lunedì 28 maggio 2012

Blog Award Backlog



Grazie a Torino Style, che mi ha graziosamente conferito il suo Blog Award Backlog, ho l'occasione per raccontare qualcosa dell'uomo che si cela dietro al Talking Mule.
Spero di farcela a raggiungere le "7 cose di me" che costituiscono il piccolo pegno da pagare in cambio della segnalazione.

E allora non indugiamo oltre, in ordine più o meno sparso forse non tutti sanno che...

Devo la mia nascita come recensore a mia sorella Giulia. Quando era più giovane era iscritta ad un cineforum in inglese dove la rifornivano di dispense con le recensioni dei vari film pubblicate sui quotidiani e sulle riviste specializzate (le conservo ancora tutte in archivio). E' così che ho scoperto che il film è sempre nell'occhio di chi guarda e che i cattivi recensori fanno processi alle intenzioni e non a quello che hanno visto.

La passione per i muli mi è stata geneticamente trasmessa da mio padre, ufficiale di artiglieria da montagna (non chiamatelo alpino!). Anche io ho prestato servizio nelle truppe alpine, ma i muli purtroppo non c'erano più da un pezzo. Uno dei miei sogni proibiti è avere una scuderia di muli e asini.

Oltre al cinema sono appassionato di due ruote, mi sposto abitualmente in scooter e periodicamente terrorizzo la mia famiglia annunciando acquisti di moto superpotenti che ovviamente non mi potrò mai permettere. In realtà, vista la mia passione per lo stile britannico l'unico "ferro" che comprerei davvero è una tranquilla e stilosissima Triumph Bonneville.

Anche se il mio attuale look professional-manageriale non lo lascerebbe facilmente supporre, attorno ai 20 anni ho fatto parte come bassista di svariati gruppi punk rock (genere musicale di cui resto appassionato); venne presto il momento in cui mi resi conto che sarei sempre stato scarso, così adesso la musica la ascolto e basta!

Il mio tipo di vacanza preferito viaggiare in auto o in moto con una meta in mente ma senza troppi vincoli sulla strada da fare e dove e quanto fermarsi. Le mie città preferite nel mondo sono New York, Londra e Budapest, per cui nutro un affetto particolare.

Pratico il canottaggio, uno sport da pazzi scatenati in cui si fa una fatica bestiale e ci si sfasciano le mani con orrende piaghe che la gente normale di solito scambia per un principio di lebbra. Nella mia città (Torino) è bellissimo remare in mezzo al parco del Valentino, circondati dal verde e potendo ammirare uno sfondo di palazzi e monumenti bellissimi. La prima volta che sono salito in barca ero piuttosto dubbioso, poi alzando lo sguardo ho visto lo skyline cittadino con una prospettiva che c'è solo dall'acqua. Non sono più sceso!

E' stato proprio grazie a Torino Style che ho iniziato a scrivere recensioni di cinema. Qui c'è il mio primo vagito nel mondo della critica: A Single Man di Tom Ford.  Ehmmm...almeno ha il pregio dell'essenzalità!


Dopo avervi rivelato questi "segreti", torno a nascondermi dietro al mio equino alter ego. Un gioioso nitrito a tutti!

giovedì 24 maggio 2012

The devil wears Prada - se questo è un diavolo


A proposito di Il diavolo veste Prada si è molto scritto nella blogosfera, ma - sollecitato da una diretta richiesta da parte del il mio più affezionato lettore, l'Anonimo delle 3.37 - non posso esimermi dal dare il mio contributo.
Lo styling del film è stato ampiamente dibattuto sia al momento dell'usicta film sia successivamente e - in tutta franchezza - il commento sulle scelte degli abiti di scena sarebbe ben oltre le mie possibilità.
Non sono mancate infatti le critiche alla vacuità del mondo della moda ed alle sue manie ("un disperato bisogno di Chanel", "la 38 è la nuova 40"). Quello della moda è però un mondo le cui fobie e  contraddizioni sono sotto gli occhi di tutti, in realtà uno sguardo più attento su altre industry - dalla cultura al metalmeccanico - evidenzierebbe inevitabilmente le loro peculiari idiosincrasie, forse meno interessanti o emblematiche da riprodurre sul grande schermo. Bando quindi alla critiche superficiali e a priori, cercherò invece di dare enfasi al tesoro che a mio parere si nasconde sotto una superficie patinata.


