giovedì 30 gennaio 2014

Sogni segreti - Walter Mitty ieri ed oggi


Il caso cinematografico dell'inizio del 2014 è senza dubbio I sogni segreti di Walter Mitty di e con Ben Stiller. Sorprendendo tutti Stiller esce dal suo consueto registro comico per confezionare una commedia delicata e romantica, estremamente piacevole da guardare.
Possiamo davvero dirci sorpresi da questo exploit? Chi come me inizia ad avere qualche filo grigio fra i capelli non ha dimenticato che l'esordio alla regia di un giovane Stiller avvenne in piena era grunge con Giovani, carini e disoccupati, quando a Ethan Hawke si poteva ancora scusare ancora l'odore muschiato e Winona Ryder era la fidanzatina d'America. Certo, le cose in seguito hanno preso un'altra piega, ma la verve romantica Stiller l'aveva già dimostrata venti anni fa.


Il soggetto è tratto da un racconto di James Thurber dal quale è stato anche tratto Sogni proibiti, un vecchio film degli anni 40 con la coppia Danny Kaye - Virginia Mayo, Stiller però (o meglio il suo sceneggiatore Steve Conrad) rielabora la storia per adattarla ai nostri tempi: il risultato è un film con una punta di amaro in più rispetto al predecessore, quasi un contrappeso alla comicità delle situazioni in cui si trova il protagonista, che non siamo mai sicuri se siano "reali" o frutto della sua immaginazione.


Il Walter Mitty del 1947 è un mite e svagato (ma geniale) redattore di una casa editrice di fumetti horror, con il vizio di sognare ad occhi aperti (oggi diremmo - ironia - che si fa un film in testa). Fidanzato con una moretta perbenista e rompiscatole, viene coinvolto per puro caso in un intrigo criminale da un bionda (Virginia Mayo) identica  alla donna dei suoi sogni. La distrazione di Mitty è tale che quando chiede aiuto a parenti e colleghi tutti sono convinti che non sappia più distinguere tra realtà ed immaginazione.
Anche se il film parte un po' lento (nonostante la regia di Norman McLeod, più volte collaboratore dei Fratelli Marx) la vis comica di un Kaye che passa attraverso le situazioni più assurde è irresistibile. In questa versione Mitty rischia di essere vittima di una banda di assassini, correndo seri pericoli (deve sfuggire persino a Boris Karloff!) ed alla fine ottiene una promozione.


Il Walter Mitty di Stiller invece è l'archivista fotografico della rivista Life nel momento in cui questa passa da rivista cartacea a web company (situazione verificatasi realmente). Innamorato di una bella collega (Kristen Wiig), la sua vita viene complicata da una foto inviatagli da un famosissimo fotografo, Sean O' Connell (poco più di una cameo ma di grandissima classe per Sean Penn), per essere la storica copertina dell'ultimo numero del Life di carta. La foto non si trova da nessuna parte e Walter decide di lasciare il suo rassicurante ufficio per inseguire O'Connell per mezzo mondo per farsi consegnare il negativo. Dall'Alaska all'Islanda, per finire in Nepal e Afganistan, Walter scoprirà un lato di sè sopito da sempre a causa delle responsabilità familiari. Mano a mano che Walter inizia a vivere una vita sua, inizia ad avere meno bisogno di immaginarne una diversa; il regalo dell'amico fotografo più che un'occasione da copertina sembra essere l'occasione per imparare a vivere il presente.


Stiller ci porta in un viaggio in posti che la maggior parte di noi non vedrà mai, regalandoci panorami spettacolari fotografati benissimo da Stuart Dryburgh (collaboratore di Jane Campion nella prima fase della sua carriera). I punti in comune con il Walter Mitty di Kaye si limitano al sogno ad occhi aperti ed a un percorso di formazione che porta il personaggio a scoprire di essere in grado di vivere le avventure da sempre soltanto immaginate. In entrambi i casi il motore della presa di coscienza è una donna da conquistare. La vera sorpresa è che Stiller coglie in pieno l'occasione per dimostrarci di essere un cineasta vero: la scena della corsa in skateboard prima dell'eruzione dell'Eyjafjallajökull (il vulcano islandese che causò lo stop del traffico aereo in europa qualche anno fa) è una gioia per gli occhi, il karaoke in Alaska raggiunge quasi il livello espressivo di quello di Lost in translation. A fare da cornice al tutto la riflessione su un mondo della finanza più stupido che spietato, più avido che cattivo. E' la superficialità a fare il danno peggiore nella visione "stilleriana" della ristrutturazione della rivista in cui lavora Mitty. La ripetizione quasi ossessiva del motto di Life è emblematica: vedere, fare, capire, incontrarsi sono le parole chiave, tutto il contrario di quei personaggi finti fino alla punta della barba a cui è affidato il futuro di una delle più iconiche pubblicazioni di sempre e - soprattutto - delle persone che l'hanno resa tale dedicandovi tempo e passione.


