domenica 26 febbraio 2012

Uno squalo al cinema - Sciarada

La Citroën DS non è stata soltanto un'auto innovativa nelle linee esterne, era anche caratterizzata da un'abitabilità  straordinaria, con un vero e proprio divano posteriore e abbondante spazio per le gambe.

A sostegno di quanto dico, nel finale di Sciarada di Stanley Donen, un'icona di eleganza come  Audrey Hepburn (vestita Givenchy) può permettersi di distendere comodamente le sue gambe affusolate per lasciarsi massaggiare i piedi da un Cary Grant maturo e per questo forse ancora più affascinante.

Dopo le diverse peripezie che li hanno visti coinvolti in una pericolosa Parigi, la deliziosa Reggie Lampert ed il misterioso Peter Joshua non potrebbero trovare di meglio per riprendersi che una corsa in un confortevole taxi-DS con annesso un memorabile battibecco.
 
Inutile dire che la scelta mi trova perfettamente d'accordo!






Sciarada, Stanley Donen, 1963

mercoledì 22 febbraio 2012

Le idi di marzo - Sbagliare da professionisti

 

A gentile richiesta di Anna, una mia affezionata lettrice, per la rubrica "This gun for hire" ho visto il recente Le idi di marzo di George Clooney. Il film è ambientato durante le ipotetiche elezioni primarie del partito democratico nello stato dell'Ohio, ed il fatto che in questi mesi siano in corso le primarie per eleggere il candidato repubblicano alla Casa Bianca rende il film particolarmente interessante.

Giunto ormai alla quarta regia, Clooney si conferma autore con una predilezione per le storie poco convenzionali. La sceneggiatura è tratta da un'opera teatrale (di Beau Willimon), ed il plot è davvero poco originale. Una breve descrizione dei personaggi lascia capire tutto: un navigato e carismatico uomo politico che aspira alla Presidenza (Clooney), uno spin doctor che dirige la campagna elettorale (Hoffmann da un lato e Giamatti dall'altro), un giovane ma abile addetto stampa (Gosling), una avvenente stagista (Wood), una spregiudicata giornalista (Tomei). Il film segue una settimana nella campagna elettorale delle primarie per selezionare il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti e dedica uno sguardo caustico - ma interessante - sui mezzi utilizzati per emergere nell'agone politico.

Mike Morris gigioneggia con l'ufficio stampa.

Gli interpreti sono tutti di ottimo livello e molto ben diretti, nessuno (nemmeno il bel George) cede alla tentazione di prevaricare gli altri. Gosling è in scena praticamente per tutto il tempo.
Ryan Gosling: interpreta Stephen Meyers, l'addetto stampa di Mike Morris. Ha una faccia perfetta per la parte: a metà fra il bello e l'ottuso. Come spesso capita agli americani, gioca un po' sporco ma poi si frega da solo perchè ci tiene ad essere sincero ed  onesto; l'emblema di una famosa canzone di Paolo Conte: in un mondo adulto si sbaglia da professionisti.
Evan Rachel Wood: bella e brava (vista e apprezzata già in Across the universe, The Wrestler e Basta che funzioni) nella parte della stagista Molly, un personaggio privo di una corazza sufficientemente spessa per giocare fra i professionisti. Convincente quando fa la seduttrice e anche nelle scene più tragiche. Marylin Manson la preferì nientemeno che alla ex moglie Dita Von Teese: un vero talent scout! 
George Clooney: anche il suo volto è perfetto per il ruolo del governatore Morris, lanciato verso la presidenza degli USA. Una macchina da guerra dotata di idee politically correct, buona dialettica, simpatia e idee chiare sulle strategie. Per riprendere una vecchia battuta, rispetto a Barack Obama sembra solo un filo meno abbronzato. Che un film sia in grado di proporre un personaggio così vicino alla realtà mi ha lasciato piuttosto inquieto.
Philip Seymour Hoffman: uno dei migliori attori della sua generazione, si conferma anche qui un grande Paul Zara, il regista della campagna di  Morris fissato con la lealtà (detto tutto). 
Paul Giamatti: è Tom Duffy, l'omologo di Zara per il candidato avversario. Diabolicamente abile nell'individuare e sfruttare i punti deboli delgi avversari. Quando sfodera il ghigno mefistofelico mi ricorda un suo altro grande personaggio, il killer Hertz di Spara o muori con Cliwe Owen e Monica Bellucci. Giamatti riesce, con un fisico così poco hollywoodiano, ad essere sempre  suo agio ed anche qui dà un tocco sulfureo ad un personaggio che è il vero motore immobile della vicenda.
Marisa Tomei: dopo un inizio di carriera davvero sfolgorante trovo si fosse un po' persa. Ultimamente però mi era piaciuta (anche lei come la Wood) in The Wrestler di Aronofski.  Qui interpreta la giornalista del New York Times Ida Horowicz, compra e vende informazioni riservate come se fosse al mercato del pesce. La categoria dei giornalisti non ne esce benissimo: Ida è falsa, infida e venderebbe sua madre per scrivere una notizia in anteprima. Probabilmente il personaggio è molto realistico.