Nel cast tecnico spicca la stylist Patricia Field, che ha  curato lo styling di due serie TV di culto come Sex & The City e Ugly Betty. Vi consiglio una visita al suo sito personale: trovo affascinante il contrasto fra l'incredibile gusto personale che traspare dal sito web e la capacità di dare un look elegante ed adeguato a tutti i personaggi del film.


Un altro punto di forza del film è certamente il cast artistico: Meryl Streep giganteggia in un ruolo in cui sarebbe facile perdere la bussola e trasformare il personaggio in una macchietta. Miranda Priestly (chiaramente ispirata  ad Anna Wintour) è un boss inflessibile e inarrestabile, ma la Streep le regala una umanità che dà spessore a tutto il film. Emily Blunt (nel ruolo di Emily, la "prima segretaria" di Miranda), oltre a regalarci la sua interpretazione migliore in assoluto (finora) è molto affascinante e magrissima. Nella versione in lingua originale è un vero piacere sentirla parlare con una inflessione british molto comprensibile.
Stanley Tucci si conferma un vero fuoriclasse (in inglese ha meno "vocina", molto meglio per il suo personaggio). La sua caratterizzazione di Nigel, stretto collaboratore di Miranda e mentore di Andy nel mondo della moda, è irresistibile.
Personalmente non sono un grande fan di Anne Hataway, ma devo riconoscere che qui fa un buon lavoro. Andy Sachs è un personaggio che si evolve, passando dal falso intellettualismo snob della neodiplomata in giornalismo al disincanto senza amarezze della professionista ormai matura del finale.
Anche se qui mi pare un po' fuori parte, concedo una citazione per Simon Baker, nel ruolo di Christian Thompson. Visto col senno di poi è molto meglio in TV (dimagrito e coll'inseparabile gilet) come protagonista della serie The Mentalist.
Il personaggio di Nate (Adrian Grenier) è francamente un insopportabile compendio dei difetti maschili: egoista, infantile e invidioso dei successi della fidanzata. Accetto la critica, ma vorrei puntualizzare che noi maschietti sappiamo essere meglio di così!

 

"Svestiamo" ora per un momento la confezione e analizziamo la trama per quello che è: la storia di una brillante neodiplomata al primo impiego.
Andy si presenta in modo arrogante, forte dei propri successi accademici e ponendosi subito come alternativa rispetto ai propri colleghi. Lei è una giornalista seria, mica una fashion victim! L'ambiente di lavoro si rivela, oltre che competitivo, estremamente professionale, eppure Andy pare aspettarsi che le vengano riconosciuto un occhio di riguardo non per i meriti acquisiti "sul campo", ma semplicemente per essere in possesso di un supposto  livello culturale superiore rispetto agli altri dipendenti. Tuttavia, nonostante il brillante curriculum di studi Andy si rivela alla prova dei fatti incapace di capire il senso delle attività che si svolgono a Runway.
Fortunatamente per lei Miranda si rivela un capo sì duro ed esigente ma anche disposto ad aprirle gli occhi su molte cose: sul senso del mercato di Runway, in una memorabile lezione a metà fra la microeconomia e la filosofia della moda, sull'impegno più che massimo da profondere nello svolgimento dei propri compiti (anche quando apparentemente assurdi, come nel caso del manoscritto di Harry Potter), sul non fuggire di fronte alle proprie responsabilità, anche quando queste ci impongono scelte sgradevoli o che ci possono porre in cattiva luce di fronte ai colleghi. Basta un sussurro a Miranda per dare una nuova consapevolezza ad Andy "tu hai scelto". Sembra il diavolo, ma è Virgilio a parlare con un filo di voce.


