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martedì 25 febbraio 2014

A proposito di Davis - Baby let me follow you down


Un uomo cammina per le strade fredde e innevate di New York, senza neppure un cappotto addosso, ma porta con sè la custodia di una chitarra acustica. L'atmosfera ricorda molto da vicino la copertina di The freewheelin' Bob Dylan, e non è un caso.
A proposito di Davis descrive l'ambiente dei musicisti folk nel Village nei primissimi anni 60. La figura di Bob Dylan aleggia in ogni inquadratura senza tuttavia comparire (quasi) mai. La musica è probabilmente il personaggio a cui è dedicato il maggior metraggio nella pellicola: ci sono moltissime canzoni, accuratamente selezionate, riprese dal principio alla fine e cantate in presa diretta dagli stessi attori.
Senza azzardarsi nella ricostruzione storiografica, i fratelli Coen ricostruiscono un'atmosfera ispirando i propri personaggi a figure reali, ispirandosi alla autobiografia di Dave Van Ronk, un musicista folk attivo in quel periodo (fu lui ad arrangiare due famosi pezzi del brimo album di Dylan: Baby, let me follow you down e la celeberrima House of the rising sun). L'operazione si potrebbe quasi considerare una docufiction, data la sostanziale assenza di una trama, che - devo ammettere - lascia abbastanza scombussolato lo spettatore.



Llewin Davis, il personaggio principale, è un giovane musicista folk che vive la propria vita alla ricerca di ingaggi, dormendo sui divani di amici e conoscenti, nella speranza di essere notato da qualche produttore importante (fa anche un viaggio fino a Chicago per conoscere il famoso Bud Grossman, che nella realtà diventerà di lì a poco il manager di Dylan) e ottenere finalmente il successo che ne "certifichi" il talento. Non è il talento a far difetto in Llewin, a ben vedere, ma la volontà e la determinazione. Come tutti coloro che non conoscono con esattezza il proprio posto nel mondo, Davis si lascia vivere giorno per giorno, costantemente combattuto fra l'ansia per i successo e la difesa della propria purezza artistica. Con quale sogghigno di sufficienza partecipa alla jam session con Jim e Al Cody! E' talmente fuori fase che non riesce neppure ad arrendersi, quando decide di imbarcarsi nella marina mercantile scopre di aver gettato via le licenze d'imbarco!
E tuttavia proprio quando lo vediamo ormai sconfitto la storia riprende da capo; forse non tutto è perduto per la carriera di Llewin.


I personaggi sono tutti, quale più quale meno ispirati ad artisti realmente esistiti; per raccapezzarvi nel guazzabuglio delle corrispondenze vi consiglio di leggere questo post. Il protagonista è interpretato da Oscar Isaac (visto - con dubbi - in Robin Hood, più convincente in Drive) che disegna un Llewin sempre più perplesso dalle grottesche disavventure che si susseguono. Carey Mulligan meriterebbe l'Oscar per l'insulto più bello dell'anno ("tutto quello che tocchi diventa merda, sembri il fratello idiota di Re Mida!"), John Goodman impersona un jazzista eroinomane (del resto...sono mai esistiti jazzisti non tossicomani?) e malmostosissimo, Justin Timberlake ancora una volta sceglie con oculatezza un ruolo secondario ma che gli si cuce addosso molto bene.
Ben curati i costumi di Mary Zophres (collaboratrice abituale dei Coen, ma ha fatto anche cose molto diverse come Iron Man 2 e Interstellar il prossimo e attesissimo film di Christopher Nolan).
Bruno Delbonnel (Il favoloso mondo di Amélie, Across the Universe, Dark Shadows) si è guadagnato come minimo la nomination all'Oscar per la fotografia, ispirata proprio alle copertine dei primi album di Bob Dylan.