A I sogni segreti di Walter Mitty manca ancora qualcosa per essere un capolavoro assoluto, però non sbaglia il finale (non dico di più) e mette insieme una vera sinfonia dell'immagine: ambientato nella rivista che forse più di tutte ha fatto della fotonotizia un'arte, ci porta di panorama in panorama, fino a giungere al momento in cui Walter ritrova finalmente O'Connell e questi gli spiega il significato del suo modo di vivere. Il contrasto fra i manager rappresentati in modo quasi bidimensionale e la profondità di campo che assume la vita di Mitty quando decide di mettersi in gioco è quasi poesia.
La sala gremita a tre settimane dall'uscita nei cinema mi dice che Stiller ha colpito nel segno: un film divertente ma delicato che fa venir voglia di rivederlo. 


2013 - I sogni segreti di Walter Mitty (The secret life of Walter Mitty)
Regia: Ben Stiller
Fotografia: Stuart Dryburgh
Scenografia: Jeff Mann

lunedì 27 gennaio 2014

Il fantasma del palcoscenico - Somebody Super like You


Come sapranno i miei lettori abituali fra tutti i generi di film, l'unico che non apprezzo è lo horror. Tuttavia la recente uscita di un remake di un famoso horror di Brian De Palma ha generato una (breve in realtà) serie di collegamenti laterali che mi ha riportato alla mente uno dei miei miti adolescenziali: Phantom of the Paradise.


Siamo nel 1974 e De Palma è ancora una brillante promessa e non il venerato maestro di Scarface, Gli Intoccabili e Carlito's way. Gli viene riconosciuto grande talento, riesce già a lavorare con attori famosi ma non ha ancora fatto il film della svolta (che sarà poi Carrie, oggi uscito in remake): il giovane (34 anni) De Palma esce con il film che gli darà la prima fama internazionale, Phantom Of The Paradise, di cui scrive soggetto e sceneggiatura e firma la regia. La trama è un pot-pourri di miti romantici, De Palma vi mischia il Faust inseme a Il fantasma dell'opera, La bella e la bestia, e un pizzico de Il ritratto di Dorian Gray; il tutto è condito da cinismo, violenza e denuncia sociale, un tipo di mix che ha raggiunto il suo apice proprio negli anni 70.
l'estetica glam rock e la carica trasgressiva non possono lasciare indifferenti e infatti la pellicola ha ispirato diversi artisti, da Bret Easton Ellis ai Daft Punk (complimenti per il trionfo ai Grammy), fino ai fratelli Wachowski. Segnalo la presenza di Sissy Spacek in veste di scenografa (il suo allora fidanzato Jack Fisk era Art Director).


Il sulfureo Swan è interpretato da Paul Williams, compositore e paroliere che in questa occasione canta anche (è sua la voce di Leach cantante). Il geniale e candido Winslow Leach è interpretato da William Finley, collaboratore abituale di De Palma, soprattutto nella prima fase della sua carriera. La ambiziosa Phoenix è una Jessica Harper che disegna benissimo la doppiezza del suo personaggio, diviso fra la tensione all'arte pura e al vanità della rockstar. Uno dei personaggi migliori è di certo Beef (Gerrit Graham), l'ambiguo e glamourosissimo cantante terrorizzato dal fantasma del palcoscenico.


In un momento della sua vita in cui De Palma si trova a dover decidere fra l'arte per l'arte e le tentazione del grande business, la metafora è fin troppo chiara. Di tutti i personaggi del film, verrebbe da dire, il più pulito ha la rogna. Swan rifiuta di invecchiare, Phoenix si dà letteralmente via in cambio del successo, persino il mite Winslow si trasforma in un assassino efferato e senza alcun rimorso, portato a diventare mostro nelle azioni e non solo nel fisico. Phantom of the Paradise è un film irresistibile se avete fra i sedici ed i venti anni e cercate humour nero, surrealismo, violenza, grandi canzoni e un amore che supera ogni ostacolo.


