venerdì 12 dicembre 2014

The Hire /4 Star - Director's Ads



Siamo giunti al quarto capitolo delle avventure del driver impersonato da Clive Owen. L'inizio sembra molto simile all'episodio precedente, con il driver che racconta delle sue impressioni circa la prima volta che ha visto una certa donna, la storia prende però immediatamente una piega di ironia feroce che porterà ad un epilogo inatteso e cattivissimo.

Il manager (Michael Beattie, grande doppiatore più che attore) di una prepotente ed egocentrica popstar decide di vendicarsi di tutti i soprusi di quest'ultima assoldando il driver perchè durante il tragitto fra l'hotel e un evento con tanto di red carpet e fotografi assiepati le faccia prendere lo spavento più grande della sua vita.

Clive Owen ci mette del suo guidando come un pazzo per le strade di Los Angeles, letteralmente ballando in macchina a 150 km/h e facendo saltare la macchina in puro stile "Hazzard".
La colonna sonora (Song 2 dei Blur) aggiunge la speziatura finale.

La regia dell'episodio è affidata all'allora emergente Guy Ritchie, che affida la parte di coprotagonista alla moglie, cioè nientemeno che la superstar per eccellenza Madonna, che dimostra notevole autoironia lasciandosi squassare per tutto l'abitacolo della BMW M5 con la quale il driver si presenta all'appuntamento e non rifiutando neppure un finale decisamente sopra le righe.

Il quarto episodio rivela un carattere decisamente diverso, satirico e grottesco più che comico, stile che  - in condizioni del tutto diverse - ritroveremo anche nell'ultimo episodio della seconda serie.

Il quinto sarà invece l'episodio conclusivo della prima serie, la chiusura sarà su toni nettamente più seri e meditabondi anche se, come sempre, ci sarà una bella corsa in macchina.
Stay tuned!


2001 - Star
Prodotto: BMW auto
Regia: Guy Ritchie

martedì 11 novembre 2014

The Hire /3 The Follow - Director's Ads



Continuiamo nell'analisi degli episodi di The Hire, una delle prime e di certo una delle più importanti web series mai prodotte.
Siamo giunti al terzo episodio, sceneggiato nuovamente da Andrew Kevin Walker. L'ironia delle prime de puntate viene momentaneamente accantonata per lasciare spazio ad una caratteristica fondamentale del driver impersonato da Clive Owen: una personalissima, incorruttibile etica.

Il driver viene assoldato da un losco produttore cinematografico (Mickey Rourke, già abbastanza progredito nel disfacimento facciale che ha trasformato in amschera uno degli uomini più belli e fascinosi di Hollywood) per seguire la moglie, supposta fedifraga. La missione viene affidata al Driver dall'assistente, interpretato da Forest Whitaker, e profumatamente pagata in anticipo. Comincia quindi la "lezione di inseguimento" del driver, di cui seguiamo i pensieri. La moglie, una splendida Adriana Lima, svicola a bordo di una Z3 roadster, mentre il Clive per l'inseguimento in città sceglie dal suo nutrito garage una agile 330i coupè.
Quando il driver scopre che la donna sta tentando di tornare a casa dalla madre in seguito alle violenze del marito, restituisce il denaro e rifiuta l'incarico.

La regia dell'episodio è affidata a Wong Kar-wai fresco del suo film di maggior successo, In the mood for love, fra crepuscolo e notte la fotografia si concentra su colori lividi, giallo e blu principalmente, il Driver sempre più attanagliato dal dubbio, la fuggiasca disperata e bellissima.

L'oscillare fra ironia - fino al grottesco - e dramma si rivelerà una delle caratteristiche più azzeccate dell'intera serie. Il prossimo capitolo, inaspettatamente folle e dissacrante cambierà totalmente atmosfera e toni alleggerendo parecchio la tensione. Stay tuned.


2001 - The Follow
Prodotto: BMW auto
Regia: Wong Kar-wai

mercoledì 29 ottobre 2014

Placebo - Special K - Ceci n'est pas un film


Quale miglior occasione per festeggiare il terzo compleanno di The Talking Mule che parlarvi di una di quelle occasioni che fondono al meglio cinema, musica e letteratura?
Si tratta di un video dei Placebo che costituisce un vero e proprio omaggio ad un classico della fantascienza degli anni 60: Viaggio allucinante.
Il film ha una trama abbastanza originale: negli anni della guerra fredda alcuni sicenziati hanno sviluppato una tecnica per la miniaturizzazione applicabile a qualsiasi cosa. Uno scienziato transfuga depositario di importanti segreti scientifici subisce un attentato che lo lascia in fin di vita per un embolo cerebrale. Viene quindi deciso di iniettargli un sommergibile miniaturizzato con a bordo un equipaggio umano che ha l'obiettivo di distruggere l'embolo prima che provochi irreparabili danni cerebrali. Invece che nello spazio la navicella naviga quindi all'interno del corpo umano tentando di sopravvivere al sistema immunitario. Al termine del film l'unico sopravvissuto viene recuperato all'interno di un dotto lacrimale.

La produzione del film incaricò nientemeno che Isaac Asimov di scrivere il romanzo tratto dalla sceneggiatura. Asimov accettò il lavoro anche se lo trovava scientificamente incoerente. Il cruccio evidentemente gli rimase perchè venti anni più tardi scrisse una "sua" versione, Destinazione cervello, rivedendone l'ambientazione (in URSS) e gli aspetti medico-scientifici.


Il testo della canzone si riferisce invece ad una droga, la ketamina, che induce uno stato di ipnosi e allucinazioni. Il video dei placebo è una sintesi abbastanza rispettosa della pellicola originale con un enigmatico Brian Molko nel ruolo del protagonista.

Se la pellicola originale era diretta da un personaggio come Richard Fleischer (Tora!Tora!Tora! - che, in tema di contaminazioni, ha ispirato anche un pezzo dei Depeche Mode - Il favoloso Dr. Doolittle, Lo strangolatore di Boston, Conan il distruttore, Yado) alla regia del video è chiamato Howard Greenhalgh, uno specialista dei video musicali senza esperienza sul grande schermo, che se la cava egregiamente.
Buona visione a voi e buon compleanno al blog!


2000 - Special K
Artista: Placebo
Regia: Howard Greenhalgh

lunedì 6 ottobre 2014

The Hire /2 Chosen - Director's Ads


Il secondo episodio della serie The Hire ci mostra qualcosa di più sull'enigmatico Driver.
La scena si svolge sempre a New York, dove Clive Owen questa volta deve trasportare un piccolo monaco tibetano appena arrivato via nave (via nave?? Dal Tibet?? e sbarca a New York??) presso l'abitazione di un bonzo locale.
L'auto utilizzata è una BMW 540i, forse perchè il Driver si è stufato di veder bucherellare la sua più prestigiosa e costosa serie 7.
Di primo acchito il piccolo gli consegna una scatola di metallo, da aprire "più tardi". Neanche a dirlo l'auto viene subito inseguita da diverse vetture cariche di figuri poco raccomandabili. Il driver, ovviamente, riesce a seminare tutti ed a portare a termine la missione, andando ben al di là del proprio contratto ed esibendosi in una mossa di karate, il che ci dice che non sa solo guidare bene.