D'altro canto  Miranda si dimostra un vero leader: estremamente competente e capace di prendere decisioni con grande lucidità, tiene sempre la bussola puntata sul bene del giornale e non su quello dei singoli (anche quando come Nigel avrebbero accumulato crediti di riconoscenza), sa premiare quando ne ricorrono le condizioni (ahilui Nigel dovrà aspettare, ma Andy viene presto promossa de facto a prima assistente). Miranda però non chiede a se stessa un grammo meno dello spasmodico impegno richiesto a tutti i suoi collaboratori, sacrificando anzi la propria vita  privata alla causa.
Certo, questo modo di intendere il lavoro non è per tutti, Andy decide di seguire una strada personale differente, ma solo dopo aver imparato che è sulla base dell'impegno e dei risultati che si costruiscono i successi. Non per grazia ricevuta, nè attraverso intrighi dietro le quinte, come tenta invece di fare Christian, restandone scottato.
A mio modo di vedere Miranda forse non è molto simpatica, ma è un capo come non se ne trovano quasi mai: esigente ma capace di delegare ed assolutamente focalizzata sui risultati, senza indulgere a simpatie personali.
Miranda ancora una volta aveva visto giusto: Andy ha stoffa, ma se ci sembra (e pare sentirsi a sua volta) una persona più matura e consapevole alla fine del film, il merito va tutto alla sua griffatissima persecutrice. Se questo è un diavolo, mi sento di augurare un po' d'inferno a tutti coloro che si accostano per la prima volta al mondo del lavoro!

Un cameo per la bellissima Gisele.

venerdì 18 maggio 2012

Dark Shadows - ritratto di famiglia con vampiro



Dopo il per molti versi deludente Alice in Wonderland ero molto nervoso all'idea di andare a vedere l'ultima fatica di Tim Burton, Dark Shadows. Il progetto in sè sembra rischioso: la pellicola è ispirata ad una serie TV (credo) mai sbarcata in Italia, il protagonista è un Johnny Depp per l'ennesima volta truccatissimo, la presenza di Helena Bonham Carter  fa tanto moglie del regista "raccomandata". Insomma ce n'è più che abbastanza per mandare tutto in vacca, e invece ancora una volta Burton si conferma un regista hors categorie. Nonostante l'abbia visto in una serata di grande sonno con alle spalle il week end più faticoso dell'anno, sono rimasto incollato alla poltrona senza perdermi un solo attimo del film.


Intendiamoci, non siamo ai livelli di follia pura di Mars attacks! nè alle vette di lirismo di Big fish e neppure alla visonarietà di La fabbrica del cioccolato: quello di Dark Shadows è un Burton forse meno eccessivo, però più maturo (del resto alla soglia dei 55, si suppone che lo sia, maturo). Nessuno come lui si è dimostrato capace di avanzare una critica così aspra del conformismo sociale, al ribaltamento dei valori. Nessuno nè prima nè dopo di lui è stato altrettanto in grado di farci vedere il lato profondamente umano di un vorace e spietato vampiro. Nessuno, ancora, denuncia in modo così evidente le meccaniche della strumentalizzazione dell'opinone pubblica.


Gli attori mi sono piaciuti tutti: Johny Depp nel ruolo di Barnabas Collins, il vampiro che ritorna a casa dopo essere rimasto sepolto "vivo" duecento anni non gigioneggia troppo. Eva Green (già Vesper Lynd in 007 Casino Royale) non solo è molto bella, ma con tutta evidenza è anche pericolosa. In qualche modo vi trovo comunque una somiglianza fisionomica con Lisa Marie, ex moglie di Burton, fossi la Bonham carter ci penserei su... Rivedere Michelle Pfeiffer in una pellicola di serie A è semplicemente un piacere, lo stile non è acqua (forse è sangue, direbbe Barnabas). Un plauso alla scelta di Bella Heatcote, angelica nel doppio ruolo Victoria/Josette. Il ruolo della dottoressa Hoffman per Helena Bonham Carter è normale amministrazione, e lascia aperto lo spiraglio ad un sequel. Il capo dei pescatori per chi non se ne fosse accorto è il grandissimo Christopher Lee.


Il film è ambientato negli anni 70, la colonna sonora viene di conseguenza ed è semplicemente strepitosa (come strepitoso è il cameo di un immarcescibile Alice Cooper nel ruolo di se stesso).
La scenografia è evidentemente di ispirazione gotica per la vila dei Collins, mentre l'ufficio di Angelique la strega è moderno e razionalista. L'aspetto di Barnabas è un omaggio al Nosferatu di Murnau, con occhi bistrati e mani grandi e rapaci spesso incrociate sul petto o sul collo.
La cifra del film, come sempre in Burton, è fortemente ironica, eppure le scene horror sono davvero paurose.
Soli non si va da nessuna parte: il vampiro Barnabas ha il bernoccolo degli affari, eppure considera la propria famiglia come la ricchezza più grande, quella che va difesa ad ogni costo. E anche se in definitiva si scopre che persino nelle migliori famiglie ognuno ha una maledizione con cui convive, il fatto che questa venga accettata rende la famiglia un nucleo invincibile ed impermeabile alla omologazione: siamo come siamo e ci va bene così, direbbero i Collins ad un ipotetico intervistatore.
Per la ricchezza esteriore c'è sempre tempo di ricominciare, la vera forza è sapere di avere qualcuno al proprio fianco nonostante tutto.
E poi c'è l'amore, quella sorta di maleficio che quando è desiderio di possesso può mutarci in mostri e quando è rinuncia alle proprie sicurezze rende immortali. E per qualcuno, forse, entrambe le cose al tempo stesso.