1974 - Il fantasma del palcoscenico (Phantom of the Paradise)
Regia, soggetto, sceneggiatura: Brian De Palma
Musiche: Paul Williams
Costumi: Rosanna Norton

giovedì 23 gennaio 2014

Madonna - Beautiful stranger - Brett Ratner


Di Brett Ratner si è già parlato in qualche occasione su questo blog: la prima volta come autore del divertente e un po' "strano" e corale Tower Heist, in seguito come produttore dell'illuminante Come ammazzare il capo e vivere felici, infine a proposito dei Razzie 2014 perchè è uno dei tanti autori di Comic Movie.
A Ratner non potrò mai perdonare di avere diretto X-Men conflitto finale, una vera delusione dopo i primi due magistrali capitoli diretti da Bryan Singer, me gli vanno riconosciute capacità tecniche e fiuto per le buone occasioni, doti sicuramente affinate durante la sua lunga carriera di video maker; oltre ad essere il regista di fiducia di Mariah Carey ha infatti lavorato per P. Diddy, Wu Tang Clan, Jessica Simpson, oltre ad aver contribuito all'avvio delle carriere di Vanessa Hudgens e Miley Cyrus (quando ancora non twerkava compulsivamente).

Uno dei video più belli e premiati (un Grammy e un MTV) girati da Ratner è proprio legato ad un film, l'orrendo Austin Powers La spia che ci provava diretto ad onor del vero da Jay Roach: nel video Mike Myers fa da spalla ad una scatenata ed inusualmente autoironica Madonna che canta un pezzo tratto dalla colonna sonora del film (in seguito inserito nel suo secondo Greatest Hits).
A mio modesto avviso Madonna era qui nel periodo di forma artistica migliore, quello che va da Ray of Light fino a Confessions on a  Dance Floor. Il pezzo è Beautiful Stranger, non perdetevi la sequenza "psichedelica" in cui lei e Austin ballano su uno sfondo caleidoscopico e coloratissimo, in puro stile anni 60. 

Per gli appassionati dei film genere, a firma di Ratner, uscirà prossimamente Hercules The Thracian Wars, basato sulla graphic novel di Steve Moore con protagonista un muscolosissimo Dwayne Johnson. Io però aspetto con ansia Horrible Bosses 2



1999 - Beautiful stranger
Artista: Madonna
Regia: Brett Ratner
Album: GHV2 (2001)

lunedì 20 gennaio 2014

The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca


Lee Daniels, autore del super-acclamato Precious e del meno apprezzato ma non meno coraggioso The Paperboy, torna sul grande schermo come autore di uno dei film più attesi: The Butler. Si tratta di una sorta di cronologia della emancipazione razziale negli Stati Uniti nel ventesimo secolo vista attraverso gli occhi di un testimone oculare: Cecil Gaines, maggiordomo della Casa Bianca.


La sceneggiatura trae spunto da un articolo sul personaggio principale (il cui vero nome è Eugene Allen) comparso sul Washington Post,  A Butler Well Served by This Election.  Nel film vediamo il piccolo Cecil crescere in una piantagione di cotone in Georgia, assistendo ai soprusi che portano all'omicidio del padre e alla follia della madre. Cecil viene cresciuto come servitore all'interno della casa dei bianchi padroni della piantagione, per poi trasferirsi l nord per lavorare come domestico in un albergo dove viene notato da un funzionario della Casa Bianca, che gli fa pervenire un'offerta di lavoro.
Divenuto maggiordomo presidenziale vediamo Cecil passare una vita diviso fra un lavoro di cui non può parlare neppure con la moglie, a continuo contatto con i diversi Presidenti che vediamo succedersi nella carica, e la vita privata con il figlio Louis che diventa attivista delle Pantere Nere. Lo scontro fra padre e figlio richiama, in una dimensione privata una divergenza storica fra padri e figli della comunità afroamericana a cavallo degli anni 60: ai padri sembrava di avere ottenuto già molto, i figli rivendicavano una effettiva parità con i cittadini bianchi.


Grandi scenografie, con la Casa Bianca ed i suoi arredi riprodotti fedelmente e belli anche i costumi, molto fedeli alle diverse epoche. La lista degli interpreti è lunghissima: Forest Whitaker interpreta il maggiordomo sfoggiando come di consueto un talento inconsueto, Oprah Winfrey offre una rimarchevole performance nel ruolo della moglie Gloria, al suo fianco per tutta la vita, David Oyelowo è invece un Louis Gaines sempre arrabbiato ma senza cedere alla tentazione della violenza. Lenny Kravitz e Cuba Gooding Jr.  interpretano i colleghi ed amici di Cecil. Fra i vari presidenti spiccano Robin Williams (Eisenhower) e Liev Schreiber (Johnson). Impressionante la somiglianza fisica di Jane Fonda con Nancy Reagan. Yaya DaCosta Alafia (interpreta la fidanzata di Louis) meriterebbe una citazione solo per la bellezza mozzafiato, che da sola varrebbe il prezzo del biglietto.