Per questo episodio la regia è di Ang Lee, che divide in quattro capitoli la sua storia: la consegna al porto, un adrenalinico inseguimento in campo aperto, un cervellotico inseguimento all'interno di un labirinto di containers e infine la riconsegna. Il finale riserva una chicca: la misteriosa scatolina di metallo.
Efficacissima la scelta della colonna sonora, musica da camera (di Michael Dyanna, Vita di Pi, Moneyball, Truman Capote con Philip Seymour Hoffman, Little Miss Sunshine)  in contrasto totale con la frenesia delle immagini .
Lo script è di David Carter, sceneggiatore per la TV e per diversi corti, che sarà autore di ulteriori tre gustosissimi episodi del serial BMW.

La BMW films conferma di avere avuto una grande idea: in otto minuti è condensata una intera storia. C'è avventura, c'è mistero e persino un pizzico di tenerezza del Driver verso il piccolo "Chosen one".
Buona visione e a presto con un'altra puntata del nostro viaggio nelle web series del mondo dell' auto!


2001 - Chosen
Prodotto: BMW Auto
Regia: Ang Lee

venerdì 26 settembre 2014

The Hire /1 Ambush - Director's Ads


La serie di The Hire si presenta subito con un episodio tostissimo; sette minuti per ottenere un corto di elevatissimo valore artistico.

 Clive Owen esordisce nelle vesti del driver, freddo ed espertissimo pilota impegnato a trasportare sulla sua BMW 740i (modello molto simile a quello utilizzato da Pierce Brosnan in Il domani non muore mai) un misterioso personaggio, probabilmente un contrabbandiere di diamanti, impersonato da un Tomas Milian, quasi irriconoscibile.
L'auto con i due viene affiancata da un furgone di malviventi decisi a impadronirsi dei diamanti, ma il personaggio di Milian rivela al driver di averli inghiottiti: pur di averli lo squarteranno. Al posto del driver voi che avreste fatto?

La regia è di John Frankenheimer, specialista delle riprese automobilistiche (Grand Prix con James Garner, oltre al miglior inseguimento d'auto degli anni 90: quello di Ronin nelle stradine di Marsiglia), in una delle sue ultimissime opere; mancherà nel 2002.
La sceneggiatura è di Andrew Kevin Walker, autore di Seven e Il mistero di Sleepy Hollow.

La serie si apre quindi presentando tutti i suoi ingredienti: azione adrenalina, auto BMW e un tocco di humour. Il mix negli episodi successivi resterà sempre questo, variandone le dosi in base alla sensibilità del regista di turno.




2000 - Ambush
Prodotto: BMW Auto
Regia: John Frankenheimer

mercoledì 17 settembre 2014

The Hire ed il suo lascito - Director's Ads


Chiudete gli occhi con me e torniamo indietro di una quindicina d'anni. Siamo nel 1999, ai tempi del web 1.0
Riuscite ancora a ricordare come si navigava ai tempi del modem? Tempi da pionieri in cui in pochi avevano già una DSL, YouTube non era stato ancora nemmeno inventato e l'idea di guardare dei video attraverso il web quasi...futuribile.

Proprio in quel periodo la BMW stava vivendo un momento di appannamento dei fatturati ed era alla ricerca di un'idea per un rilancio in grande stile del marchio. La soluzione venne da un manager americano, Jim McDowell, uno che di sicuro sapeva prendere i propri rischi. McDowell si rivolse alla agenzia di pubblicità Fallon Worldwide che gli propose l'idea di una serie di alcuni cortometraggi da pubblicare sul web. Non si tratta di pubblicità, ma di veri e propri short films, in cui il collegamento con il marchio è dato solo dal modello di auto utilizzato.
Il budget destinato al progetto è di 25 milioni di dollari e la BMW ci crede a tal punto che crea una propria casa cinematografica la BMW films, diretta da David Fincher, fresco di successo planetario con Fight Club.

Il titolo: The Hire il protagonista un driver che in ogni puntata viene ingaggiato per portare a termine una missione impossibile grazie ad un diverso modello di BMW. Il ruolo viene affidato ad un fascinoso attore britannico la cui carriera non è ancora decollata: Clive Owen, affiancato di volta in volta da comprimari di assoluto rilievo internazionale. Ogni episodio viene realizzato da un regista diverso: John Frankeheimer, Ang Lee, Wong Kar-Wai, Guy Ritchie, Alejandro González Iñárritu.
I prmi cinque episodi uscirono nel 2001 ed ebbero un tale successo che la BMW, quasi a furore di popolo, nel 2002 realizza altri tre episodi diretti questa volta da John Woo, Joe Carnahan e Tony Scott.

Il serial ebbe un successo straordinario: The Hire venne ammesso alla collezione permanente del MOMA, BMW e Fallon vinsero un sacco di premi, ed il fatturato della casa dell'elica risalì rapidamente, un raro esempio di pubblicità bella ed efficace al tempo stesso.
Luc Besson vi trasse ispirazione per una serie di film da lui scritti e prodotti intitolata Transporter, che contribuirono non poco a lanciare Jason Statham come star di film d'azione.

La prima pietra era stata posta: oggi le web series spopolano anche grazie a questa esperienza, di eccezionale qualità artistica e tecnica.


Nel 2007 Jim McDowell, passato al brand Mini, ritentò la magia. Esplicitamente ispirato a Supercar, ma con un'estetica anni 70 più simile a Starsky e Hutch. L'idea era che una MINI Cooper ("Coop") in versione californiana e dotata di impianti computerizzati di origine militare aiutasse un baffuto eroe a districare un diabolico complotto.
Minore il budget, meno eclatante l'esito, il serial spicca per ironia e disimpegno.


Più di recente (nel 2010) è la Audi a prendere il testimone per realizzare una web series di sei episodi in occasione del lancio della A1, inititolata The Next Big Thing. Il protagonista designato è nientemeno che Justin Timberlake, nel ruolo di un timido impiegato alle prese con una inattesa avventura tutta donne e motori; inutile dire da dove gli arrivano le maggiori soddisfazioni!

Nelle prossime settimane vedremo nel dettaglio le puntate di The Hire, che hanno dignità di film, ancorchè brevi, ma vi racconterò qualche dettaglio in più anche sugli altri due serial.

Nel frattempo qualcuno mi sa suggerire altre web series realizzate su questo stile?

mercoledì 13 agosto 2014

In memoria di Lauren Bacall

Imagination his the highest kite one can fly
L.B.



Alzandomi stamattina apprendo che ci ha lasciato anche Lauren Bacall, un'attrice che ha attraversato intere ere cinematografiche lasciandovi una traccia di stile ed eleganza senza pari.

Avrei molto da raccontarvi su questa artista straordinaria, ma una semplice ricerca su Wikipedia potrebbe illuminarvi altrettanto bene. Qui aggiungerò soltanto che la citazione in apertura è una delle più utilizzate quando si parla di innovazione tecnologica (l'attività con cui mi guadagno da vivere), senza che nessuno ne sappia la provenienza, forse perchè è simile nello stile a diversi aforismi di Einstein. Ebbene sì esiste anche lo snobismo dell'ingegnere...