Morris e Meyers, apparire è comunicare

I personaggi de Le idi di marzo sembrano essere prigionieri del proprio ruolo, quasi che la politica (o meglio la lotta per la supremazia in una competizione che in questo caso è la politica, ma per analogia si potrebbe applicare a qualsiasi contesto) gli abbia tolto le caratteristiche di umanità per consentirgli solo le azioni funzionali allo svolgimento del proprio compito.
L'impressione che rimane è che tutti siano partiti carichi di buoni propositi e di sincera passione politica, nessuno dei personaggi è un cinico che lavora solo per il denaro (infatti si consolano a vicenda fantasticando sugli strapagati incarichi da consulente che avranno quando lasceranno l'agone politico); Stephen è realmente convinto che Morris sia la persona che può imprimere una svolta alla politca americana.
Però la lotta per il potere corrompe gli animi: di compromesso in compromesso, di sotterfugio in sotterfugio tutto perde di significato. Fanno quello che devono fare, i personaggi di Clooney, un po' come spie che non si domandano più se la propria parte sia quella giusta (infatti di  fronte all'errore i primo impulso è di passare al nemico, continuare a fare le stesse cose per un padrone diverso).  Del resto, questi sono i veri professionisti della politica: i portaborse, gli addetti stampa, gli esperti analisti delle leggi, che magari passano di candidato in candidato, di partito in partito in una spirale che trasforma la passione in professione, venendo sempre un po' più a patti con la propria coscienza. Ce ne sono tanti anche da questa sponda dell'Atlantico, non è certo una caratteristica solo americana, ma spesso non ci piace pensare che sia così.
Gli ideali, per quanto affermati a parole non prevarranno: alla fine ognuno lavora per il proprio tornaconto, passando sopra ai propri principi, ed il senso di colpa non è mai sufficiente a far sì che le cose cambino davvero.

Clooney posa uno sguardo disilluso su un pezzo di società americana, usa ottimi argomenti e sfugge dalle eccessive semplificazioni. Per riprendere una battuta famosa quanto la precedente, se i personaggi di questo film fossero cattolici, sarebbero "cattolici adulti": in questo mondo il compromesso possibile avrà sempre partita vinta contro l'aspirazione alla perfezione ideale.
Clooney probabilmente ha ragione, ma che amarezza!

Meyers e Horowicz, soli anche quando sono in compagnia

domenica 19 febbraio 2012

Uno squalo al cinema - Wasabi

Questa settimana rimango sul terreno del curioso rapporto fra DS e Giappone e vi propongo una scena da Wasabi di Gérard Krawczyk con Jean Reno. Divertente e poco convenzionale commedia poliziesca ambientata a Tokyo dal genio di Luc Besson (soggetto e produzione).