The Butler è un film assai più ambizioso di quanto possa apparire a prima vista; tutti gli eventi più salienti della lotta per i diritti civili dei neri americani vengono citati o ricostruiti; è un vero punto di vista afroamericano sulla storia moderna degli Stati Uniti. A mio parere tuttavia Daniels perde l'occasione di fare un memorabile film corale su una ferita ancora aperta (come purtroppo i fatti di cronoca registrano ancora oggi) e si concentra troppo sulla metafora del conflitto fra padre e figlio; in questo modo si perde un po' nel didascalico senza approfondire davvero i sui personaggi. Senza le intense performance di Whitaker e della Winfrey dubito che il film avrebbe il mordente emotivo che fa scattare le lacrime in sala.


Il film è stato molto penalizzato dalla Academy che non lo ha candidato nemmeno per una statuetta nelle categorie tecniche, probabilmente anche per il confronto con 12 years a slave, che tratta un argomento simile. Però una nomination alla Winfrey o - se non altro - una per i costumi non avrebbero affatto sfigurato. Daniels dovrà accontentarsi del consenso del pubblico e di incassi che ad oggi superano già di cinque volte il budget di produzione.

2013 - The Butler: un maggiordomo alla Casa Bianca (The Butler)
Regia: Lee Daniels
Costumi: Ruth E. Carter
Scenografia: Tim Galvin

venerdì 17 gennaio 2014

Razzie Awards 2014


Sì, sappiamo tutto ormai sulle nomination ai premi Oscar, sperando che tutto il tam tam che si sta facendo su La Grande Bellezza non porti più male che bene.
Chi ha visto tutti i film candidati può, prima di iniziare a pavoneggiarsi con gli amici per il proprio fiuto in fatto di cinema, consultare l'elenco delle nomination ai Razzie Awards, i premi tradizionalmente dedicati alle peggiori performance dell'anno, altrettanto tradizionalmente mai ritirati dagli sfortunati vincitori.

Il premio più politicamente scorretto quest'anno punisce con severità il blockbuster da 250 milioni di $ Un weekend da bamboccioni 2, che fa en plein con ben nove nominations. Anche After Earth con Will e Jaden Smith non se la cava male, portandosi a casa anche un'accusa di apologia di nepotismo.
The Lone Ranger (a me era piaciuto tanto...) dimostra che ogni tanto anche Verbinski e Bruckheimer possono sbagliare, Lindsay Loahn e Sylvester Stallone concorrono per tutti i film che hanno fatto nell'anno; non passa inosservato l'esordio di Lady Gaga sul grande schermo.

Il primo marzo sapremo chi sono i vincitori, nel frattempo non vi tolgo tutto il gusto di scoprire le nomination una ad una, ma vi lascio con una domanda: quanti film nominati avete visto quest'anno? Io mi son fatto fregare una volta sola, ma ne avrei voluti vedere almeno altri tre... e voi?

E via con le nominations!

Peggior film
The Lone Ranger
After Earth
Un weekend da bamboccioni 2
A Madea Christmas
Comic movie

Peggior Attore protagonista
Johnny Depp (The Lone Ranger)
Ashton Kutcher (Jobs)
Jaden Smith (After Earth)
Sylvester Stallone (Bullet To The Head, Escape Plan, Grudge Match)
Adam Sandler (Un weekend da bamboccioni 2)

Peggior attrice protagonista
Lindsay Lohan (The Canyons)
Naomi Watts (Diana, Comic Movie)
Selena Gomez (Getaway - Via di fuga)
Tyler Perry (A Madea Christmas)
Halle Berry (Comic movie, The Call)

Peggior Attrice non protagonista
Lady Gaga (Machete Kills)
Salma Hayek (Un weekend da bamboccioni 2)
Katherine Heigl (The Big Wedding)
Kim Kardashian (Tyler Perry's Temptation)
Lindsay Lohan (InAPPropriate Comedy, Scary Movie 5)

Peggior attore non protagonista
Chris Brown (Battle Of The Year - La vittoria è in ballo)
Larry The Cable Guy (A Madea Christmas)
Taylor Lautner (Un weekend da bamboccioni 2)
Will Smith (After Earth)
Nick Swardson (Ghost movie, Un weekend da bamboccioni 2)

Peggior team del grande schermo
L'intero cast di Un weekend da bamboccioni 2
L'intero cast di Comic movie
Lindsay Lohan & Charlie Sheen (Scary Movie 5)
Tyler Perry & Larry the Cable Guy  (A Madea Christmas)
Jaden Smith & Will Smith sul pianeta Nepotismo (After Earth)

Peggior regista
I tredici tizi che hanno diretto Comic Movie
Dennis Dugan (Un weekend da bamboccioni 2)
Tyler Perry (A Madea Christmas, Temptation)
M. Night Shyamalan (After Earth)
Gore Verbinski (The Lone Ranger)