Una bella donna con uno straordinario cervello, che ha voluto e tenuto al suo fianco il vero uomo per eccellenza, Humphrey Bogart.
A me piace ricordarmeli così, era inevitabile che alla fine Bogey avrebbe fischiato, alla lunga anche lui avrà dovuto ammettere che iniziava a sentirsi un po' solo.


  

martedì 22 luglio 2014

Duran Duran Unstaged - Fire walks with them


Per chi, come me, è stato teenager negli anni 80 i Duran Duran hanno una valenza iconica insospettabile per i giovani d'oggi. Riassumo brevemente per chi non c'era: i Duran Duran si formano nel 1978, mese più mese meno nello stesso periodo nascono anche The Pretenders, i Bauhaus, Echo & The Bunnymen, The Police, INXS, Simple Minds e molti altri. Insomma c'è fermento, gli anni 70 stanno finendo e la New Wave britannica morde il freno. Nonostante si tratti di uno dei momenti di maggiore creatività che la storia della musica leggera ricordi presto l'euforia tipica della decade di plastica prende il sopravvento e insieme a gruppi di incredibile caratura artistica il mercato si spacca in due: da un lato artisti di un solo singolo, a volte vere e proprie truffe più o meno allegramente dichiarate, dall'altro emerge la musica politicamente impegnata di cui gli U2 e i Simple Minds saranno i principali alfieri.


I Duran Duran emergono grazie ad una musica indiscutibilmente easy (ma di qualità) ed a un pionieristico utilizzo del videoclip a scopi promozionali. Fra il 1981 e il 1985 la band vive un vero e proprio momento di grazia: escono una quindicina di singoli da top ten che provengono per lo più da 4 album. La stampa li ribattezza i Fab 5 accostandoli esplicitamente ai Beatles come fenomeno di costume. I membri della band sono idolatrati da orde di ragazzine isteriche (fra cui la mia attuale consorte, che qui mi pregio di svergognare pubblicamente), ma presto o tardi si coniugano tutti con una modella (la top model era il massimo negli anni 80). Dopo aver fatto il botto il gruppo inizia a sfaldarsi per stanchezza, noia, le solite cose. Il nocciolo però resiste Simon Le Bon, Nick Rhodes e John Taylor resistono al cambio dei tempi e di gusti del pubblico e nei successivi trenta anni continuano a fare musica insieme, prendendosi il lusso di far uscire un'altra decina di album da cui a memoria ricordo almeno 4 o 5 hit mondiali. Insomma piacciano o no, hanno dimostrato nel tempo di non essere affatto un gruppo costruito a tavolino, si sono reinventati trovando una propria dimensione, ed oggi - come direbbe Nanni Moretti - sono degli splendidi cinquantenni. Fine della lezione


Dopo cotanto prologo capirete che l'accoppiata Duran Duran - David Lynch per un amante degli anni 80 è praticamente irresistibile e di fronte all'opportunità di vedere il tutto su grande schermo (ieri oggi e domani, ossia il 21, 22 e 23 luglio in esclusiva nelle sale UCI) ho inforcato senza pensarci su il fidato scooter sfidando il luglio più freddo che si ricordi a Torino per assistere ad un concerto dei Duran visto da Lynch.
In sala, devo ammettere, pochi appassionati mediamente della stessa età del sottoscritto. Il film esce adesso ma è stato realizzato nel 2011 in occasione di un concerto tenutosi al Mayan Theatre di Los Angeles (scelta furbetta:  stimo possa contenere 1.000 - 1.500 spettatori, l'ideale per vedere una sala piena ed entusiasta durante le riprese) e trasmesso in webcast. La scaletta prevede una selezione di vecchi successi e pezzi più recenti privilegiando l'ultimo album All you need is now. Interessanti gli ospiti: Gerard Way dei My Chemical Romance, molto bravo ed intonato; una entusiasta ed emozionata Beth Ditto dei Gossip che per l'occasione sfoggia un vestito optical che - onore al coraggio - le dona molto; il produttore dell'album Mark Ronson (avete probabilmente ascoltato decine di colonne sonore senza sapere fossero sue) è bravo ma davvero poco carismatico. Infine una fantasmagorica ed elegantissima Kelis al top della forma e con un incredibile gioiello a metà tra l'etnico ed il fetish.
Loro, i Duran, sono in grande forma: Simon Le Bon simpatico e divertito (sospetto che Nathan Fillion, il Castle televisivo, vi si sia ispirato assai), Nick Rhodes alle tastiere ha l'aria assai meno ambigua che agli esordi ma conserva un aplomb british irresistibile. John Taylor è un po' rugoso ma in invidiabile forma fisica, scommetto che le rimorchia ancora tutte, o almeno così pare dalle occhiatine che lancia alle violiniste. Roger Taylor alla batteria pesta ancora duro, anche se il carisma non è mai stato il suo punto di forza.


E veniamo infine al film vero e proprio: la pellicola essere un bianco e nero con rari e studiati sprazzi di colore;  in costante sovraimpressione vi sono immagini che dovrebbero essere evocative: un mappamondo su Planet Earth, la testa di un lupo su Hungry like the wolf, auto in un tunnel su Being Followed, fiammelle nelle pause fra un pezzo e l'altro. All'inizio l'effetto è quasi fastidioso, a lungo andare ci si abitua e le incombenti presenze sullo schermo aiutano a superare momenti potenzialmente un po' noiosi. Circa questa scelta di Lynch si possono dire due cose a favore ed una contro: la generazione delle immagini è stata fatta in tempo reale durante il webcast, il che esclude scelte troppo originali, d'altronde a livello artistico l'effetto generale è un richiamo evidente allo stile dei video d'avanguardia degli anni 80 (anche se i video dei Duran erano quasi tutti microstorie). Epperò. Epperò uno come David Lynch non può annunciare di avere fatto sogni meravigliosi dopo aver ascoltato la musica dei Duran Duran e  poi propinarci come massimo livello di visionarietà un balletto di bambole Barbie con le D sul seno. Per il ritorno al lungometraggio dopo Inland Empire era lecito attendersi qualcosa di assai meno scontato.


La pellicola dura circa due ore di ottima musica ben suonata e ottimamente arrangiata. Nel cinema dove l'ho visto io il suono era equalizzato malissimo e gli archi praticamente non si riuscivano a sentire. Difficilmente questo film conquisterà nuovi fan ai Duran (peraltro a 55 anni non penso ne sentano molto il bisogno). Da non perdere se siete appassionati, interessante e divertente se semplicemente vi piace la musica pop. Se siete nati dal 1985 in poi sappiate che vostra madre era anche lei a Sanremo a farsi prendere da una crisi isterica al solo vederli scendere dall'auto davanti al teatro, anche se non lo ammetterà mai. Cercate bene in fondo a quel cassetto: troverete la foto di Simon strappata da Cioè con sopra i segni del rossetto; poi mi dite se voi avete fatto lo stesso per uno come Justin Bieber!