Il film è molto difficile da seguire dal momento che gli avvenimenti rappresentati sullo schermo non sono legati logicamente fra loro: da un lato ciò che interessa i Coen è rendere l'idea di un ambiente artistico in uno specifico momento storico, dall'altro è importante per il film che il protagonista sia sbattuto di qua e di là senza un motivo. La struttura circolare della sceneggiatura riesce però a dare una significato a tutto quanto. 
Anche se rispetto al loro solito mi pare che le citazioni filmiche siano meno numerose del solito (degno di nota però il nome del proprietario del locale  in cui Llewin si esibisce abitualmente: Pappi Corsicato), Inside  Llewin Davis resta una delle opere più indecifrabili dei Coen, privo com'è di un personaggio coinvolgente e di una storia con un inizio e una fine. Se la pellicola nel suo complesso non entusiasma, l'eleganza compositiva, le ottime prove attoriali (per nulla premiate dall'Academy) e la interessante colonna sonora ne fanno una pellicola che merita di essere vista.



2013 - A proposito di Davis (Inside Llewin Davis)
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia: Bruno Delbonnel
Costumi: Mary Zophres
Scenografia: Jess Gonchor

lunedì 17 febbraio 2014

Monuments men


Proveniente dal 64° Festival di Berlino, è giunto sui grandi schermi italiani Monuments Men, il quinto film da regista di George Clooney dove si racconta di una operazione poco nota della Seconda Guerra Mondiale e film corale nel quale, oltre al bel George danno ottima prova di sè anche Matt Damon, Bob Balaban, John Goodman, Bill Murray, Cate Blanchett e Jean Dujardin.


I Monuments Men sono i membri di una unità speciale delle forze alleate: professori universitari, curatori museali, architetti e professionisti dell'arte in genere che vennero reclutati per salvare dai bombardamenti e recuperare dal saccheggio nazista le opere d'arte che costituiscono il patrimonio culturale su cui si fonda non solo l'Europa, ma la intera identità occidentale. Un plotone di improbabili e attempati soldati, che danno vita ad una unità di truppe davvero speciali, direttamente sotto al comando del generale Eisenhower.
Il film mostra i rapporti non sempre facili fra i componenti del gruppo e quelli quasi sempre tesi con i comandanti delle truppe sul campo, poco inclini a rischiare la vita dei propri uomini per salvare delle opere d'arte; poco a poco i Monuments Men iniziano a mietere successi nel recupero e - quando possibile - nella restituzione ai legittimi proprietari di migliaia di opere. Anche la guerra si avvia a conclusione non per questo i Monuments Men saranno esenti dal pagare un sanguinoso tributo nel'adempimento del proprio dovere.


George Clooney dirige un film con piglio d'altri tempi: quasi non ci sono quasi esplosioni spettacolari, siamo molto lontani dall'iperrealismo dello sbarco a Omaha Beach di Salvate il soldato Ryan, ma anche dalla ironia liberatoria di Inglorious Basterds.  Film come Monuments Men nascono intorno al soggetto ed è più che abbastanza; si potrebbe dire che la sceneggiatura sembra sempre sul punto di decollare ma non lo fa mai; che la parte del reclutamento, della descrizione dei personaggi e della loro motivazione è appena accennata, che dal Clooney autore ci si aspetterebbe una visione critica anche dell'operato degli Stati Uniti che si risolve però troppo rapidamente nel mostrarci un breve tentennamento iniziale di Roosevelt e nella domanda finale posta da Truman.