Quale auto potrà mai utilizzare l'agente del servizio segreto francese Momo (Michel Muller), il vecchio amico del commissario Fiorentini (Jean Reno)?
Nella città più moderna del mondo, un'icona della modernità come la DS non sfigura ancora oggi, guardare per credere!


mercoledì 15 febbraio 2012

Hugo Cabret


Curioso come nel mondo del cinema spesso nello stesso periodo escano film sullo stesso tema, con titoli simili, o ambientati nello stesso luogo. A pochi mesi di distanza da Midnight in Paris di Woody Allen, Martin Scorsese ambienta il suo Hugo Cabret nella Parigi degli anni 20. Le coincidenze finiscono come prevedibile qui: Scorsese parte subito forte, la prima sequenza è un vero e proprio sfoggio di maestria. Si tratta di un "volo di mosca" che mostra  la Ville Lumière vista dall'alto per poi insinuarsi in una stazione ferroviaria sfrecciando in mezzo ai passanti. L'effetto 3D è veramente maestoso e la sequenza si conclude su uno degli orologi della stazione: attraverso uno dei numeri del quadrante si vedono gli occhi di Hugo, il nostro piccolo protagonista. La sequenza è - in senso buono - da vertigine e racchiude come in una prefazione quasi tutti i temi che il film svilupperà.


Martin Scorsese sceglie di fare un film per ragazzi, di qualsiasi età. Lo spettatore superficiale potrebbe essere sorpreso per la distanza dai suoi temi abituali: nessun rapporto con storie "italoamericane", nè con le problematiche affrontate in altri suoi film in costume, come L'età dell'innocenza o The Aviator; questa pellicola celebra una sola passione ed è il cinema. Una magia che consente a chiunque di provare ancora e ancora la sorpresa, la meraviglia di un ragazzino per la prima volta davanti al grande schermo.  Infiniti mondi che possono essere svelati, infinite possobilità di espressione artistica che possono essere godute appieno solo conservando occhi privi di malizia.
La prima parte del film presenta e contestualizza i personaggi, da metà in poi la passione per la settima arte si fa prepotentemente spazio.


Il soggetto è tratto da un libro di Brian Selznick, scrittore ed illustratore statunitense, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret. Scorsese si fa aiutare dal grande sceneggiatore John Logan (sceneggiatore fra l'altro del prossimo Coriolano di Ralph Fiennes, oltre che dell'atteso 007 - Skyfall) a ridurre il testo per il grande schermo, salvando lo spirito del romanzo. Ci troviamo a Parigi negli anni venti, Hugo (il giovane e già professionale Asa Butterfield) è un ragazzino rimasto orfano che vive clandestinamente all'interno della Gare Montparnasse, dove si occupa della manutenzione degli orologi, tentando nel frattempo di aggiustare un automa dotato della capacità di scrivere, unico ricordo del padre morto in un incidente. La storia di Hugo si intreccia con quella del signor Georges, un vecchio che gestisce un negozio di giocattoli all'interno della stazione, che si scoprirà nascondere un sorprendente passato. Hugo e la figlia adottiva di Georges, Isabelle, si lanciano in un'avventura che li porterà di meraviglia in meraviglia ad "aggiustare" i meccanismi che regolano il mondo che li circonda attaraverso il potere dell'immaginazione e - soprattutto - del sogno.


La componente visuale è curatissima, a partire dal 3D, il migliore visto fin'ora. La neve nelle sequenze iniziali sembra cadere direttamente in sala, in più occasioni all'interno della stazione si vede il pulviscolo in sospensione dentro un raggio di luce, come accade guardando un raggio di sole da una parte buia della stanza. La scenografia della stazione è curatissima, i cunicoli e gli anfratti dove vive Hugo hanno sbuffi di vapore che sbucano da tutte le parti. Tutto concorre a (ri)creare l'atmosfera di una storia per ragazzini, dove i protagonisti sono forse troppo giovani per capire il mondo degli adulti, ma già abbastanza cresciuti per sapere come insegnare la voglia di avventura e di sorprendersi tipica della preadolescenza. Un tesoro che andrebbe salvaguardato meglio anche nell'età più matura.