2011 - Duran Duran Unstaged
Regia: David Lynch
Fotografia: Peter Deming
Montaggio: Noriko Miyakawa

giovedì 12 giugno 2014

Moneyball - L'arte di vincere...innovando


La mia unica esperienza nel mondo del baseball risale a quasi dieci anni fa; durante un viaggio a New York decisi di non lasciarmi sfuggire il "rito" della partita degli Yankees allo Yankee Stadium. Risultato: dopo tre ore passate più a osservare le bizzarre abitudini dei miei vicini di posto che quello che (non) stava accadendo in campo lasciai senza rimpianti l'incontro, ancora ben lungi dalla conclusione.
Come potete immaginare, sulla base di questa esperienza senza "nessun rimpianto nessuno rimorso" quando Moneyball uscì in sala l'avevo snobbato; in fondo non si può vedere tutto, e l'ennesimo film sul baseball è proprio il candidato ideale all'esclusione dalla lista dei titoli da non perdere. Feci male, perchè L'arte di vincere non solo è opera non banale di un artista inconsueto come Bennett Miller (Capote), ma - a dispetto dell'apparenza - non è un film sul baseball.


La storia è basata sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis dove si racconta della vicenda realmente accaduta alla squadra degli Oakland Athletics. Il general manager Billy Beane si trova a gestire una difficile situazione in cui i migliori giocatori abbandonano la squadra, senza disporre di un budget adeguato ad attrarre altri top players; decide dunque di affidarsi al sistema ideato da Peter Brand (il nome è di fantasia ma il personaggio no), un neolaureato in economia di Yale che ha elaborato un sistema statistico per la valutazione delle prestazioni dei giocatori partendo da dati misurabili (chiamato, appunto, moneyball). L'introduzione di questo strumento nella gestione della squadra porta a fare scelte di mercato apparentemente incomprensibili, oltre che un violento scontro con gli "esperti", i talent scout e l'allenatore della squadra, che non riescono ad adattarsi alla novità. Anche se la squadra fallirà il campionato, il sistema si rivela validissimo, portando alla record della più lunga serie di vittorie consecutive dell'American League.



Brad Pitt (anche produttore) è misurato e credibile nella parte del protagonista, lo smaliziato e coriaceo Billy Beane, Jonah Hill interpreta il giovane Peter Brand, un ruolo che in qualche modo precorre la sua interpretazione in The Wolf of Wall Street. Philip Seymour Hoffmann dopo la ridda di premi vinti per Capote non può negarsi a Bennett anche in un ruolo del tutto secondario come quello del coach Howe.
Ottima crew tecnica: oltre a un Miller bravissimo nel mantenersi equidistante fra tre generi: commedia, dramma e sportivo, troviamo Wally Pfister, il direttore della fotografia di Nolan; il casting, azzeccatissimo, è curato da una vecchia pellaccia (augurandomi che la signora non legga mai queste parole) Francine Maisler, una vera eminenza grigia di Hollywood.


Come dicevo prima Moneyball non è un film sul baseball, è un film sull'innovazione e su quanto sia difficile introdurre innovazioni radicali in un'azienda o un mercato consolidati. Bean e Brand sono gli innovatori, ma le resistenze all'introduzione di una maggiore scientificità nel baseball sono enormi. Gli scout hanno l'esatto atteggiamento "abbiamo sempre fatto così/tutti fanno così" che rappresenta la principale minaccia a qualsiasi tentativo di innovazione, il coach Howe è invece l'uomo a cui non devi andare a dire come deve gestire la sua squadra, in fondo ha trent'anni di esperienza e una professionalità riconosciuta! Un aspetto molto interessante è come anche di fronte ai risultati l'atteggiamento di questi rimanga sullo stile "avete avuto fortuna, ma io so che non si dovrebbe fare così"


Un film interessante che solleva una tematiche non banali, mantenendo un certo grado di humour grazie anche alla recitazione di ottimo livello. Non si viene stupiti da effetti speciali e il ritmo non è particolarmente avvincente, però è un film che andrebbe proiettato in tutte le scuole di business e non al primo anno, ma verso la fine dei corsi, quando ci si può già rendere conto di com'è fatta davvero la vita in azienda. Punto non secondario Billy Beane dopo aver rivoluzionato il mondo del baseball sceglie di non specularci su: guadagna già abbastanza così, ama il suo lavoro negli Athletics e in fondo "come si fa a non essere romantici quando si parla di baseball". In un colpo solo salva il film dalla retorica del sogno americano e iscrive di diritto il personaggio di Brad Pitt fra i migliori beautiful losers di sempre.


2011 - L'arte di vincere (Moneyball)
Regia: Bennett Miller
Fotografia: Wally Pfister
Musiche: Mychael  Danna
Casting: Francine Maisler

domenica 1 giugno 2014

Only lovers left alive - Solo gli amanti sopravvivono



I vampiri sono da sempre un topos cinematografico di grande efficacia; Jim Jarmush, senza curarsi dei recenti successi dei vampiri teenager e politicamente corretti della saga di Twilight, li usa come perfetti rappresentanti di quei personaggi emarginati e borderline malinconici e di pochissime o nulle speranze nelle magnifiche sorti e progressive di una certa America che popolano il suo cinema.


Eve e Adam sono una coppia di vampiri vissuta attraverso i secoli occupandosi lui di musica, lei di filosofia. Ai giorni nostri vivono rispettivamente a Detroit e Tangeri, si procurano negli ambienti ospedalieri sacche di sangue da degustare come liquore prezioso e inebriante (le scene di estasi quando bevono il sangue mi hanno ricordato i personaggi di Trainspotting quando assumono eroina). Adam conserva dal suo passato una attitudine da artista maudit preda della fatica di vivere; sapendolo depresso Eve si reca a trovarlo in America, dove però i due verranno raggiunti da Ava sorella combinaguai di Eve. A seguito di uno dei soliti casini innescati da questa, i due devono fuggire a Tangeri dove assistono alla morte di Marlowe, vampiro in stratta relazione con Eve, ammalatosi per aver bevuto del sangue contaminato. Soli e perduti i due amanti vagano per la città cercando di decidere se vivere o morire.


Gli interpreti sono estremamente azzeccati: chi meglio di Tilda Swinton per interpretare Eve, una vampira di estrema classe e profonda cultura? Tom Hiddleston interpreta Adam, il vampiro rockstar che più tenta di nascondersi e più viene inseguito dai fans curisi. Mia Wasikowska è l'avventata Ava, mentre John Hurt è Marlowe, il "vero" autore dei capolavori di Shakespeare. Di classe anche la crew tecnica: fotografia di Yorick Le Saux (Io sono l'amore), montaggio di Affonso Gonçalves (Un gelido inverno, Re della terra selvaggia), costumi di Bina Daigeler (Tutto su mia madre, Volver, Biutiful) e production design a cura di Marco Bittner Rosser (V per vendetta, Mission Impossible III, Bastardi senza gloria).