Insomma ci sarebbero un sacco di motivi per cui si potrebbe dire che Monuments Men resta sotto le aspettative, ma sarebbe ingiusto farlo. Clooney sceglie di raccontarci un episodio interessante all'interno di una cornice che descrive l'assurdità della guerra (ma non di una guerra assurda, anzi fondata su ottime ragioni), lo fa con un tono sempre in bilico fra il dramma e la commedia elegante intrattenendo insegnandoci qualcosa e ponendo due domande importanti: la prima è esplicita e ricorre più volte durante la pellicola: vale la pena di sacrificare vite umane per preservare l'arte? La seconda, fra le righe, è: oggi lo faremmo ancora?
Il film è corale, ma fra gli interpreti spiccano Bill Murray, una spanna sopra tutti gli altri, e Cate Blanchett in un ruolo secondario ma di grande carisma. Molto ben fatti i costumi di Louise Frogley (collaboratrice abituale di Clooney, ultimamente molto lanciata grazie a film come  Quantum of solaceFlight, Iron Man III) e le scenografie di Helen Jarvis (Il secondo e terzo X-Men, ma soprattutto Watchmen I, robot); le musiche sono di Alexandre Desplat e la fotografia è dell'impareggiabile Phedon Papamichael. Fra tutte scelgo tre scene: quella del disco con gli auguri di Natale per Bill Murray, l'interrogatorio allo spocchioso ufficiale nazista e quella in cui Murray e Balaban trovano il generale nascosto nella casa di campagna: quasi una chiusura del cerchio rispetto all'interrogatorio del contadino LaPadite in Inglorious Basterds.


Il film pone, come abbiamo visto, due domande: alla prima dà anche una risposta: dopo aver visto morire alcuni dei suoi uomini Stout (il personaggio di Clooney) è in grado di dire che sì, tutto considerato ne è valsa la pena. Alla seconda domanda non c'è risposta esplicita. In quella situazione, quasi settanta anni fa era chiaro che - per quanto difficile e costoso - era necessario preservare l'esistenza delle opere d'arte che costituiscono il segno tangibile della nostra identità culturale (nel film vengono definiti achievements) affinchè la guerra non si portasse via le radici stesse su cui si fonda la civiltà occidentale; ed era talmente chiaro che i Monuments Men non costituiscono un'esperienza isolata, poichè in Italia possiamo rifarci a figure come quelle di Pasquale Rotondi e Rodolfo Siviero che ebbero un ruolo per molti versi analogo a quello dei personaggi celebrati nel film.


Anche oggi la conservazione delle opere d'arte che costituiscono il fondamento e la memoria delle nostre radici culturali è messa a repentaglio, non da un folle dittatore ma da una minaccia ancor più subdola e letale: il menefreghismo.
Oggi chi potrebbe sentire come un dovere il mettere a repentaglio la propria vita per salvare quadri, sculture e libri, quando in un paese come il nostro si sceglie di rinunciare a insegnare la storia dell'arte?
Forse i Monuments Men sarebbero necessari ancora oggi, ma quale amarezza dover sperare che la salvezza arrivi dall'esterno!
Godiamoci quindi un film realizzato con garbo di altri tempi, e speriamo che sia di ispirazione almeno alle nuove generazioni, visto che in tutta Europa più che andare fieri della nostra millenaria cultura e dei suoi achievements, ormai ce ne vergognamo.

The real Monuments Men

2014 - Monuments Men (The Monuments Men)
Regia: George Clooney
Fotografia: Phedon Papamichael
Scenografie: Helen Jarvis
Costumi: Louise Frogley
Musiche: Alexandre Desplat

giovedì 26 dicembre 2013

Monuments men - Read and be ready


Se il personaggio GeorgeClooney vive nel più glamorous showbiz, fra fidanzate più o meno improbabili e degustazioni di caffè più o meno placide, al regista George Clooney va riconosciuta la capacità di selezionare storie che nessun altro racconta più, nel corso del tempo dalla filmografia di questo inconsueto autore sta lentamente prendendo forma una certa idea di Stati Uniti d'America. E' un bene che un personaggio così ben introdotto nei circuiti hollywoodiani utilizzi le proprie risorse di credibilità per fare film che possono sì avere successo (da quando sarebbe un difetto?), ma che è difficile definire commerciali.