Peggior sceneggiatura
After Earth
Sceneggiatura: Gary Whitta and M. Night Shyamalan,
Soggetto: Will Smith

Un weekend da bamboccioni 2
Sceneggiatura: Fred Wolfe & Adam Sandler & Tim Herlihy

The Lone Ranger
Soggetto non originale e sceneggiatura: Ted Elliott, Justin Haythe & Terry Rosso

A Madea Christmas
Sceneggiatura: Tyler Perry

Comic movie
Sceneggiatura: 19 "Sceneggiatori"

Peggior remake, reboot o sequel
Un weekend da bamboccioni 2
Una notte da leoni 3
The Lone Ranger
Scary Movie 5
I Puffi 2

lunedì 13 gennaio 2014

Dal Profondo


La Sarraz Pictures è una piccola casa di produzione torinese specializzata in documentari, a cui si devono anche alcuni gioielli di fiction, ad esempio l'inconsueto e geniale Sette opere di misericordia. Tornando ai documentari, un anno e mezzo fa circa durante una proiezione al Museo del Cinema di Torino, avevo avuto l'occasione di conoscere ed intervistare Francesca Balbo, autrice di un delicatissimo documentario sulle ultime casellanti di una linea ferroviaria che si trova in Sardegna, Cadenas. A distanza di diciotto mesi, La Sarraz torna con un nuovo documentario, sempre ambientato in Sardegna, che parla ancora di un mestiere che va scomparendo e dello strano rapporto fra i lavoratori ed un lavoro strano e difficile, ma affascinante.

Dal Profondo è, appunto, un documentario girato da Valentina Pedicini all'interno della miniera Carbosulcis, ormai in via di dismissione (oggi è in fase di chiusura). Sorprendentemente fra i minatori vi è anche una donna, Patrizia, che si fa mentore dell'autrice e dello spettatore in un viaggio all'interno dello strano universo parallelo che si trova 500 metri sottoterra, abitato da personaggi veri, sorprendenti e commoventi. 


La pellicola mostra il lavoro all'interno della miniera, la protesta sindacale dei minatori contro la paventata (e in seguito effettivamente attuata) chiusura della miniera e le riflessioni personali di Patrizia e di alcuni dei suoi colleghi, ripresi sempre all'interno delle gallerie scavate nella roccia, a volte amare, a volte ironiche, sempre di un'autenticità commovente, anche quando - come espediente documentaristico - la Pedicini sceglie di "mettere in scena" i minatori riprendendoli mentre chiacchierano, o addirittura facendoli guardare in camera, quasi che la rottura della quarta parete potesse portarci lì, al loro fianco.


Le difficoltà tecniche ed amministrative di girare un film all'interno quella che è pur sempre una azienda, per quanto piuttosto inconsueta, le possiamo solo immaginare. A riprova, invece, della perizia tecnica con cui è realizzato Dal profondo ha vinto il premio come miglior documentario italiano all'ultimo Festival di Roma. Oltre a un soggetto originale e sviluppato con intelligenza, il film può vantare un 'ottima tecnica realizzativa: alcuni dolly sono davvero magistrali, la luce è utilizzata in modo molto suggestivo e con sicura efficacia: in alcune soluzioni mi ha ricordato nientemeno che qualche passaggio di Cave of forgotten dreams di Herzog, forse per l'analoga ambientazione sotterranea.  Di grande impatto la scena all'inizio del film con il montacarichi che lentamente scende nelle viscere della terra accompagnato dai pensieri di Patrizia; personalmente ho molto apprezzato anche la scena girata nelle docce con i minatori che cantano - con ottima tecnica, complimenti vivissimi - la Turandot.
Molto suggestiva la sequenza finale, con un ritorno alla luce che sa di sconfitta, con un paesaggio volutamente desolato oltre i mucchi di carbone ormai inutilizzato: il compimento del rovesciamento logico che rende la buia e malsana miniera un luogo quasi sacro, mentre al di fuori non c'è che un territorio ostile.


I "minatori del Sulcis" costituiscono un'immagine un po' stereotipata nell'immaginario comune, Pedicini ci porta a vederli da vicino: possiamo così scoprire la dignità, la cultura e il senso di appartenenza che contraddistinguono coloro che hanno scelto di fare questo strano mestiere. 
Un mestiere che - un po' come per le casellanti di Cadenas - forse davvero non ha più senso di esistere malsano, povero e faticoso com'è. Proprio per questo però gli uomini e le donne che per generazioni vi si sono dedicati meritano almeno una memoria dei loro sacrifici e del loro duro travaglio quotidiano e il film in questo rende loro piena giustizia. 
In calce riporto il programma delle proiezioni italiane nelle prossime settimane; lasciatevi sorprendere da un vero e proprio universo sotterraneo che, nonostante il tema poco accattivante, al termine dei settanta minuti vi avrà coinvolto, interessato e commosso. 


