venerdì 26 marzo 2010

Alice: solo chi è pazzo cambia il mondo



Lo confessiamo: siamo fan della prima ora di Tim Burton. Abbiamo amato Edward mani di forbice, riso con Mars Attacks!, ci siamo spaventati con Sleepy Hollow e con Sweeney Todd, commossi con Nightmare before Christmas e la Sposa cadavere e - dulcis in fundo -meravigliati con La fabbrica del cioccolato. Tuttavia ogni film è un nuovo esame, ed è con sottile inquietudine, anzi, con una punta di pregiudizio, che siamo andati a vedere l'ultima fatica dell'autore americano: Alice in wonderland, per l'occasione in versione 3D.
La trama segue le avventure di Alice in un mondo al tempo stesso poetico e allucinato caratterizzato dall'inquietante estetica gothic tipica di Tim Burton.
Uno dei temi ricorrenti nei suoi film è quello della ricerca/accettazione di sè in contrapposizione alla dilagante omologazione della massa. In questo il film è una conferma: Alice, soffocata dai conformismi della società, trova la propria identità attraverso un percorso personale originale e rientra nella stessa società, non più come pedina inconsapevole, ma come individuo attivo e propositivo. La trasformazione (il passaggio dall'adolescenza all'età adulta), è ben sottolineata dai costumi: Alice cambia d'abito ogni volta che le succede qualcosa, quindi spesso. Lo stile, sembra dirci Burton, non è la pedissequa applicazione della moda ma l'interpretazione che ognuno di noi ne fa.
Ci hanno deluso alcune inaspettate cadute di stile, come Alice che al rientro nel mondo di sopra fa la morale a tutti i presenti e si esibisce in una ridicola "deliranza" ma, al di là delle scene più o meno riuscite, a noi di Torino Style è parso che per decollare davvero al film manchi quel briciolo di follia in più che l'avrebbe veramente reso "migliore". 


Per quanto riguarda i costumi: belli quelli vittoriani del party "matrimoniale"; la corte della regina rossa veste in stile '400 (curatissimi i personaggi di corte), quella della regina bianca è del '600. Il cappellaio matto sembra vestito dall'esercito della salvezza; Alice, oltre alle proprie dimensioni fisiche, cambia in continuazione vestiti e scarpe, tutti belli.  
Sia ai costumi che alle scenografie, rispetto alle capacità visionarie dimostrate nei film precedenti, manca quel non so che che in occasioni precedenti ci ha strappato un "ooooh" di ammirazione.


Sugli attori, tranne i personaggi umani, tutti pesantemente truccati o realizzati direttamente in grafica:
Johnny Depp: un'occasione persa, troppo truccato (molto più che nella chocolate factory), il personaggio non è particolarmente sviluppato dalla sceneggiatura. Non giudicabile.
Helena Bonham Carter: difficile ricordare l'ultima volta che NON ha interpretato una pazza psicopatica nascosta sotto mezzo quintale di make up. Non sarebbe ora di aprirle la gabbia?
Anne Hathaway: con occhi e bocca smisurati (di natura) non stupisce che abbia colpito l'immaginario di Burton. Per noi, le manca un pizzico di autoronia che avrebbe reso la svampita regina bianca un personaggio memorabile; perde l'occasione di rubare la scena a un big come Johnny Depp.
Mia Wasikowska: la good news del film. A 20 anni scarsi riesce a dare credibilità al personaggio, ed è davvero protagonista anche se circondata da mostri sacri dello showbiz. Sarà interessante vedere che film sceglierà in futuro, per il momento... chapeau!


Una nota sul 3D. In questo caso non aggiunge e non toglie nulla all'estetica del film; è infatti poco sviluppato (il film si può praticamente vedere anche senza indossare gli occhiali), pare quasi che perda anch'esso convinzione con il procedere della trama. La lotta con il Ciciarampa avrebbe potuto essere un pezzo di storia del cinema.


Sintesi: film godibile ma non imperdibile, da Tim Burton pretendiamo di più, lo aspettiamo con fiducia alla prossima prova!

venerdì 12 marzo 2010

Invictus: Mud & Glory



Abbiamo visto per voi - con grande piacere peraltro - Invictus, l'ultima fatica di Clint Eastwood. Se Dirty Harry di solito prima sparava e poi chiedeva chi va là, il vecchio Clint (a maggio saranno 80, portati con grande eleganza) si dimostra una volta di più autore di staordinaria sensibilità.

Il film racconta come Nelson Mandela, dopo la fine dell'apartheid ed il suo insediamento come Presidente, utilizzò la Coppa del mondo di rugby del 1995 in Sudafrica come strumento di coesione nazionale. La storia è dunque basata su fatti storici, e questo rende la sua metafora ancora più potente.

Mandela prende per mano al tempo stesso una nazione ed una squadra sfiduciate, insicure dei propri mezzi e riluttanti al cambiamento e indica loro la via per raggiungere un obiettivo (che sarà sì sportivo, ma soprattutto politico) al di là di ogni aspettativa.

Oltre al regista, ispirati anche gli attori protagonisti, Morgan Freeman particolarmente in palla nel ruolo di Mandela (c'è voluto uno straordinario Jeff Bridges per batterlo nella corsa all'Oscar come miglior attore protagonista) e Matt Damon in versione al nandrolone (scherzi a parte cosa gli avranno mai dato per fargli gonfiare così i muscoli?) nel ruolo di François Pienaar, capitano degli Springboks campioni del mondo.

Belli i costumi, con un Mandela sempre impeccabile quando è nel ruolo istituzionale, preferibilmente in completi chiari, nella vita privata invece sfoggia camicie o maglie multicolori. Matt Damon indossa un elegante completo blu solo per il the al palazzo presidenziale, mentre per tutto il resto del film è in abiti sportivi, di solito sporchi di fango, impegnatissimo nel fare la propria parte nella costruzione di una nuova identità nazionale.
"Questa Nazione ha fame di gloria" dice Mandela in una scena del film, e nessuno più di lui, o di un rugbysta, sa che i grandi traguardi si raggiungono sì lottando nel fango, ma a viso aperto, senza rinunciare a comportarsi con stile. I veri uomini - e il film ne abbonda - sono buoni ma non buonisti, sanno soffrire, lottano per le proprie idee e qualche volta cambiano idea! Una lezione, e non solo di cinema. Decisamente consigliato.