L'ultimo lavoro del Clooney regista verrà presentato il prossimo 7 febbraio al festival di Berlino, ed è tratto da l libro The Mo­nu­ments Men. Al­lied He­roes, Nazi Thie­ves and the Grea­test Trea­sure Hunt in Hi­story, pubblicato nel 2010 (in Italia l'anno scorso) da Robert M.Edsel
Vi si narra di un bizzarro plotone di soldati, costituito nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e composto di un manipolo di critici d'arte, direttori di musei, scultori ed esperti di opere d'arte in genere. L'obiettivo della task force era quello di salvare le opere d'arte requisite dai nazisti e minacciate di distruzione in caso di sconfitta del Reich. Il cast è da grandi occasioni, attorno a sè Clooney ha voluto infatti Matt Damon, John Goodman, Jean Dujardin, Bill Murray e Cate Blanchett.
In Italia l'uscita è fissata per il 13 febbraio, inutile dire che il titolo è imperdibile. Nell'attesa, gustatevi il lungo trailer che trovate qua sotto.


2013 - Monuments Men (The Monuments Men)
Regia: George Clooney
Scenografia: James D. Bissell
Costumi: Louise Frogley
Musiche: Alexandre Desplat

lunedì 4 febbraio 2013

Flight - Sympathy for the devil


Robert Zemeckis dopo un recente passato fatto di animazione in stop motion (Polar express e A Christmas carol) torna al filmone moralista con il protagonista che riscopre gli autentici valori della vita, con uno script che poggia tutto sulle possenti spalle di Denzel Washington. Il film si compone di due parti ben distinte: una breve ma spettacolare ed esaltante introduzione con l'incidente aereo ed un secondo tempo un po' esasperante nella sua lunghezza, che si concentra sulla dipendenza da alcol del pilota. 


Trama
Il comandante "Whip" Whitaker, un autentico viveur dedito a nottate di alcol e sesso con le hostess compiacenti, riesce a far atterrare in un prato un aereo di linea in gravissima avaria, contenendo al minimo le perdite umane. Subito salutato dai media come un eroe, si trova ben presto sotto processo per aver pilotato sotto l'effetto di sostanze psicotrope, con il rischio di finire in prigione per il resto dei suoi giorni. Durante il ricovero in ospedale conseguente all'incidente conosce una giovane tossicodipendente, Nicole, di cui forse si innamora. Di certo torna a cercarla e la ospita nella fattoria del nonno, nella quale si rifugia per sfuggire all'assalto dei giornalisti. Incapace di affrontare la propria dipendenza dall'alcol, Whip mette in pericolo sia la propria carriera che il sindacato dei piloti, che preme affinché  l'incidente sia attribuito a cause di forza maggiore. Fra tentativi di "ripulirsi" e disastrose ricadute Whitaker dovrà affrontare i propri fantasmi durante l'inchiesta dell'agenzia federale per la sicurezza aerea.


Attori
Denzel Washington impersona con obiettività e senza pregiudizio un comandante Whitaker dalla doppia faccia: sbronzo ma lucido e freddo durante le sequenze dell'incidente. Incredibilmente più interessato a farsi due birrette che a non finire in galera per tutto il resto del film. Bravo, ma la candidatura all'Oscar sembra un po' esagerata.
Kelly Reilly è l'altra faccia della dipendenza, quella di chi vuole davvero uscirne. Brava e bella, l'unico problema in effetti è che è troppo bella e sana per essere credibile come una che si sparerebbe in vena qualsiasi cosa.
Don Cheadle bravissimo nel ruolo dell'avvocato più preoccupato di mantenere il proprio personale score di successi che a sostenere il proprio cliente. Geniale quando "fa pagare" lo spacciatore a Charlie (Bruce Greenwood, che rivedremo presto  nel nuovo Star Trek).
John Goodman: una sicurezza (vi ricordate di averlo mai visto sbagliare una parte?) nel ruolo del pusher Harling, vero devil per cui però non si può provare una certa simpatia.

Colonna sonora
Grandissimi pezzi di Rolling Stones, Beatles, Bill Whiters, Marvin Gaye...una selezione spettacolare degli anni 60 e 70. Le canzoni vengono associate alle immagini in un modo talmente semplice che si sarebbe tentati di definirlo banale. Però funziona eccome!


