margin Call, di cui già ho scritto qui, cercando qua è là mi sono imbattuto in un film per la TV prodotto dalla HBO con grande dispendio di risorse e reclutando un mazzo di attori di primissima classe.
Se nel film di J.C. Chandor la prospettiva era quella interna ad una banca d'affari (più o meno ipotetica), in Too big to fail - Il crollo dei giganti la prospettiva si allarga fino a comprendere l'intero sistema delle banche d'investimento, facendosi comunque ancora più aderente alla cronaca.
La sceneggiatura, infatti, è basata sul libro "Too Big to Fail: The Inside Story of How Wall Street and Washington Fought to Save the Financial System—and Themselves" del giornalista del New York Times Andrew Ross Sorkin, e racconta nel dettaglio come si è dipanata (o come potrebbe probabilmente essersi dipanata) la gestione della crisi nelle sue  primissime e più violente fasi.


La trama racconta di come il segretario del tesoro Henry Paulson (un William Hurt a livelli eccelsi) ed il suo staff abbiano disperatamente tentato ogni strada per salvare il sistema finanziario di Wall Street e con esso l'intero ecosistema economico USA. Il film mostra come l'inizio della crisi - dovuta ai mutui subprime ed alle riassicurazioni stipulate fra le banche per sostenerne l'altissimo livello di rischio - abbia colto completamente di sorpresa l'intero gotha della finanza USA, troppo impegnato ad accendersi il sigaro con un biglietto da 500$ per accorgersi di farlo seduti su un barile di polvere da sparo, se mi passate l'immagine colorita. Lasciamo da parte per un momento le considerazioni moralistiche e apprezziamo invece il taglio quasi da docufiction della pellicola, coinvolgente ma senza perdersi in tecnicismi poco comprensibili dai non addetti ai lavori. Efficace in questo senso l'espediente di far spiegare cosa sta succedendo agli stessi personaggi che di volta in volta istruiscono Michele Davis, l'assistente di Paulson addetta alle PR (una Cynthia  Nixon molto lontana dallo stereotipo Sex & the city) su cosa comunicare alla stampa in modo da trasmettere un messaggio intellegibile ai più.


Fra gli interpreti si trova un Paul Giamatti che assomiglia in modo impressionante a Ben Bernanke (il che gli valse uno Screen Actors Guild Award), i direttori delle merchant bank sono impersonati da Matthew Modine, Bill Pullman, Tony Shalhoub, Evan Andler, Ajay Metha. Billy Crudup è Timothy Geithner, James Woods è grande nell'interpretazione di Dick Fuld, il CEO di Lehman Brothers, che assiste impotente al crollo della sua azienda. Il Presidente invece (all'epoca Bush figlio) non compare mai, se non nei notiziari.


La ricostruzione degli eventi è giornalistica, quindi presumo abbastanza veritiera; i dialoghi fra i personaggi (si indica per tutti nome cognome e ruolo) ovviamente non possono che essere immaginati. Alcune cose saltano comunque agli occhi: il potere, quello vero non viene gestito nè dal Presidente nè dal suo staff: le decisioni più importanti vengono prese da Paulson, Bernanke e Geithner e lo stesso Congresso alla fin fine non può far altro che ratificare le scelte prese da questo terzetto di illuminati. Paulson non parla mai di Europa, al massimo telefona al Cancelliere dello Scacchiere britannico o al ministro delle finanze francese (Christine Lagarde, ora direttore del FMI). Nello staff governativo, molti provengono da Goldman Sachs, il che crea comunque problemi a prendere decisioni serene.


Più di un parallelismo si può trovare con la realtà che conosciamo in Italia, ma forse ancora più importanti sono le differenze: nessuna delle figure che compaiono nel film è preoccupata più di garantirsi un futuro che non di salvare la propria azienda (o il sistema nel complesso). Le decisioni vengono discusse, ma giuste o sbagliate che siano una volta prese non ci torna sopra nè le si usa per far polemica. Nessuno, nemmeno al Congresso, strumentalizza politicamente la crisi per cercare di affossare l'avversario. Insomma si tratta di un mondo forse privo di morale ma che non lascia spazio al moralismo: ci sono avidi, opportunisti e cinici, ma tutto sommato ognuno fa il proprio mestiere senza rimproverare agli altri di aver fatto il loro.

Molte quindi le lezioni che si possono trarre e che - temo - sarà bene tenere a mente per il prossimo futuro, se l'evoluzione della attuale situazione politica sarà quella al momento più facilmente prevedibile.


2011 - Too big to fail Il crollo dei giganti (To big to fail)
Regia: Curtis Hanson
Soggetto: Andrew Ross Sorkin
Sceneggiatura: Peter Gould
Montaggio: Jonathan Olive

mercoledì 21 novembre 2012

Rock of ages - Censorshit


Chi come me è cresciuto durante la creativa decade degli anni 80 non sbaglierà impossessandosi del DVD (uscito da poco più di un mese) di Rock of ages, l'adattamento cinematografico di un musical di Broadway diretto da Adam Shankman (Prima o poi mi sposo, Missione tata, Hairspray). Si tratta di una favola rock, piena zeppa di belle canzoni (Def Leppard, Twisted Sister, Guns 'n' Roses, Bon Jovi, Joan Jett, Foreigner, Quarterflash, Poison, Extreme, Bon Jovi) e di bravi attori.