I vampiri di Jarmush sono creature di profonda e vasta cultura unita ad un grande amore per la natura (ad esempio conoscono il nome scientifico di tutte le piante), Eve è in grado di leggere qualsiasi libro a supervelocità e può datare un oggetto semplicemente toccandolo, Adam è invece dotato di straordinario talento per la musica e colleziona strumenti antichi e chitarre elettriche appartenute  a grandi bluesmen. Lei, bianca ed eterea, si muove in una Tangeri brulicante di vita, lui nero ed oscuro si sposta di notte in una Detroit ormai ridotta quasi a città fantasma, con i filari di case di media borghesia abbandonate e cadenti (mi dicono che in realtà quando una casa viene abbandonata i vicini la bruciano per evitare che diventi un rifugio di homeless). La terra sempre più inquinata corrompe il sangue degli uomini rendendo difficile anche l'approvvigionamento di sangue pulito per le provviste vampiresche. I vampiri non possono che contemplare la progressiva disintegrazione del mondo, che avviene senza consapevolezza da parte della razza umana (che loro definiscono zombie, per l'apatia e l'incapacità di apprezzare il bello). 


Il film è esteticamente curato e vi affiora a tratti una aspra critica per il lifestyle postindustriale occidentale, Jarmush arriva forse un po' fuori tempo massimo confezionando un'opera che tutto sommato non segna nessun significativo passo avanti rispetto a Dead Man e Ghost Dog. Resteranno però la grandissima classe dei protagonisti e una colonna sonora memorabile, oltre all'indiscutibile pregio di aver restituito i vampiri a un empireo irraggiungibile dagli uomini comuni in cui il significato dell'immortalità è di godere del bello in tutte le sue forme.

2014 - Solo gli amanti sopravvivono (Only lovers left alive)
Regia: Jim Jarmush
Scenografia: Marco Bittner Rosser
Costumi: Bina Daigeler
Musiche: Carter Logan, Jozef van Wissem

domenica 4 maggio 2014

The Killers - All these things I've done - Ceci n'est pas un film


Più volte ho parlato di video dei The Killers, un gruppo che ma affidarsi a  registi prestigiosi per realizzare i propri video.
Quello che vi propongo oggi è il video tratto da uno dei singoli di Hot Fuss, loro album del 2004. All these things I've done ha in realtà avuto due video; il primo - realizzato per il mercato britannico - vede la band camminare in una strada raccogliendo dietro di sè una folla via via più grande, quasi una versione "buonista" della camminata di Bittersweet symphony. Il secondo è invece opera di Anton Corbjin, regista e fotografo olandese che ha dato un grandissimo contributo alla carriera dei Depeche Mode dirigendo alcuni dei loro video più iconici.
Corbjin non è regista solo di video, ma anche di cinema: suoi il bellissimo Control sulla vita di Ian Curtis dei Joy Division, imperdibile per tutti quelli della mia generazione;  The American con George Clooney, e soprattutto, A most wanted man, ultimo film in cui comparirà il compianto Philip Seymour Hoffman, tratto da un romanzo di Le Carré.

Tornando a noi, il video dei Killers è girato in bianco e  nero (quasi un marchio di fabbrica per Corbjin) e vede la band nei panni di assurdi cowboys alle prese con una gang di violente pinups armate di boomerang, un omaggio ai personaggi del regista "off"  Russ Meyer di Faster pussycat kill kill!!! (oltre che di Who Killed Bambi?, il mai terminato film con i Sex Pistols, in un ulteriore caso di riferimento circolare fra rock e cinema).

E ora, come sempre, bando alle ciance e godiamoci il video!




2005 - All these thing I've done
Artista: The Killers
Regia: Anton Corbjin
Album: Hot Fuss (2004)

domenica 27 aprile 2014

Melville e Jarmush: etica samurai e morale occidentale


La prima volta che ho visto Ghost Dog di Jim Jarmush sono rimasto affascinato dall'assurdità della storia e dalla interpretazione di Forest Whitaker, davvero magistrale; ma è solo rivedendolo di recente che mi sono reso conto dell'omaggio del regista americano a Le Samourai di Jean Pierre Melville, con un Alain Delon da mito. Due opere "Faraway so close": come si può accostare Whitaker a Delon e Parigi a (credo) Atlantic City?


Il titolo: entrambi si richiamano alla figura del guerriero giapponese fin dal titolo, Jarmush però ci mostra un Samurai consapevole del proprio ruolo ed anche della propria acronicità, Melville invece non ci dà alcuna informazione, Jef Costello non filosofeggia, semplicemente è (un'attitudine molto da samurai, peraltro).
Costumi
Entrambi i killer vestono in modo anonimo: negli anni 60 di Alain Delon il killer indossa distintissimi completi grigi con cappello e impermeabile, trenta anni dopo Forest Whitaker è in total black, con stivali a pantaloni militari, felpe col cappuccio e collane d'oro hip hop, perfetti per la degradata periferia di una metropoli americana. Entrambi agiscono indossando guanti di cotone bianco e amano spostarsi a bordo di auto di lusso rubate (Jef divide con me la predilezione per la Citroen DS, mentre Ghost Dog ama cambiare) utilizzando il meglio della tecnologia a loro disposizione: un mazzo di grimaldelli per Jef, un decoder elettronico per il suo omologo d'oltremare.
Musica
Oltre ai personaggi in entrambi i film è fondamentale il ruolo della musica: in Melville sembra quasi sostituire gli sporadici dialoghi, mentre in Jarmush è un commento costante alle situazioni. Meravigliose le lunghe suite minimaliste di François de Roubaix, musicista francese specializzato in colonne sonore, per il film francese e coinvolgente l'hip hop di RZA per contestualizzare Ghost Dog.


Animali
I samurai hanno un rapporto particolarmente affettuoso con i volatili, bestie intelligenti e silenziose: Ghost Dog, che ha un profondo rispetto per tutti gli animali (vedi l'episodio dei caccaitori di orsi), dispone di uno stormo di piccioni viaggiatori, mentre Jef possiede un canarino che lo avvisa in caso di presenze poco gradite.
Amici
Una differenza importante è rappresentata dal rapporto con la società: Ghost Dog è perfettamente inserito nella società, rispettato dalle persone del suo quartiere ed ha ben due amici, il gelataio francofono (interpretato dall'attore ivoriano Isaac de Bankolé) con cui riesce a stabilire una comunicazione che supera le difficoltà linguistiche e la piccola Pearline (Camille Winbush), con la quale si intrattiene parlando di letteratura. Jef, al contrario, può contare solo sulla bionda Nathalie Delon mentre è molto più ambiguo il rapporto con la pianista di night Valérie (Cathy Rosier
I cattivi
I gangster mandanti di Jef sono rappresentati come uomini di affari che si avvalgono di killer come braccio armato, restando freddi ed efficienti, i mafiosi a cui è legato Ghost Dog sono fumettistici italoamericani (le cui azioni sono infatti introdotte da cartoni animati).
Killer
Sia Jef che Ghost Dog, infine, sono letali: agiscono senza pietà e senza rimorso eppure non sono dei sadici, non provano alcun piacere nell'uccidere e dimostrano un contraddittorio rispetto per la vita. Del resto chi meglio di un killer è in grado di capire il valore di una vita? Nel confronto però Ghost Dog è molto più "tecnico", usa diversi tipi di arma e dimostra una notevole fantasia nei modi di raggiungere il suo obiettivo, Jef è più semplice: una revolverata e via.