Giudizio
I primi venti minuti "sull'aereo" sono da cineteca, ma in un mondo in cui il tempo è un bene limitato 140 minuti sono certamente troppi; mezz'ora in meno avrebbe dato al film un maggior ritmo senza perderci un granché nella potenza del messaggio. Con tutto questo tempo a disposizione sarebbe stato bello avere qualche digressione in più sul personaggio dell'avvocato, per esempio.
La provocazione iniziale è interessante: abbiamo un pilota drogato che compie un'azione di straordinaria abilità: è più importante aver portato a casa l'aereo o che non fosse sobrio? Zemeckis parteggia clamorosamente per la seconda ipotesi; i limiti del film sono senza dubbio il moralismo dilagante e una fase centrale che si prolunga più del necessario (sospetto al fine di indurre lo spettatore a stufarsi di Whip, verso il quale è naturale provare una iniziale simpatia). Qua e là compare anche un' accenno di religiosità semplicistica alla "è la volontà di Dio, ma tranquilli, nulla succede per caso", che risulta un po' infantile.
Chi ama l'abilità di Zemeckis  nel creare immagini spettacolari resterà a bocca parzialmente asciutta, chi ne ha apprezzato la poesia in Forrest Gump o in A Christmas Carol resti pure a casa. Flight è un film a tema, un po' prolisso e troppo sicuro delle proprie convinzioni, che fa rimpiangere che lo sceneggiatore non abbia optato per un finale più plausibile, corrosivo e gustoso.


2012 - Flight
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: John Gatins
Fotografia: Don Burgess
Scenografia: Nelson Coates

lunedì 10 dicembre 2012

Di nuovo in gioco - Blues before sunrise


Dopo aver annunciato il proprio ritiro dalle scene come attore, Clint Eastwood ritorna sui suoi passi in Di nuovo in gioco, pessimo titolo italiano per Trouble with the curve una espressione da baseball intraducibile nella nostra lingua ma che si riferisce a quel punto debole che tutti abbiamo che ci impedisce di essere "campioni".
Prima premessa: si tratta di un film con Clint, non di Eastwood. Il regista è infatti Robert Lorenz, uno dei collaboratori storici di Eastwood, normalmente in veste di produttore. Come disse Francesco De Gregori, tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi.
Seconda premessa: non è un film sul baseball più di quanto Gran Torino lo fosse sul giardinaggio, lo spettatore non si lasci scoraggiare dallo sport più noioso del mondo, è del tutto marginale.
Avvertenza numero tre: sì, sono tutti e due burberi, ma chi vi dice che il personaggio di Eastwood è uguale a quello di Walt in Gran Torino o non ha visto tutti e due i film o è un cretino, tanto per parlar chiaro.


Il film racconta le vicende di Gus Lobel (Eastwood), un talent scout ormai a fine carriera che lavora per una squadra  di baseball professionistico. Dal momento che ha problemi con la vista Pete (John Goodman), dirigente della squadra e vecchio amico di Gus chiede alla figlia di questi, Mickey (Amy Adams, in forma smagliante) di accompagnarlo in North Carolina per valutare l'acquisto di una stella della squadra locale. Mickey sta facendo carriera in un prestigioso studio legale e non vorrebbe partire, ma alla fine cede per avere un'ultima occasione di dialogo col padre, che è di carattere piuttosto burbero. Una volta arrivati in loco  i due incontrano Johnny (Justin Timberlake, sempre più a suo agio sul grande schermo), un ex atleta scoperto da Gus che a seguito di un nfortunio sta tentando di divenire telecronista per la squadra dei Red Sox. In segreto Phillip (Matthew Lillard), un altro dirigente della squadra per cui lavora Gus patito delle statistiche elaborate al computer, invia un suo osservatore.
Fra riavvicinamenti e incomprensioni i personaggi si ritroveranno infine ad Atlanta nello stadio dei Braves (la squadra di Gus) dove tutti i nodi verranno al pettine.