2013 - Dal Profondo
Regia: Valentina Pedicini
Fotografia: Jakob Stark
Suono: Martin Fliri
Musiche: Federico Campana

Programmazione Gennaio 2014

30 gennaio e 2 febbraio
Trieste
Cinema Dei Fabbri
Via Dei Fabbri 2/A

17 gennaio
Bergamo
 ore 21:00
Teatro Tascabile di Bergamo
Via Boccola, ang.Piazza Mascheroni

15 e 22 gennaio
Milano
 ore 18:45 e 21:00
Cinema Palestrina
Via Giovanni Pierluigi da Palestrina, 7

15 e 16 gennaio
Borgomanero (NO)
 ore 21:15 (15/01) e 20:30, 22:00 (16/01)
Cinema Nuovo
Via IV Novembre, 25

dal 10 al 13 gennaio
Castelceriolo (AL)
 ore 21:30 
Cinema Macallè
Via Marsala, 1

venerdì 10 gennaio 2014

Capitan Harlock


Come a suo tempo preannunciato è finalmente giunto sugli schermi italiani il film di Capitan Harlock. L'operazione ha la benedizione dell'autore del manga originale, Leiji Matsumoto, e benchè si tratti di un reboot che nulla ha a che vedere con la storia narrata nei cartoni trasmessi a cavallo fra gli anni 70 ed 80 sulla RAI ne conserva lo spirito e molti dei personaggi.
Alcune spunti sono molto interessanti, come il "motore a Dark Matter" inventato da una specie aliena ormai quasi estinta e l'idea della Terra resa inaccessibile dopo la colonizzazione dello spazio.


Se nella saga originale Harlock si batteva contro un esercito di aliene votate alla conquista della Terra, le Mazoniane, in questa versione cinematografica il pirata spaziale si trova in una situazione altrattanto complessa: la popolazione umana ha raggiunto i 500 miliardi di unità, colonizzando lo spazio. Il genere umano vive di conseguenza una situazione di esilio dalla Terra (che non potrebbe ospitare così tanta gente) e in costante anelito al ritorno sul pianeta natio, al punto da scatenare una guerra (la guerra di ComeHome) per riconquistare il diritto al rientro. Dopo la conclusione della guerra la Gaia Sanction ha instaurato una sorta di regime dittatoriale e dichiarato la Terra "luogo sacro" impedendo a chiunque di accedervi.
Gli unici ad opporsi allo stato delle cose sono Capitan Harlock e la ciurma della sua nave, l'Arcadia. La gaia Sanction invia sull'astronave una spia - il giovane Yama, fratello del comandante in capo delle forze armate - per eliminare lo scomodo oppositore. Ma nel futuro, o in un lontano passato, nulla è come sembra e le scoperte che farà il giovane gli imporranno di prendere posizione in base a una nuova consapevolezza. Sarà sufficiente a salvare la Terra?


Lo spirito del cartone originale è stato preservato con grande attenzione: l'ecologismo, la lotta con qualsiasi mezzo al potere, alla corruzione, all'apatia indotta da governanti disonesti sono tutti temi ancora attuali (e quando mai non lo sono stati?). Il fascino del taciturno e tormentato pirata spaziale è ancora intatto. I personaggi di contorno come Yattaran e Kei (parziale rinomina del personaggio di Yuki, la giovane ufficiale di plancia dell'Arcadia) sono un più "seri" rispetto al cartone TV. Analogamente a quanto visto in precedenza anche qui l'Arcadia ospita lo spirito del migliore amico di Harlock, dando all'astronave una sorta di personalità propria.
La computer grafica, opera della "storica" TOEI Animation è magistrale, anche senza motion capture i movimenti dei personaggi sono straordinariamente fluidi e naturali; le scene di combattimento fra navi spaziali sono maestose ed il 3D è estremamente coinvolgente e non dà luogo a sensi di fastidio o principi di mal di mare. Contrariamente a quanto ho letto da più parti, il personaggio principale ha un minutaggio di tutto rispetto ed una presenza di grande impatto: quando in scena c'è Capitan Harlock l'attenzione è tutta per lui.