 

Il film di Melville è tratto dal romanzo The Ronin di Goan McLeod, Jarmush va direttamente alla radice traendo ispirazione dall' Hagakure di Yamamoto Tsunetomo, il vademecum del vero Samurai scritto in giappone nel settecento. Pur separati da trenta anni i due film declinano lo stesso tema, in accordo con la sensibilità del momento e del luogo di produzione: di fronte ad un mondo di morale senza etica (dove ad esempio i "datori di lavoro" decidono di eliminare i killer a causa di un imprevisto durante l'esecuzione di una missione) l'unica risposta è nell'etica senza morale. Killer sì, ma pur sempre seguendo un codice rigoroso, fino alle estreme conseguenze.
Senza tema di spoileraggio, in entrambi i casi la malavita vince, perchè sappiamo che il mondo funziona così; le figure di Jef e Ghost Dog però ne escono trionfanti perchè a differenza di tutti gli altri scelgono di essere artefici del proprio destino. Per un vero samurai ci sono cose assai peggiori della morte, per esempio venire meno alla fedeltà a se stessi.
E chissà che anche in questi giorni, magari in modo meno violento non ci sia qualcuno disposto a raccogliere il testimone di una ribellione (magari in un modo meno violento) che fa del valore etico un fine, oltre che un mezzo per combattere un mondo tanto più moralista quanto più si va svuotando di significato.


1967 - Frank Costello faccia d'angelo (Le Samouraï)
Regia: Jean-Pierre Melville
Musiche: François de Roubaix
Production design: François de Lamothe

1999 - Ghost Dog Il Codice del samurai (Ghost Dog: The Way of the Samurai)
Regia: Jim Jarmush
Musiche: RZA
Costumi: John A. Dunn


martedì 22 aprile 2014

I'll be back!


Prendo in prestito una celebre battuta di Schwarzenegger e una foto da Senti chi parla per tranquillizzare i pochi ma affezionati lettori. L'11 aprile scorso è arrivato (non si può dire fosse esattamente una sorpresa) Michele, un piccolo puledrino ancora non parlante che sta assorbendo tutto il mio tempo, il blog per ora può aspettare.

Non so bene come farò a seguire le nuove uscite nei prossimi mesi, sarà forse l'occasione buona per provare le infinite potenzialità dello streaming, probabilmente ritmo e tipo dei post cambieranno.

Ma tornerò, anche se a qualcuno suonerà più una minaccia che una promessa, perché ho ancora un sacco di cose da dire e una gran voglia di scrivere. Però adesso ho sonno!

F.T.T.M.

mercoledì 9 aprile 2014

Her


Di Spike Jonze e del suo talento per i video musicali ho già parlato; finalmente posso parlare del suo talento di cineasta. Her, la sua ultima fatica, è un film spiazzante, apparentemente minimalista, in realtà pieno di citazioni, richiami e idee originali; il tutto impacchettato in confezione superlusso con fotografia, scenografia, costumi e musiche di assoluto spessore artistico.


La storia, ambientata in un'epoca futuribile ma non così lontana dalla nostra, è quella di Theodore un uomo che si guadagna da vivere scrivendo lettere (su carta) per conto dei clienti di un sito web. Tehodore scrive lettere emozionanti e piene di passione anche se nella vita privata è reduce da una dolorosa separazione che lo confina in una vita solitaria e priva di reali contatti umani, se si eccettua la fedele amica Amy.
Un giorno Theodore acquista un nuovo sistema operativo per computer, OS1, che si caratterizza per avere una altissima interattività, al punto di essere pubblicizzato come un sistema dotato di coscienza. Il software, in effetti, si spinge oltre le promesse: Samantha, questo il nome scelto dal sistema operativo, inizia una vera e propria relazione sentimentale con Theodore. Inutile dire che la cosa creerà problemi a tutti e due.


Joaquin Phoenix interpreta il protagonista, Theodore, sicuramente è l'attore giusto per questa parte. I baffetti lo fanno assomigliare in modo inquietante a Kevin Kline, i pantaloni a vita alta sono gli stessi che indossava Higgins, il maggiordomo della serie Magnum P.I.. Amy Adams è Amy, l'amica di sempre di Theodore, una creatrice di videogiochi che vorrebbe fare la documentarista, insoddisfatta di sè esattamente come Theodore, anche lei troverà conforto in un OS. Rooney Mara è la ex moglie Catherine. Agli occhi di Theodore affascinante quanto un OS, ma un po' meno controllabile. Olivia Wilde è la ragazza con cui Theodore ha un appuntamento al buio: sola ed alla ricerca di amore, come tutti in questo film.
Scarlett Johansson dona la propria voce, sexy ma ironica, a Samantha, l'OS di cui si innamora Theodore.


Grandissima attenzione a scenografie e costumi; lo stile generale è minimalista un po' radical-chic; grande cura dei materiali, legno, vetro e alluminio per le scenografie, cotone naturale per i costumi. La palette colori per i costumi prevede pochi colori molto ricorrenti: rosso (salmone, arancio, zucca...), giallo (limone, sabbia, crema...), verde e grigio. Mancano totalmente oggetti che consentano una collocazione temporale precisa: non ci sono automobili (Theodore si sposta in treno ma si vede solo l'interno), non ci sono accessori di moda (cinture, orologi, etc...). Il team tecnico è formato da collaboratori di lungo corso di Jonze, più Hoyte Van Hoytema, che ha curato la fotografia di film come Lasciami entrare, The fighter, La talpa.


Stilisticamente di tanto in tanto il film ricorda qualche passaggio dell'ultimo Malick (ad esempio The tree of life) nelle solarizzazioni e nei toni di voce sussurrati.
L'OS1 di Her nel modo di parlare ricorda in qualche modo HAL 9000, ma probabilmente ha molti padri: Ghost in the shell per la facilità di integrazione del pensiero artificiale nel mondo umano, A.I. per la possibilità che hanno le macchine di provare sentimenti, per esempio. Jonze sa coniugare la visione poetica con una estetica straordinaria e un sottile sense of humour. Il suo mondo futuribile non è così diverso dal nostro presente: le persone sono sole, disperate, impaurite dai propri sentimenti: in fin dei conti è più semplice stabilire un rapporto con un essere tecnologico piuttosto che affrontare i rischi di un rapporto con una persona reale. Il tema mi pare tutt'altro che in anticipo sui tempi.

Quel che di spiazzante che ha il film è probabilmente la consapevolezza che, pur non avendone ancora (totalmente) sviluppato la tecnologia, siamo già ora come i personaggi di Her e, come loro, sappiamo benissimo che la tecnologia può renderci la vita più facile, ma difficilmente riuscirà a cambiarci nel profondo.
Non saprei dire di preciso quale corda riesce a toccare Jonze, però ho notato che alla fine della proiezione praticamente tutte le coppie presenti in sala si sono baciate. Il fatto mi è parso notevole.


2014 - Lei (Her)
Regia: Spike Jonze
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Musiche: Arcade Fire
Scenografie: K.K. Barrett
Costumi: Casey Storm

giovedì 3 aprile 2014

Captain America - The winter soldier


Fra tutti i film dedicati all'universo Marvel il primo capitolo dedicato a Captain America era uno dei più riusciti sotto l'aspetto cinematografico: avrebbe funzionato anche se Steve Rogers non avesse avuto i superpoteri. Molto difficile confermare lo stesso esito anche per il secondo episodio, Captain America - The Winter Soldier, tuttavia il sequel è più che dignitoso e si permette alcune scene da vera pelle d'oca come l'attacco a Nick Fury: fumettistico, drammatico e divertente al tempo stesso.


