giovedì 26 dicembre 2013

Monuments men - Read and be ready


Se il personaggio GeorgeClooney vive nel più glamorous showbiz, fra fidanzate più o meno improbabili e degustazioni di caffè più o meno placide, al regista George Clooney va riconosciuta la capacità di selezionare storie che nessun altro racconta più, nel corso del tempo dalla filmografia di questo inconsueto autore sta lentamente prendendo forma una certa idea di Stati Uniti d'America. E' un bene che un personaggio così ben introdotto nei circuiti hollywoodiani utilizzi le proprie risorse di credibilità per fare film che possono sì avere successo (da quando sarebbe un difetto?), ma che è difficile definire commerciali.


L'ultimo lavoro del Clooney regista verrà presentato il prossimo 7 febbraio al festival di Berlino, ed è tratto da l libro The Mo­nu­ments Men. Al­lied He­roes, Nazi Thie­ves and the Grea­test Trea­sure Hunt in Hi­story, pubblicato nel 2010 (in Italia l'anno scorso) da Robert M.Edsel
Vi si narra di un bizzarro plotone di soldati, costituito nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale e composto di un manipolo di critici d'arte, direttori di musei, scultori ed esperti di opere d'arte in genere. L'obiettivo della task force era quello di salvare le opere d'arte requisite dai nazisti e minacciate di distruzione in caso di sconfitta del Reich. Il cast è da grandi occasioni, attorno a sè Clooney ha voluto infatti Matt Damon, John Goodman, Jean Dujardin, Bill Murray e Cate Blanchett.
In Italia l'uscita è fissata per il 13 febbraio, inutile dire che il titolo è imperdibile. Nell'attesa, gustatevi il lungo trailer che trovate qua sotto.


2013 - Monuments Men (The Monuments Men)
Regia: George Clooney
Scenografia: James D. Bissell
Costumi: Louise Frogley
Musiche: Alexandre Desplat

giovedì 19 dicembre 2013

Si alza il vento - Read and be ready


Giunto al 25° film da regista e all'età di 72 anni, il mito vivente dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki ha annunciato il proprio ritiro. Fortunatamente nel farlo ha reso meno amara la notizia presentando la sua ultima fatica, Si alza il vento, presentato in anteprima all'ultimo Festival del Cinema di Venezia.
Si tratta di un vero e proprio testamento artistico: la storia è una libera trasposizione del libro di Tatsu Hori, a sua volta ispirato da un verso di Verlaine.

Il film è ambientato fra gli anni 20 ed i 40 in Giappone, il giovane Jiro Horikoshi immagina di intrattenere un'amicizia con il suo mito, l'ingegnere italiano Gianni Caproni. Nella fantasia del giovane, Caproni lo invita a farsi progettista di aerei. Divenuto adulto, Jiro progetterà l'aereo da caccia Mitsubishi A6M, il mitico "Zero" utilizzato nell'attaco a Pearl Harbour (famoso cinematograficamente per essere apparso in molti film di guerra, ad esempio in quel Tora! Tora! Tora! di Richard Fleischer che alle medie stregò me e i miei compagni di classe).
Una storia "privata" di un giovane con la passione per il volo, una storia d'amore, e venti anni di Storia del Giappone: un mix che nelle mani di chiunque altro non potrebbe che trasformarsi in un indigesto polpettone. Invece - a quanto riporta chi l'ha visto - Miyazaki lascia il mestiere del cinema con un vero capolavoro di profondità e leggerezza, una favola che mischia le culture parlando di totalitarismo e valori universali, puntando come sempre dritto al cuore dello spettatore.
Il film non è ancora uscito e Miyazaki già ci manca, non resta che sperare in un ripensamento!
In uscita a marzo 2014, decisamente da non perdere.


2013 - Si alza il vento (Kaze Tachinu)
Regia: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Animazione: Katsuya Kondô, Kitarō Kosaka

martedì 17 dicembre 2013

Lo Hobbit - La desolazione di Smaug


Puntuale ad un anno dall'uscita di Un viaggio inaspettato, arriva il secondo capitolo tratto da Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien. 
Le considerazioni fatte in occasione del primo capitolo valgono ancora: Lo Hobbit letterario è un'opera introduttiva nella quale si fa la prima conoscenza con l'universo immaginato da Tolkien; al contrario l'opera cinematografica arriva successivamente al "piatto forte" rappresentato dalla trilogia de Il signore degli anelli, opera di ben maggior spessore. L'effetto rischia di essere paragonabile al brodino servito dopo il brasato: fa piacere ma in futuro ci ricorderemo più volentieri del piatto più polposo.
La durata di due ore e quaranta è forse un po' eccessiva, ma allineata con le altre pellicole della serie; il regista, svincolato ormai dalla presentazione dei personaggi può dare per assodata la conoscenza dei rapporti fra le razze e delle motivazioni personali e premere decisamente il pedale dell'acceleratore sulle scene d'azione.