Gli attori sono tutti in palla, del convincente Asa Butterfield si è già detto, la giovane Chloë Moretz è una Isabelle che rappresenta un vero e proprio archetipo femminile (di quelli che ci mettono spesso nei guai), Ben Kingsley regala un Georges Méliès lacerato dal suo negarsi alla propria arte, alla propria funzione nel mondo. Sacha Baron Cohen nel ruolo dell'ispettore Gustave dimostra di essere anche un attore, al di là dei geniali personaggi satirici in cui è un fuoriclasse.
Anche i ruoli dei comprimari hanno un cast straordinario, a partire da Christopher Lee- Monsieur Labisse, uno strano libraio; Jude Law, pochi momenti come padre di Hugo, Emily Mortimer (Pene d'amor perdute di Branagh, ma anche Scream 3 e Match Point di Allen) è la fioraia Lisette, Richard Griffiths (una faccia che vi ricorderete di aver già visto) è il timido Monsieur Frick.
Il cast tecnico vanta ben 9 candidature all'Oscar, oltre a miglior film e miglior regia. Segnalo la coppia Dante Ferretti - Francesca Lo Schiavo (scenografia e arredi), e per la fotografia Robert Richardson, un vero maestro collaboratore fisso oltre che di Scorsese anche di Oliver Stone e Quentin Tarantino.




A mio avviso si tratta di un vero e proprio testamento artistico: l'affermazione di una passione che dura da una vita, quasi Scorsese volesse comunicare cos'è per lui la settima arte.
Ma facendo un piccolo passo più in là, si può dire che sia anche un invito a ciascuno di noi a non abbandonare i propri sogni, ad affrontare la vita nel modo in cui il mago affronta la platea: con il gusto di stupire e divertire il prossimo. Così come il Georges Méliès di Selznick si intristisce e si amareggia quando si forza a non fare ciò per cui è nato anche ciascuno di noi è nato per sorprendere il proprio pubblico con l'esibizione del proprio talento.
Hugo, benchè giovane, si dimostra un bravissimo meccanico in grado di restaurare Georges, di restituirgli la voglia di vivere, di stupire, di esprimersi che le difficoltà della vita hanno spento in lui. Così come Hugo anche Scorsese, forse il più cinephile degli autori in attività oggi,  è impegnato nel restaurare vecchi film, nel dare nuova vita a pellicole ed autori ormai un po' dimenticati.
Come fa dire al piccolo Hugo, ognuno è felice nel fare quello che deve e se a volte ce ne dimentichiamo l'augurio è che nei pressi ci sia un amico con il gusto per la riparazione che ci tolga quel po' di ruggine che inevitabilmente si forma e ci faccia tornare come bambini. Magari portandoci a vedere un film al cinema, una magia che abbiamo sempre  a disposizione!




venerdì 10 febbraio 2012

Uno squalo al cinema - La Dea del 67


Ebbene sì, lo ammetto! Nutro da sempre  una passione incondizionata per la Citroën DS.
Soprannominata "lo squalo" e a volte "la ciabatta", era per il suo tempo un'auto tecnologicamente innovativa e stilisticamente rivoluzionaria.
Per anni la mia famiglia ne ha avuta una e vi posso garantire che guidarla è ancora più bello che guardarla.
Chi se ne frega, direte voi. Capisco che le mie passioni non risveglino l'interesse del grande pubblico, ma se siete arrivati fin qui probabilmente vi piace il cinema e la DS (si pronuncia Déesse, dea in francese) è una delle auto più utilizzate nei films, nelle pubblicità e nei clip musicali di ogni epoca.
Vi propongo quindi di partire insieme a me per una sorta di road movie a tappe settimanali dove ad ogni fermata scopriremo insieme un film con protagonista la dea. Non si tratterà di recensioni vere e proprie, ma di un semplice link a Youtube con qualche breve sequenza che vede protagonista la DS.