Ci si potrebbe domandare se sia davvero il caso di riportare in scena un personaggio oscuro, tormentato e dimenticato da tempo come Capitan Harlock, tuttavia la difesa della Terra e di quanto di bello e di buono vi trova casa è un tema sempre più valido. La difesa della libertà da una sorta di governo globale che prende il controllo in modo autoritario è un tema ancora più attuale che non trenta anni fa, anche senza scadere nel complottismo da quattro soldi. Harlock è una efficace analogia, e in questo è emblematico il finale del film, per dirci che ciascuno di noi, ogni giorno, è chiamato a tenere gli occhi aperti, a ragionare con la propria testa e - se necessario - a ribellarsi all'ingiustizia, magari senza usare gli stessi mezzi di cui si serve il pirata tutto nero. Non sono importanti gli uomini, sembra dirci il Fukui, quello che conta è la libertà, ed è questa a dare nuova vita a chi combatte per essa.
Un po' violento, ma mi sento di consigliarlo dai dieci anni in su.



Raflesia: Perché ti ostini tanto a proteggere quella Terra dalla quale sei fuggito disgustato e avvilito?

Capitan Harlock: Perché? Perché laggiù sbocciano i fiori. Perché la Terra è profumata. Perché la sua natura è la cosa più bella di tutto l'universo e perché gli uomini un giorno capiranno finalmente che il vero paradiso è quello. Ma soprattutto perché là vive la creatura che io amo di più.
(Capitan Harlock ep.41)

2013 - Capitan Harlock (Uchū Kaizoku Kyaputen Hārokku)
Regia: Shinji Aramaki
Sceneggiatura: Harutoshi Fukui e Leiji Matsumoto
Character setup: Junho Choi
Layout artist: Matt Farrell


venerdì 3 gennaio 2014

American hustle - L'apparenza inganna


David O. Russell sarà anche noto per le proprie intemperanza sul set (che lo hanno spesso portato a  furiose liti con importanti nomi dello star system), ma se il risultato continua a mantenersi sui livelli che ha raggiunto ultimamente, possiamo anche dire: ecchissenefrega!


Il regista più in voga del momento ha raccolto intorno a sè una collaudata squadra di interpreti: da The Fighter sceglie Christian Bale (là ridotto ai minimi termini, qui invece ingrassatissimo) e una sempre grande Amy Adams; da Il lato positivo si porta dietro Bradley Cooper, la donna dell'anno Jennifer Lawrence e il lusso di una comparsata di Robert De Niro.
La storia è ambientata - con costumi e scenografie molto convincenti - nei tardi anni 70, si racconta di Irving e Sidney (Bale e Adams), una coppia di truffatori di piccolo cabotaggio incastrati dall'agente dell'FBI Richie DiMaso (Cooper) al fine di farsi aiutare nella cattura di alcuni politici corrotti, primo fra tutti il sindaco di una depressa cittadina del New Jersey, Carmine Polito (Jeremy Renner) che vorrebbe far rinascere i fasti della città di Atlantic City (storicamente una mecca per giocatori, mafiosi e contrabbandieri grazie ai suoi casinò e alle bische più o meno clandestine) per creare nuovi posti di lavoro.
Per attrarre il politico, l'FBI si inventa un fantomatico sceicco interessato a finanziare l'operazione. Quando la mafia viene (inevitabilmente) coinvolta nella truffa, Irving si sente ormai perso. Ma in un mondo dove l'apparenza inganna (come recita il controtitolo italiano) chi è truffato e chi è truffatore si capirà solo alla fine.


Fantastiche le scenografie di Judy Becker, collaboratrice abituale di Russell ma autrice anche di quelle - superlative - di Hitchcock; spettacolari i costumi di Michael Wilkinson (300, Watchmen, Tron Legacy, L'uomo d'acciaio, i due Breaking Dawn). Amy Adams dopo diversi ruoli da brava ragazza può finalmente far uscire un lato sexy (che scollature!) sopito quanto efficace, Christian Bale con ventrazza e riporto è semplicemente impressionante; Jennifer Lawrence a ventitre anni dimostra una maturità artistica ormai compiuta.
Alcune scene davvero geniali, fra tutte scelgo quella dove Carmine e Irving al ristorante cantano Delilah con trasporto molto popolare.


L'ottima sceneggiatura è scritta originariamente da Eric Warren Singer con il titolo di American Bullshit e successivamente riveduta insieme al regista. Se gli aspetti estetici legati al periodo di ambientazione e alle trasformazioni fisiche degli attori colpiscono immediatamente l'immaginario dello spettatore, man mano che la trama si dipana fra colpi di scena e sorprese continue, quello che emerge è l'aspetto culturale: i personaggi di American Hustle ingannano e truffano perchè non si aspettano più nulla dal prossimo: nè dallo Stato, nè dai politici, nè dai propri amici. I federali e i magistrati non ricercano la giustizia, ma un posto in prima pagina che li aiuti a far carriera, arrestando politici affaristi che fanno più o meno la stessa cosa. Ognuno pensa solo per sè cercando di emergere come può: un sottobosco culturale dal quale è facile immaginare di vedere spuntare un modello culturale alla Gordon Gekko, avido ed amorale ma a suo modo sincero. Ne riparleremo forse quando uscirà il prossimo The wolf of Wall Street.
Altamente consigliato, due ore e un quarto che riconciliano con il grande schermo. Fortunatamente in periodo vacanziero trovare il tempo non vi sarà difficile.