La trama segue le vicissitudinidi Bilbo Baggins e della compagnia di nani capitanati dal nobile Thorin Scudodiquercia diretti alla montgna solitaria per scacciare il perfido drago Smaug dalle sale scavate nella roccia dell'antico regno nanico di Erebor. Durante il periglioso viaggio i nostri eroi si imbattono nel mutapelle Beorn (un gigantesco uomo capace di mutare il proprio aspetto con quello di un enorme orso), nel regno degli elfi silvani di re Thranduil (impersonato dall'attore Lee Pace, la cui somiglianza col cabarettista romagnolo Giuseppe Giacobazzi, basette incluse, è involontariamente esilarante). Orlando Bloom crea un curioso paradosso temporale: dieci anni dopo la conclusone delle vicende de Il signore degli anelli reinterpreta l'elfo Legolas all'interno di una vicenda che si svolge sessanta anni prima! Dopo una ulteriore avventura nella città di Pontelagolungo, finalmente l'azione si sposta nelle sale ricolme di oro dove dorme il drago Smaug. Se svegliare un cane dormiente è sconsigliabile, vi lascio immaginare quale pericolo sia ridestare un enorme rettile sputafuoco.


La sceneggiatura si prende un po' di libertà rispetto all'opera letteraria, introducendo per pura political correctness un personaggio femminile inesistente nella storia originale, l'elfa guerriera Tauriel, interpretata dalla star di Lost Evangeline Lilly. Bard - uomo aspro ma sincero e infallibile arciere che in qualche modo prefigura (o ricorda, per il pubblico cinematografico) la figura di Aragorn - è impersonato con efficacia da Luke Evans (il cattivo di Fast & Furious 6). Martin Freeman sviluppa molto bene il personaggio di Bilbo, lentamente ma inesorabilmente affascinato dal potere dell'Anello; nel complesso la prestazione di Freeman come portatore dell'Anello mi pare molto più riuscita rispetto a quella del sempre stranito Elijah Wood nei panni di Frodo.
Il drappello dei nani risulta vagamente tedioso, caratterizzati come sono attraverso i tratti della litigiosità e della diffidenza. Benedict Cumberbatch dopo aver prestato voce e figura al Negromante fa l'asso pigliatutto di vilains regalando profondità cavernose alla voce di Smaug: chi può gusti il film in versione originale.


Come e più del primo capitolo, La desolazione di Smaug è intrattenimento di alto livello, con alcune scene davvero entusiasmanti: l'attacco dei ragni e la fuga nelle botti coinvolgono e divertono. La trama si dipana agile nonostante la durata della pellicola: le licenze autoriali sono sì discutibili ma non possono disturbare davvero che i puristi e i musoni cronici. Fastidiosa invece la frettolosa troncatura finale: va bene creare aspettativa in vista dell'ultimo episodio (che uscirà a Natale 2014), però lo spettatore ha il diritto di vedere un film compiuto in sè, non martoriato dalla scritta "to be continued..."
Il 3D, grazie alla tecnica dei 48 fps di cui ho già scritto in occasione del primo capitolo, non risulta affatto fastidioso, il regista si premura anche di inserire qualche spettacolare chicca (come i calabroni che svegliano Bilbo) per mantenere sempre elevato il livello spettacolare. 
I curatissimi costumi ed i meravigliosi paesaggi naturali (neozelandesi) uniti alla elevata qualità delle scene d'azione rendono La desolazione di Smaug una interessante opzione per riempire i lunghi pomeriggi vacanzieri con una bella scorpacciata di cinema e popcorn per tutta la famiglia.


2013- Lo Hobbit La desolazione di Smaug (The Hobbit: The desolation of Smaug)
Regia: Peter Jackson
Scenografia: Alan Lee, John Howe, Dan Hennah
Costumi: Bob Buck,  Burkes-Harding, Ann Maskrey , Richard Taylor

martedì 10 dicembre 2013

Behind the candelabra

F

Molto si può dire della carriera di regista di Steven Soderbergh, ma non che sia privo di coraggio. Maneggiare un soggetto rischioso come quello da cui è tratto Behind the candelabra di certo richiede nervi saldi e polso fermo. Fino dalla pre-produzione il film non ha avuto vita semplice, considerato "too gay" dalle major hollywoodiane, ha trovato miglior fortuna presso la HBO, eccelsa casa di produzione televisiva. Per una volta tanto si può provare anche una certa empatia per i produttori: nulla (proprio nulla) di esplicito, scabroso o sconveniente viene taciuto da Soderbergh nella rappresentazione di uno scorcio della vita di Valentino Liberace, uno dei più grandi musicisti e showman fra gli anni 60 e gli 80, seppure poco noto da questa parte dell'oceano.