La storia non potrebbe essere più classica: la biondina Sherrie (Julianne Hough, regina del Ballando con le stelle USA) arriva a L.A. dall'Oklahoma con una valigia piena di dischi e di sogni di successo, incontra per caso Drew (Diego Boneta, giovanissimo cantante ed attore messicano recentemente sbarcato ad Hollywood), un aspirante rocker che sbarca il lunario come cameriere al Bourbon Room, il club più tosto della città, continuamente alle prese con problemi finanziari a cui il gestore Dennis (Alec Baldwin, straodinario) e  l'aiutante Lonny (Russell Brand, ex marito di Katy Perry) tentano di mettere una pezza.  A complicare le cose ci si mettono anche una giornalista irriverente (Malin Åkerman) e la moglie del sindaco, Patricia (Catherine Zeta-Jones in perfetta forma fisica ed artistica) che guida un gruppo di signore benpensanti in una crociata per bandire il rock dalla città. L'occasione per salvare il locale è un concerto della star Tracee Jaxx (Tom Cruise) e dei suoi Arsenal. Per una fortunata coincidenza Drew si trova ad aprire con grande successo il concerto degli Arsenal, il cui manager (Paul Giamatti, che non ho mai visto sbagliare un ruolo e anche qui è bravissimo) immediatamente lo scrittura. Drew e Sherrie litigano e si lasciano per una incomprensione, ma la lontananza non gli gioverà: Sherrie finisce a fare la spogliarellista nel locale di Justice (una bravissima Mary J. Blige), mentre Drew viene rifutato dalle majors e finisce per andare a cantare in una boy band. L'occasione del riscatto finale è un nuovo concerto al Bourbon Room dove tutti i nodi si scioglieranno e l'amore trionferà insieme alla musica.


Alcune scene memorabili: l'inizio del film con Sherrie sul bus, i duetti di Alec Baldwin e Russell Brand, la incredibile intervista a Tracee e le magnifiche coreografie al Venus Cafè.
L'atmosfera anni 80 è stata curata in modo maniacale sia nelle scenografie che nei costumi (un particolare che dà la misura dell'attenzione ai dettagli: il costume da bagno sgambatissimo di Sherrie) e nel montaggio, il cui ritmo è molto simile a quello dei video dell'epoca di gruppi come gli Skid Row o i Bon Jovi.
Molto azzeccato anche l'accenno al difficile periodo vissuto dal rock (in quegli anni nasceva il fenomeno boy band, che avrebbe ammorbato il decennio dei 90) con la sensazione che il rock avesse ceduto la leadership a generi più "moderni" come il rap o il pop.
Non cedo alla tentazione di addentrarmi nella storia nè nella sociologia dei generi musicali, segnalo soltanto di aver personalmente visto un parallelismo piuttosto evidente fra il personaggio della Zeta-Jones e le vicende che videro protagonista  Tipper Gore, moglie dell'ex-vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore e fondatrice del Parents Music Resource Center, associazione di mogli di politici a stelle e strisce a cui dobbiamo la fondamentale istituzione degli adesivi "Parental Advisory- Explicit Lyrics" incollati sui CD musicali con i testi che contengono le parolacce. Fra la fine degli anni 80 ed il principio dei 90 la PMRC fu avversata molto duramente da artisti come Frank Zappa, John Denver (sic!) o come i Ramones, che le dedicarono addirittura una canzone dal'esplicito titolo di Censorshit, a cui - nel mio piccolo - mi associo.


Il tema di fondo del film è infatti la minaccia rappresentata da ipocriti e benpensanti (come in Footloose, ad esempio) allo spirito rock, che di suo già deve guardarsi dall'avidità delle case produttrici, ma anche dalla propria spinta autodistruttiva. Lo Stacee Jaxx di Cruise è in questo senso perfetto, la vera rockstar vittima dei propri eccessi ed ormai (quasi) perduta, ma che in fondo ha un cuore romantico e riesce a ritrovare sè stesso ed i valori di lealtà, amore e libertà che sono l'ossatura di questo genere musicale. 

Meno male che il rock prima che un genere è un'attitudine alla libertà, alla ribellione ed all'amore e non può morire perchè il film al botteghino è andato malissimo: costato una cifra vicina ai 75 milioni di $ ne ha incassati un po' più di 65. Risultato ingrato: alla fine la pellicola contiene belle performance canore, grandi coreografie e vi farà passare due ore di dissacrante divertimento e musica trascinante. 
Evidentemente oggi vanno di più film come Step Up e la miriade dei suoi sequel, ma non vi preoccupate: Neil Young, uno che è sopravvissuto a quattro decadi di carriera, già nel 1979 affrontava il quesito fondamentale cantando "rock n roll will never die". Lui è ancora qui, nuove generazioni di rockers continuano a nascere, e anche noi ragazzi degli anni 80 facciamo ancora la nostra porca figura.
Rock 'n' Roll!




2012 - Rock of ages
Regia: Adam Shankman
Fotografia: Bojan Bazelli
Scenografia: Jon Hutman
Costumi: Rita Ryack