Per chi si aspetta la profondità e la poesia degli ultimi lavori di Eastwood, be' vi state sbagliando! Trouble with the curve è un pranzo in trattoria: piatti tradizionali e nessuna alzata di ingegno, in compenso è realizzato con mestiere e all'uscita dal locale lascia sazi e soddisfatti.
Clint a 82 anni sa benissimo come rappresentare il vecchio orso che perde qualche colpo ma non lo vuole ammettere, prima di tutto con se stesso. Il tema portante del film, tuttavia, è il rapporto padre-figlio e l'avvicendarsi nel grande cerchio della vita, con i figli che, prova e riprova, capiscono finalmente qual'è la propria strada, e la imboccano con decisione: sono padre e figlia Gus e Mickey (grande alchimia fa Eastwood e la Adams), sono padre figlio in qualche modo anche Gus e Johnny (l'uno è creatura dell'altro) sono padre e figlio nella vita Clint Eastwood-Gus e il giocatore con la nostalgia della mamma Scott Eastwood-Billy. La descrizione del rapporto fra padre e figlia, fatto di inevitabili incomprensioni, conflitti di caratteri in realtà simili e ricerca di attenzione ed approvazione da parte del poco comunicativo genitore strapperà qualche lacrima a diverse fanciulle in sala.


I temi trattati dal film sono quelli da sempre cari ad Eastwood: tradizione, famiglia, difficoltà di comunicazione e sospetto per la tecnologia quando si sostituisce all'uomo invece di aiutarlo. L'osservazione, anche con le orecchie se necessario, ma io direi soprattutto col cuore, non può essere sostituita dalla fredda statistica (che fra l'altro è sempre una interpretazione ndr).
Verso il finale il film sbraca un po' troppo nel buonismo da favola moderna, ma nel complesso si tratta di un'ora e cinquanta sì di stereotipi ma piacevoli e rassicuranti, un po' come il blues che ascoltano Mickey e Johnny: si sa già com'è ma in fondo la sua forza è proprio di essere uguale a se stesso ma tutte le volte un po' diverso, e poi...funziona sempre!



2012 - Trouble with the curve (Di nuovo in gioco) 
Regia: Robert Lorenz
Sceneggiatura: Randy Brown
Fotografia: Tom Stern


lunedì 12 novembre 2012

Argo

La locandina originale

Argo di e con Ben Affleck è una interessante operazione di fiction basata su di un episodio realmente accaduto nel periodo terminale della presidenza Carter quando a seguito dell'assalto all'ambasciata statunitense a Teheran, il personale venne catturato dai "Guardiani della rivoluzione" (fra quelli pare ci fosse anche l'attuale presidente Ahmadinejad)  e tenuto in ostaggio dal novembre del 1979 fino al dicembre dell'anno successivo. Solo sei diplomatici sfuggirono alla cattura, trovando rifugio a casa dell'ambasciatore canadese, con il rischio di essere tutti scoperti  e passati per le armi.
L'episodio narrato dal film racconta di come Tony Mendez, un agente della CIA esperto in esfiltrazioni (anche oggi ho imparato un nuovo vocabolo!), riuscì a farli rientrare negli USA spacciandoli per cineasti canadesi in cerca di location "lunari" in Afganistan, inventandosi all'uopo un vero e proprio B movie di fantascienza, Argo appunto, con tanto di sceneggiatura, storyboard e conferenze stampa (a me è subito venuto in mente che si sarebbe prestato benissimo anche il film "vero" Flash Gordon, con Timothy Dalton, Ornella Muti e Mariangela Melato, uscito proprio nel 1980).