In questo secondo capitolo ritroviamo Steve Rogers impegnato a rimettersi al passo coi tempi e a tenersi in forma con il jogging. La sua tranquilla routine viene spezzata da una missione per conto dello SHIELD in seguito alla quale perderà tutte le sue certezze. Abituato ad un mondo duale, in cui era molto facile distinguere i buoni dai cattivi, Captain America si risveglia dall'ibernazione in un mondo in cui i confini tra il bene ed il male, sono quasi indistinguibili e per sapere chi sono i buoni bisogna, per citare una battuta del film, aspettare di vedere chi è che gli  spara addosso. In questa avventura al supereroe wasp si uniscono Natasha Romanoff, in arte Vedova Nera e un coraggioso reduce dell'Afganistan, Sam Wilson, in arte Falcon. Il soldato d'inverno è un antagonista perfetto e dotato di un invincibile braccio di metallo, personaggio assai diverso rispetto ai fumetti, sviluppato assai poco dalla sceneggiatura.


Chris Evans torna nei panni di Steve Rogers/Captain America, oltre alla fisicità riesce a dare di quando un insospettabile tocco di humour. Alla fine resta il bravo ragazzone americano che beve latte e si sacrifica per il suo Paese. Scarlett Johansson nella sua interpretazione di Vedova Nera è meno felina che in The Avengers, in compenso scopriamo qualcosa di più su questo enigmatico personaggio, Samuel Jackson ha preso possesso dell'immaginario di Nick Fury (che nei fumetti è bianco e biondo), duro, spregiudicato e feroce. Robert Redford "a sorpresa" interpreta Alexander Pierce, un ambiguo dirigente dello SHIELD: le rughe non ne intaccano il talento.
Alcune scene, come il già citato attentato a Nick Fury, ma anche la battaglia sugli helicarrier denotano una perizia tecnica di primissimo livello; se si considera che il precedente film dei fratelli Russo è stato la commedia Tu, io e Dupree è lecito un pizzico di sorpresa. "Classica" ma di soddisfazione la scena dell'imboscata in ascensore (Cap che tira su lo scudo come se fosse uno skateboard è molto fico)


Il primo film di Captain America raccontava la nascita del personaggio negli anni 40, un'epoca che offre un'iconografia spettacolare e una percettibile opportunità di salvare il mondo dalla catastrofe. Arrivati ormai negli anni 2010 dal punto di vista estetico non si può più contare sulle divise naziste, da quello narrativo c'è continuamente il dubbio che i buoni siano in realtà i cattivi. La sceneggiatura punta infatti sull'ambiguità divicende di attualità come lo scandalo delle intercettazioni NSA e sul conseguente disorientamento dell'opinione pubblica; analogamente lo SHIELD ci serve, o si sta servendo di noi?
I fratelli Russo approcciano il film correttamente, con piglio da thriller e l'aggiunta di qualche bella scazzottata; gli attori a disposizione sono diretti con maestria: Scarlett Johansson è sempre un bel vedere ma con in più una punta di intelligenza, Robert Redford è ancora affascinante pur con tutte (quante!) le sue rughe.
Viene da chiedersi se i due fratelli Hollywood non potrebbero proprio essere meglio sfruttati come autori che come produttori di serial tutto sommato poco memorabili (Happy endings e Community).
So bene di aver dichiarato che la Marvel sta iniziando a stufare, uscendo spesso con titoli che si rivelano assai sotto le aspettative, come Iron Man 2 o il recente Wolverine l'immortale, però ogni volta ci ricasco e di tanto in tanto vengo anche sorpreso positivamente, come in questo caso.


2014 - Captain America - The Winter Soldier
Regia: Anthony e Joe Russo
Sceneggiatura: Stephen McFeely, Christopher Markus
Costumi: Judianna Makovsky

domenica 30 marzo 2014

Yves Saint Laurent - La recensione


Come a suo tempo annunciato, è uscito pochi giorni fa sugli schermi italiani Yves Saint Laurent del regista ed attore francese Jalil Lespert. Il film si basa sul libro Lettres a Yves scritto da Laurence Benaïm, basandosi su materiale di Pierre Bergé, compagno e socio d'affari di Saint Laurent per tutta una vita.


Il giovane Yves Saint Laurent, rampollo di famiglia dell'alta borghesia di Orano (ai tempi l'Algeria era territorio francese a tutti gli effetti), a soli 17 anni inizia a lavorare per Christian Dior ed alla morte di questi, solo due anni dopo, subentra nella direzione artistica della maison. A soli ventisei anni abbandona Dior per dare vita ad un suo atelier, nel frattempo conosce e si innamora di quello che egli stesso definirà "l'uomo della sua vita", Pierre Bergè, che resterà a l suo fianco per cinquant'anni, fino alla scomparsa dello stilista affrontando insieme la malattia e la dipendenza da alcol e droghe, ma anche dando vita ad una vera e propria azienda ce ha saputo coniugare al meglio trasgressione e passione sartoriale, imprenditorialità e purissimo talento.


E' impressionante la somiglianza fisica del giovane Pierre Niney (Emotivi anonimi, 20 anni di meno) con Saint Laurent, a parte questo però l'interpretazione è estremamente efficace. Il meno giovane Guillaume Gallienne è un onnipresente e efficientissimo contraltare per YSL, assai più che una spalla. Le muse di YSL sono Charlotte Le Bon (no, non è parente) che spicca nel ruolo della prima musa di Saint Laurent, la modella Victoire Doutreleau; più penalizzate - anche nel metraggio - Laura Smet  (figlia di Johnny Halliday) nella parte di Loulou de la Falaise e Marie de Villepin (figlia del Dominique de Villepin ex premier di Francia) in quella dell'androgina  Betty Catroux. Il giovane Karl Lagerfeld (filologicamente non ancora magrissimo) che compare nella pellicola è interpretato da Nikolai Kinski, figlio di Klaus (aridaje!) e fratellastro di Nastassja.
I costumi, come ovvio, assumono grande importanza da un lato per la ricerca degli abiti indossati dai personaggi, dall'altro perchè la fondazione Saint Laurent - Bergé ha concesso al regista di utilizzare i modelli originali delle collezioni mostrate nel film.
Molto interessante anche la selezione della colonna sonora, la scelta di usare l'aria Ebben? Ne andrò lontana da La Wally di Catalani nel finale è semplicemente perfetta.


Sceneggiatura e regia non lasciano il segno: se per la prima adattare un'opera epistolare può indurre a umana comprensione, per la seconda sono assai meno incline alla indulgenza. L'Yves Saint Laurent che ne esce è quello "visto da Pierre Bergé"; non che non si tratti di un punto di vista privilegiato, ma non è detto che sia anche il più interessante. Possiamo quindi apprezzare l'amore, la pazienza, la costanza dimostrati da Bergè nel corso dei decenni passati al fianco dell'artista. Il peccato grave del film è però di non saper comunicare la straordinarietà della caratura d'artista di YSL. Non può essere sufficiente esibire i modelli originali a farci capire il genio e la capacità tecnica fuori dal comune che ne hanno permesso la creazione, nè ci viene spiegato nulla dell'ambiente dell'alta moda del tempo, il che difficilmente ci farà comprendere perchè YSL è stato un innovatore radicale pur sapendo rimanere al passo dei suoi tempi.