2013 - American Hustle L'apparenza inganna (American Hustle)
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: Eric Warren Singer, David O. Russell
Musica: Danny Elfman
Costumi: Michael Wilkinson
Scenografia: Judy Becker

giovedì 2 gennaio 2014

Blue Jasmine


A 78 anni suonati, Woody Allen non ha alcuna intenzione di fermarsi, anzi rilancia con un film crudo e intenso, molto poco alleniano, grazie la quale dimostra di avere ancora una verve creativa ed una lucidità di sguardo che pochi possono vantare.
Blue Jasmine non solo non è una commedia, ma è quasi totalmente privo dell'ironia che da sempre caratterizza l'autore; in compenso il film, triste e spietato com'è, rimane in testa a lungo, più a lungo di qualsiasi altro titolo di Allen.


Jasmine altro non è che il nome con il quale si ribattezza Jeanette, donna di umili origini che trova, grazie al marito finanziere newyorchese, il proprio posto nell'opulenta alta società a stelle e strisce. Quando il matrimonio va a rotoli ed il marito finisce incarcerato, Jasmine perde di colpo ogni collegamento col mondo reale. In preda alle crisi di nervi, si trasferisce A San Francisco dalla pseudo-sorella (le due sono state adottate dalla stessa famiglia, ma non condividono alcune legame di sangue) Ginger, una modesta cassiera di supermercato. Fra puerili tentativi di ricostruirsi una vita e battibecchi con la sorella a proposito del suo gusto per gli uomini, Jasmine conoscerà il ricco e gentile Dwight, mentre Ginger sarà sedotta dal vulcanico Alan.
Per le due sorelle verrà presto il momento di giocarsi tutte le carte a disposizione per "svoltare", finalmente in una partita in cui è in gioco l'opportunità di vivere la vita che entrambe sognano.


Cate Blanchett prenota un Oscar per l'interpretazione della psicolabile Jasmine in una parte in cui è fortissimo il rischio di scadere nella macchietta o nel grottesco. La Blanchett si mantiene su un registro tragico ma sempre realistico con grande maestria. L'Oscar sarebbe meritato. Alec Baldwin ritorna a recitare con Allen dopo To Rome with love, qui interpreta con naturalezza il marito di Jasmine, un vero squalo della finanza, descritto esplicitamente come un truffatore, in realtà perfetto stereotipo del self made man senza scrupoli che solo per caso finisce nelle maglie della giustizia piuttosto che sulla copertina di Fortune.
Sally Hawkins nel ruolo di Ginger è - come sempre - bravissima, nella parte di una donna modesta ma pragmatica.
Nel cast tecnico è un piacere salutare il ritorno in un film di Allen di Santo Loquasto, la fotografia è uno dei punti forti del film ed è firmata dal maestro spagnolo Javier Aguirresarobe, con cui Allen aveva già collaborato per Vicky Christina Barcelona.


Non c'è ottimismo, non c'è pietà, non c'è speranza in questo Blue Jasmine, c'è invece una fortissima critica alla degenerazione del sogno americano ed alla mancanza di cultura: a causa della propria mancanza di risorse le due protagoniste Jasmine e Ginger non sono nulla senza un uomo al proprio fianco, sia pure nella differenza dei sogni  che nutrono. La differenza è che Jasmine di fronte a qualsiasi verità sgradevole si forza a non vedere, mentre Ginger è in grado di accettare la propria condizione. E' un mondo senza amore, quello dipinto da Allen, un mondo dove tutto è menzogna, al punto che Jasmine resterà prigioniera della propria coazione a dipingersi la realtà come lei la vorrebbe invece di affrontarla per come è. Un film che da un 78enne famoso per il pungente sense of humour proprio non ci aspetteremmo, anche se la qualità della pellicola in ogni suo comparto e la dimostrazione di vitalità dell'artista sono più che soddisfacenti.
Da non vedere se siete in cerca di "un film di Woody Allen" o di un rilassante svago natalizio, se invece non avete mai potuto sopportare il regista di Manhattan forse questo film vi farà ricredere. In ogni caso un film di cui on ne peut pas s‘en passer.


2013 - Blue Jasmine
Regia: Woody Allen
Fotografia: Javier Aguirresarobe
Scenografia: Santo Loquasto
Costumi: Suzy Benzinger