Una ricostruzione delle "false esecuzioni" a cui vennero sottoposti gli ostaggi

I modelli a cui il regista ha dichiarato di ispirarsi sono in genere il cinema del Clint Eastwood regista e il Sidney Pollack de I tre giorni del condor; ognuno è libero di scegliere i propri modelli tuttavia mi pare che del primo non abbia ancora l'impatto emotivo, del secondo  l'impegno civile. Il film di Affleck  non è una ricostruzione storica, ma un film basato su fatti realmente accaduti, il distinguo però sembra la classica foglia di fico, infatti il film all'uscita ha scatenato un putiferio diplomatico: britannici e neozelandesi si sono (comprensibilmente) irritati per il comportamento che il film gli attribuisce; i canadesi si sono offesi perchè il loro fondamentale ruolo nella soluzione della crisi viene sminuito. La preoccupazione è che su una vicenda tanto delicata e poco nota (l'operazione ovviamente era segreta ed è rimasta classificata per trent'anni), il film dia delle diplomazie internazionali di questi paesi un'immagine fuorviante, che nessuna scusa o precisazione fatta a mezzo stampa potrà mai restituire a verità.


Ken Taylor e Ben Affleck

Gli interpreti sono stati scelti tutti molto somiglianti ai reali protagonisti della vicenda:
Ben Affleck: interpreta l'agente Tony Mendez. Con la barba e i capelli lunghi e spettinati acquista molto anche in espressività, concede volentieri la scena ai coprotagonisti.
John Goodman, sempre bravissimo, è il truccatore di Hollywood John Chambers, che fa da mentore a Mendez nel mondo del cinema. Alan Arkin (attore e regista hollywodiano di lunghissimo corso) interpreta il produttore ormai sul viale del tramonto che si presta ad aiutare Mendez nel montare la produzione fasulla di Argo. Ken Taylor è il coraggioso ambasciatore canadese. Tate Donovan, Clea DuVall, ScootMcNairy, Rory Cochrane, Christopher Denham e Kerry Bishé interpretano i diplomatici alla macchia che paiono quasi non rendersi conto della delicatezza della situazione e passano il tempo a razionalizzare la situazione fra di loro. Molto convincenti, e anche se non c'è nessun nome di primo piano questa potrebbe proprio essere un'irripetibile occasione per qualcuno di fare il grande salto.

John Goodman, Alan Arkin e Affleck

Le scelte tecniche sono tutte improntate a rendere l'atmosfera del tempo, in questo senso la cura per i dettagli mi ha ricordato il recente e memorabile  Tinker taylor soldier spy. Spiccano in particolare i curatissimi costumi opera di Jacqueline West (Benjamin Button, The Social Network, To the wonder) in perfetto stile anni 70 (pare che su questo punto Affleck sia stato estremamente pignolo) e la colonna sonora composta da Alexandre Desplat, che sta aggiungendo una quantità impressionante di titoli di qualità al book delle collaborazioni. Le canzoni non originali sono pezzi dei Rolling Stones, Van Halen, Dire Straits, Booker T, Led Zeppelin, uno più trascinante dell'altro.

Gli "esfiltrandi" al check in

Il film prodotto in collaborazione con George Clooney è stato accusato di pregiudiziale partigianeria per i democratici perchè ci mostra un episodio tutto sommato minore ma di successo che andrebbe però collocato all'interno di una debacle diplomatica clamorosa, che contribuì certamente alla mancata rielezione del presidente Carter. Affleck insomma dice ciò che gli conviene e tace sulla parte più scomoda della storia, tipo il fallito blitz militare per liberare gli ostaggi.
Tutto vero, però si fa perdonare confezionando una pellicola realizzata benissimo, con una storia affascinante, attori capaci, ed una regia che senza tenere un ritmo troppo sincopato intrattiene per due intere ore senza mai permettere allo spettatore  di distogliere l'attenzione dallo schermo.

E forse non è del tutto secondario che Argo sia anche un film sul cinema, su una magnifico illusione ad occhi aperti, vero linguaggio universale che riesce ad intenerire il cuore anche al pasdaran più feroce.

Un bel film da vedere e consigliare, per tutti dalle medie in su.
Cosa potremmo chiedere di più?


2012 - Argo
Regia: Ben Affleck
Fotografia: Rodrigo Prieto
Scenografia: Sharon Seymour
Costumi: Jacqueline West