Il film è tratto dalla biografia di Scott Thorson, che fu compagno di Liberace fra il 1977 e il 1982. Dietro il candelabro, che il musicista teneva sempre sul pianoforte, è l'immagine scelta per mostrare il Liberace privato. Dal primo incontro, quasi fortuito il rapporto fra il maturo ed eccentrico showman ed il giovane e inesperto (fra i due c'erano ben quaranta anni di differenza) Scott evolve in una sorta di matrimonio, per poi implodere sotto la spinta del narcisismo di Liberace, che si spinge fino a far modificare chirurgicamente (le sequenze dell'operazione son piuttosto disturbanti) il volto dell'amato per renderlo più somigliante al sè stesso giovane, delle droghe e di una vita troppo scollegata dal mondo reale per essere vera. Nonostante tutto, una scintilla del rapporto fra i due potrebbe essersi salvata, se in punto di morte il giovane viene convocato per un ultimo chiarimento: sarà sincerità, richiesta di compassione o l'ennesima contraddizione di un personaggio fino all'ultimo sopra le righe? 


Bizzarra ma riuscita la scelta degli interpreti: Michael Douglas è straordinario nella caratterizzazione degli atteggiamenti del personaggio (e pare anche della voce, che io però non ho potuto apprezzare in versione originale), il suo Liberace - come quello originale - è un personaggio che vive di contraddizioni fra il personaggio pubblico e quello privato, fra religiosità e sessualità, fra business e cuore, fra cinismo e passione. Matt Damon riesce nell'impresa "impossibile", per un quarantenne, di farci dimenticare la sua età anagrafica. Il suo Scott è totalmente soggiogato dalla personalità di Liberace; pagherà a caro prezzo l'aver accantonato per lui i propri sogni rinunciando a vivere se non in funzione del suo mentore. Rob Lowe compare nel ruolo del tiratissimo dottor Startz, il chirurgo plastico che opera sia Liberace che Scott. E' un ruolo minore ma l'interpretazione è davvero incisiva. Il grande Dan Aykroyd, infine, interpreta Seymour, l'inflessibile manager di Liberace. Il suo personaggio è quasi inesistente, ma rivederlo sul grande schermo è sempre una gioia.


Liberace passò la vita a negare pubblicamente di essere omossesuale, terrorizzato dalla prospettiva di essere etichettato come gay, vietando a i componenti del suo entourage - con le buone o con le cattive - di rivelare alcun dettaglio sulla sua vita privata. A quanto pare la società americana perbenista e benpensante era ben disposta  a passare sopra gli abiti di scena eccentrici, paillettes, lustrini e pellicce pur di non porsi qualche domanda scomoda.
Al primo incontro Scott e Lee (il soprannome di Liberace) parlano degli inseparabili cagnolini dello showman. Lee sostiene che i cani ci amano incondizionatamente anche perchè non ci conoscono a fondo, se sapessero cosa pensiamo davvero, non potrebbero esserci così fedeli.
La parabola rappresenta il rapporto fra le star dello showbiz ed il pubblico, se davvero conoscessimo i nostri idoli, se ne vedessimo la vanità, l'egocentrismo non li ameremmo più. L'idolo, reso umano, è solo un piccolo uomo come tutti gli altri. 
Un pensiero inaccettabile per l'ego di ogni artista.


2013 - Dietro i candelabri (Behind the candelabra)
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Richard LaGravenese
Costumi: Ellen Mirojnick
Scenografia: Howard Cummings

giovedì 5 dicembre 2013

Hollywood Chewing Gum - Tim Burton - Director's Ads


Chi seguisse il blog da un po' di tempo si sarà reso conto che uno dei miei registi favoriti è Tim Burton, di cui apprezzo in particolare due cose: l'estetica fumettistica e l'attenzione verso l'emarginazione sociale.
Queste due cose di certo non mancano a questo commercial girato dal fantasioso autore per una marca  francese di chewing gum, in cui il protagonista è un nano da giardino "risvegliato" dalla freschezza di una gomma da masticare, che decide di andarsene all'avventura in giro per il mondo fino a scovare un laghetto incantato...

Lo spot è girato nel 1998, quindi fra Mars Attacks! e Il mistero di Sleepy Hollow e ben sette anni prima di La fabbrica di cioccolato, in cui verranno magistralmente ripresi i temi dei dolciumi e anche dei nani, se gli Umpa Lumpa non si offendono.