La prima puntata non poteva che essere dedicata ad un film che fin dal titolo è tutto un omaggio alla mia auto preferita: La Dea del 67. Pellicola australiana, un po' strana: è la drammatica e in qualche modo poetica storia di un giapponese che si reca in australia per comprare l'auto dei suoi sogni. Incontrerà una ragazza cieca e dall'oscuro passato che lo guiderà in un inconsueto road movie fra i meravigliosi paesaggi dell'outback.



La dea del 67, Clara Law, 2000

mercoledì 1 febbraio 2012

La talpa - Tinker, Tailor, Soldier, Sailor, RichMan, PoorMan, BeggarMan, Thief


Tomas Alfredson, il regista svedese dell'inquietante e (a suo modo) poetico Lasciami entrare passa dalle atmosfere nordiche a quelle plumbee della guerra fredda nei primi anni 70. 
Preceduto da un battage pubblicitario piuttosto convinto, Tinker, Tailor, Soldier, Spy sfoggia un cast di pezzi da novanta britannici, un soggetto tratto da un romanzo di John Le Carré, e una produzione che non lesina in fatto di risorse.

Tailor
La trama di per sé non è complicata: si narra di una riorganizzazione ai vertici del servizio segreto inglese (detto in gergo "il circus") in seguito al sospetto che nell cerchia dei dirigenti si sia infiltrata una talpa al servizio di Karla, il capo del servizio segreto sovietico. George Smiley, un agente del MI6, viene in un primo momento allontanato dal servizio per poi essere incaricato dal ministro in persona di indagare segretamente per scoprire l'identità del traditore, che può essere solo uno dei quattro massimi dirigenti rimasti:  Percy Alleline (Tinker), il capo del "circus", Bill Haydon (Tailor), capo della sezione londinese, Roy Bland (Soldier), capo della sezione paesi oltrecortina, e Toby Esterhase (Poorman) ex agente sovietico sfuggito alle epurazioni ed ora a capo della sicurezza interna.   La vicenda porterà Smiley in contatto con un presunto disertore, il nerboruto agente Ricky Tarr, ricercato da tutti in quanto si presume conosca l'identità della talpa. Le indagini aprono un vero e proprio vaso di pandora, in cui tutte le pecche caratteriali degli integerrimi dirigenti del MI6 vengono impietosamente alla luce. Il metodico Smiley porterà a conclusione, come ovvio, la propria missione, anche se vi sono domande a cui dare una risposta può costare molto caro.

Smiley ed il suo delfino Peter indagano

La trama, come dicevo poc'anzi, di per sè non è complessa, ma il montaggio che spezzetta l'azione sia nel tempo che nello spazio rende quasi impossibile ripercorrere correttamente il filo della vicenda. Nulla di strano: essendo un film sullo spionaggio niente è mai esattamente come sembra e nessuno è proprio come appare da fuori. Ciò che conta in questo film è l'atmosfera: nessuno si fida fino in fondo di nessun altro (e chi lo fa sbaglia), ciascuno cerca di tenere coperte le proprie mosse e tutti (o quasi) hanno un secondo fine: la carriera, un amore, il proprio orgoglio personale da nutrire.

Il mondo de La Talpa è fatto di funzionari pignoli, di analisti pazienti più che di agenti spericolati, anche se come Ricky  Tarr sa, a volte occorre saper sporcarsi le mani.
Lo spionaggio della guerra fredda è una battaglia a scacchi, una lotta a distanza le cui armi sono la forza di volontà e l'intelligenza; è un mondo che ha perso completamente i valori morali e in cui il senso ultimo della battaglia non è certo l'affermazione di un diverso "way of life" (infatti gli agenti non si fanno troppi scrupoli a cambiare parte quando necessario), quanto la dimostrazione della propria superiorità intellettuale.