Un'agiografia più di Bergé che di Saint Laurent, che ci racconta molto dell'uomo e ben poco dell'artista. Una confezione che punta tutto sui vestiti, però ce li mostra ben poco. Un regista che eccede solo nel dare per scontato che lo spettatore sappia già quasi tutto. Dopo L'Amour Fou del 2010 e questo Yves Saint Laurent, uscirà in autunno una versione "non autorizzata" Saint Laurent con Gaspard Ulliel, Léa Seydoux e Olga Kurylenko; ammesso che arrivati al terzo film  l'argomento non abbia già stufato, abbiamo ancora una chance: speriamo non vada sprecata anche questa, la statura d'artista di Saint Laurent non lo merita di certo!

2014 - Yves Saint Laurent
Regia: Jalil Lespert
Sceneggiatura: Marie-Pierre Huster, Jalil Lespert, Jacques Fieschi
Costumi: Myriam Laraki

mercoledì 26 marzo 2014

Read and be ready - X-Men giorni di un futuro passato


Il 22 maggio prossimo uscirà in Italia l'attesissimo X-Men - Giorni di un futuro passato. L'attesa è generata da diversi fattori: il film mette a confronto i personaggi degli X-Men "giovani" presentati con X-Men L'inizio e quelli della trilogia "originale", vedremo diversi ritorni: Anna Paquin, Ellen Page, Halle Berry e gli immancabili Patrick Stewart e Ian McKellen e anche alcuni ingressi, come l'ormai lanciato Omar Sy e il grande Peter Dinklage. Presente, ovviamente la nuova generazione di mutanti: Jennifer Lawrence, Michael Fassbender, James McAvoy e Nicholas Hoult. Inutile dire che il trait d'union fra tutti questi personaggi è il Wolverine di Hugh Jackman.

Ai miei occhi però la vera buona notizia è il ritorno sulla sedia del regista di Bryan Singer, cioè il regista dei primi due - stupendi - capitoli della saga X-Men (oltre che di I soliti sospetti, film per il quale gli sarò eternamente grato).

La trama vede i mutanti "buoni" e "cattivi" unirsi nella lotta contro la Trask Industries, per vincere la quale manderanno Wolverine nel passato, nel tentativo di cambiare le sorti del conflitto.

Anche se ritengo che il ritmo con il quale stanno uscendo i film Marvel si stia facendo un tantino troppo vorticoso e  - onestamente - alcuni filoni probabilmente siano troppo sfruttati, il fascino della storia e il cast di assoluta eccezione oltre alla sensibilità che Singer ha dimostrato nei confronti dell'universo dei mutanti, fanno sì che anche io sia fra quelli che contano i giorni che ci separano dall'uscita di questo nuovo capitolo.
Temo però che il finale non sarà chiuso chiuso se è vero che il successivo film della saga è già stato deliberato e si intitolerà X-Men Apocalypse. Chissà se è un bene, nel frattempo gustiamoci il trailer in italiano.


2014 - X-Men - Giorni di un futuro passato (X-Men: Days of Future Past)
Regia: Bryan Singer
Musica e montaggio: John Ottman
Costumi: Louise Mingenbach


lunedì 24 marzo 2014

Non buttiamoci giù


Nick Hornby ha la straordinaria capacità di conferire, sulla carta, credibilità a personaggi immaturi e un po' schiodati; trasferire la stessa levità sul grande schermo è invece operazione assai più complessa di quanto potrebbe apparire. Il francese Pascal Chaumeil, collaboratore abituale di Luc Besson, di certo non possiede lo stesso dono di Hornby, privo dello stesso gusto per il black humour resta a metà fra commedia e dramma senza imboccare con decisione nessuna delle due strade. Il film, senza essere una pietra miliare, è comunque godibile e ha il pregio di avere un cast estremamente ben assortito.


I personaggi entrano in scena uno alla volta: l'ex presentatore televisivo Martin, la casalinga fiaccata dalla solitudine e dalla quotidiana fatica Maureen, la giovane ribelle Jess e il rocker in crisi esistenziale J.J. si ritrovano la sera di capodanno in cima a un palazzo di Londra famoso per essere uno di quelli più frequentati dai suicidi. I quattro decidono di scendere insieme (A long way down, il titolo originale si riferisce sia a questa discesa verso il piano terreno che al tentativo di recuperare una vita "normale") e aiutarsi a vicenda, quais si trattasse di una famiglia elettiva. Nel libro si alterna frequentemente il punto di vista dei diversi personaggi, mentre nel film il mantenimento di una linearità di racconto fa sì che questo sia semplicemente diviso in capitoli dedicati a seguire un personaggio più da vicino degli altri.


Pierce Brosnan, in ottima forma fisica, mette le sue caratteristiche di attore brillante al servizio del personaggio del vacuo Martin, presentatore televisivo caduto in disgrazia a causa di uno scandalo sessuale. Toni Collette nel ruolo della derelitta Maureen conferma il proprio immenso talento. Una piacevole sorpresa è rappresentata dalla giovane londinese Imogen Poots, la sboccata ragazzina Jess in conflitto con il padre, un politico professionista (un Sam Neill poco riconoscibile - è un complimento); molto lanciato dopo Breaking Bad, Aaron Paul dà corpo a un credibile musicista divorato dal male di vivere. Cameo di lusso per Rosamund Pike, nel ruolo della stronzissima ex collega di Martin che massacra i quattro nel corso di una disastrosa intervista televisiva.
Nella crew tecnica si distingue il musicista italiano Dario Marianelli (V per vendetta, Anna Karenina, Jane Eyre, Quartet) che assembla un ottimo commento musicale.


Il film, rispetto al libro, ha la pecca di non approfondire il disagio mentale dei protagonisti, ma anche se la semplificazione può apparire fastidiosa, su un tema come questo è meglio mantenersi nel non detto piuttosto che addentrarsi su un terreno così periglioso senza saperne governare i chiaroscuri con la giusta dose di humour. Alcune scene, come la rissa nel resort sulla spiaggia, sono genuinamente divertenti, il monologo nel finale di Aaron Paul costituisce invece l'apice della parte drammatica.
Chaumeil è un fan, letterariamente parlando, di Hornby: probabilmente nel timore di distorcere troppo l'opera letteraria si dimentica di dare una spina dorsale al proprio film, che tuttavia si salva grazie all'ottima performance degli attori, ognuno bravo nella propria parte ma soprattutto capaci di una performance corale di grande affiatamento.
In definitiva il film mi è piaciuto più di quanto non si evinca da queste righe, una scelta che mi sento di consigliare per una serata poco impegnativa: un'ora e mezza di intrattenimento di qualità, non profondo ma nemmeno stupido, il che di questi tempi non è poco.


2014 - Non buttiamoci giù (A Long Way Down)
Regia: Pascal Chaumeil
Fotografia: Ben Davis
Musiche: Dario Marianelli