Tuttavia, ci troviamo "solo"tre anni prima de Il favoloso mondo di Amelie e vi confesso che mi piacerebbe molto chiedere a Jean-Pierre Jeunet se per caso l'idea del nano da giardino "viaggiatore" ha un qualche debito con questa pubblicità.

Chissà se avrò mai l'occasione di farlo...nel frattempo mi godo il video!


1998 - Fraicheur de vivre
Prodotto: Hollywood chewing gum
Regia: Tim Burton

lunedì 2 dicembre 2013

La mafia uccide solo d'estate


Dopo lunga gestazione ha fatto il suo debutto all'appena concluso Torino Film Festival La mafia uccide solo d'estate di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Un capolavoro di equilibrio, sospeso com'è fra la leggerezza di sguardo del personaggio principale, il grottesco dei boss mafiosi e la tragicità del coraggio degli eroi civili palermitani (nativi o acquisiti poco importa), i veri protagonisti della pellicola. Nel primo week end di programmazione il film si è guadagnato il quinto posto per incassi, combattendo contro colossi come La ragazza di fuoco, Thor 2 e Sole a catinelle il che oltre ad essere un piccolo miracolo, la dice lunga sulla qualità del prodotto.


Il film, non autobiografico, racconta la vita del piccolo Arturo a partire dagli anni 80 fino - suppergiù - ai giorni nostri. Il piccolo Arturo cresce ossessionato dalla presenza mafiosa e dalla figura di Giulio Andreotti, che assume per il protagonista quasi il ruolo di nume tutelare. Crescendo la vita "normale" di Arturo si intreccia con quella dei protagonisti della storia della città, a volte coraggiosi poliziotti o integerrimi magistrati, altre spietati boss mafiosi che passano dal ruolo di carnefici a quello di vittime della stessa violenza di cui si nutrono, per terminare - finalmente - là dove si meritano: in galera.
La vicenda storica si intreccia con la vita privata di Arturo, perennemente innamorato di Flora, la bambina più carina della classe, prima perduta e poi inaspettatamente ritrovata, con tutte le delusioni del caso. 


 Il personaggio del protagonista è interpretato dallo stesso Pif nella sua versione "adulta", e dal bravissimo Alex Bisconti da bambino, nel ruolo di Flora troviamo Cristiana Capotondi e la piccola Ginevra Antona. Claudio Gioè è il giornalista che "insegna il mestiere" ad Arturo, Rosario Lisma - infine - interpreta il padre del protagonista.
Ottimo il lavoro svolto sulla sceneggiatura dallo stesso Pif, ma imprtanti anche i nomi della crew tecnica: molto ispirate le musiche di Santi Pulvirenti (ottimo chitarrista collaboratore fisso di Carmen Consoli), i costumi di Cristiana Riccieri e le scenografie di Marcello di Carlo mi hanno riportato indietro a un tempo che sia nell'estetica che nell'atmosfera politica è ancora ben scolpito nella memoria, almeno nella mia.


La pellicola rischia di pagare caro lo scotto di essere opera di un personaggio televisivo: la voce fuori campo e l'inconfondibile mimica di Pif rischiano di renderlo un po' una extended version di una puntata de Il testimone (il programma TV di cui il regista è autore e protagonista), tuttavia più il film va avanti è più ci rendiamo conto che si tratta prevalentemente di un film sui bambini, diretti con maestria, e su come il loro sguardo ingenuo ma impietoso riesca a cogliere l'essenziale dei fatti molto meglio di quello degli adulti, persi dietro le fatiche quotidiane, le ideologie, la paura di inimicarsi qualcuno "che conta". Il tempo, sostiene Pif, alla lunga è galantuomo ed oggi molti dei protagonisti di una stagione di violenza fra le più crude del dopoguerra si trovano dietro le sbarre, anche se la maggior parte degli abitanti "onesti" della città ha sempre preferito far finta di non vedere. Ma di fronte a cosa nostra non bisogna abbassare la guardia, così Arturo nell'ultima commovente sequenza, porta il figlioletto a fare una sorta di pellegrinaggio laico a vedere le lapidi dei troppi che sono caduti facendo il proprio dovere fino in fondo, raccontandogli come le loro vite si sono incrociate con la sua e di Flora. Di nuovo l'incrocio fra la dimensione epica e quella quotidiana: senza una maggioranza silenziosa di gente nel proprio piccolo coraggiosa nemmeno il sacrificio degli eroi avrebbe senso.



2013 - La mafia uccide solo d'estate
Regia: Pif
Sceneggiatura: Pif, Michele Astori, Marco Martani
Musiche: Santi Pulvirenti
Costumi: Cristiana Riccieri
Scenografia: Marcello Di Carlo