Il "Controllo" logora chi non ce l'ha

Il cast è esclusivamente europeo, in larga prevalenza anglosassone, le interpretazioni sono tutte di altissima caratura.
George Smiley è impersonato da Gary Oldman (uno dei pochi a diventare, da vivo, un punto di riferimento per una intera generazione di attori, un po' come è successo anche a Sean Penn). George Smiley è il tipico funzionario, anonimo nell'aspetto, preciso, metodico e con una memoria di ferro. Oldman regala a Smiley un aspetto inquietantemente simile a quello di Giulio Andreotti e un volto segnato da oscuri rimpianti.
Colin Firth nella parte di "Tailor" si conferma in un periodo di grazia, un sorriso falsamente imbarazzato è il biglietto da visita di un personaggio che ha molto da nascondere. Il look è elegantissimo.
Tom Hardy, ancora carico dei muscoli messi su per il recente Warrior, è Ricky Tarr, il tormentato agente operativo. E' dai tempi di Black Hawk Down che non sbaglia una mossa, e sembra non avere fretta di emergere. Speriamo non si perda ora che è lanciato.

Ricky Tarr, il duro con un cuore

Altre interpretazioni degne di nota sono quelle di Mark Strong (nome non d'arte, perché l'ha cambiato all'anagrafe, però alla nascita si chiamava Marco Salussolia, di padre italiano, è solo un dettaglio ma me lo rende simpatico); uno degli attori feticcio di Guy Ritchie, apprezzato anche da Ridley Scott (per esempio in Robin Hood). Qui interpreta un commovente agente Prideaux, un uomo che fa il proprio dovere fino in fondo, pur in forte contrasto con i propri sentimenti.
Infine John Hurt (che ricordiamo nel ruolo di Winston Smith in Orwell 1984 di Michael Radford, un sacco di film con Von Trier, una carriera comunque troppo lunga per poter essere riassunta in pochi titoli).
Benedict Cumberbatch trova nel ruolo, tutto sommato secondario, di Peter Guillam una consacrazione al fianco dei più famosi colleghi. E' uno degli uomini del momento: appare nel cast,oltre che de La Talpa, di War Horse e del prossimo Lo Hobbit, oltre ad essere il protagonista della recente serie TV di Sherlock Holmes rivisto in chiave moderna.

Esterhase e Smiley alla resa dei conti

Nonostante l'apparenza di efficienti funzionari pubblici, le spie di Le Carré combattono in primo luogo contro i propri sentimenti, che devono necessariamente essere repressi per non mostrare punti deboli. Le vulnerabilità, tuttavia, non smettono di esistere solo perchè vengono nascoste: covate sotto forma di senso di colpa, di rimpianto, di rimorso si troveranno prima o dopo a deflagrare tanto più forti quanto più sopite.


George Smiley - parente di Andreotti?

Il film è illuminato da una luce livida, i colori paiono attutiti, stemperati in un grigiore che pervade tutto, quasi fosse la materializzazione del tentativo delle spie di non farsi notare e della cappa di pesantezza che incombe su tutti coloro che hanno qualche attinenza con il "circus".
Il colore irrompe collegato all'espressione dei sentimenti, sia in Turchia nella love story di Ricky Tarr, sia - in modo piuttosto evidente - nella sequenza finale in cui Smiley si riapproria di un circus finalmente purgato dalla cappa di invidie e sospetti nella quale era precipitato.

In sintesi un film un po' in controtendenza, con senso di misura nell'azione ed un ritmo non incalzante. Chi per "spy story" intende film alla Mission Impossible resterà deluso, chi invece ricorda con ripianto i tempi de Il giorno dello sciacallo ne resterà entusiasta. Personalmente l'ho trovato divertente e interessante per lo sguardo di scorcio sugli anni 70 che nel cinema italiano sono sempre stereotipati sugli anni di piombo o sulla banda della Magliana. Un'occhiata oltre frontiera non può che far bene!

Gary Oldman - Smiley, al posto che gli compete