domenica 13 maggio 2012

Uno squalo al cinema - Un minuto per sempre

Dal momento che questo week end mi trovo nel nord est, vi propongo un video di uno dei miei gruoi preferiti, orginario di Pordenone. I Prozac+ sono stati uno dei gruppi di punk rock italiano di maggior successo, che si caratterizzava per i testi sul disagio giovanile, dadaisti ma al tempo stesso linguisticamente ricercati.
Nell'ambito della rubrica sulla Citroën DS oggi vi propongo il clip di una loro ballad, Un minuto per sempre, singolo estratto dall'album Miodio del 2002.
Nel video li vediamo suonare in un parcheggio dove si aggirano fantasmatiche DS impegnate in un affascinante carosello, un po' inquietante per la verità.
L'unico rammarico dal mio punto di vista è che il garage è un po' troppo buio per godere appieno della vista di tanta armonia di linee!


Un minuto per sempre, Maurizio Valente, 2002

mercoledì 9 maggio 2012

Il castello nel cielo



Da qualche anno è in corso una operazione di re-editing in lingua italiana dei film di Hayao Miyazaki, l'indiscusso maestro giapponese del film di animazione. Dopo il poetico Il mio amico Totoro ed il divertente Porco Rosso, è uscito da poco nelle sale questo Il castello nel cielo.


Il film, che risale ben al 1986 non ha la maturità artistica delle opere più conosciute, ma contiene già  tutti i temi e gli stilemi ricorrenti nel suo cinema: la passione per la macchine volanti, l'ambientazione in un indefinibile periodo di inizio 900, la critica al militarismo, l'amore per la natura, un pizzico di magia, l'importanza del mito, su tutto la freschezza e l'incanto della preadolescenza.


I due protagonisti Sheeta e Pazu hanno entrambi un legame con la città di Laputa, una misteriosa città volante che pochi hanno avuto la fortuna di vedere. Sheeta inoltre possiede un amuleto che ha il potere di modifcare la legge di gravità. L'oscuro legame che la lega Sheeta al castello volante è oggetto dell'interesse sia dell'esercito che di una buffa famiglia di Pirati, la mammina Dola e la caterva dei suoi figli.
Quando Sheeta viene rapita dai militari, Pazu decide di partire alla sua ricerca alleandosi con i pirati. Una volta trovata Laputa, con le ricchezze ed i tesori tecnologici che contiene, i nodi verranno tutti al pettine, tutti i misteri svelati.


Il film è proprio per tutti, ammirare i meravigliosi disegni di Miyazaki è davvero un piacere: le sequenze iniziali con i disegni realizzati con lo stile delle incisioni sono veramente sbalorditive. Le aeronavi  ricche di dettagli e gli aero-scooter dei pirati con le ali di libellula semplicemente geniali.
Ho ritrovato nell'aspetto dei personaggi delle fattezze che mi erano familiari (ma che cronologicamente in realtà appartengono a film successivi): ad esempio Dola la piratessa assomiglia al personaggio di Sophie "vecchia" ne Il castello errante di Howl, uno dei pirati è identico all'avventuriero Donald Curtis di Porco Rosso, il robot, dall'animo tenero ma che si rivela una potentissima arma da guerra, secondo me ha ispirato molto del robot Il gigante di ferro (anche se quello è americano).


Come sempre in Miyazaki sono i ragazzi, coloro che non hanno ancora perduto l'innocenza, a mostrare la giusta via agli adulti. Il castello nel cielo è un film di avventura e di sentimenti, con il fortissimo legame che si instaura subito fra Sheeta e Pazu e l'evoluzione del rapporto con la famiglia dei pirati. Gli adulti corrono dietro alle ricchezze o al potere, che sono per natura sfuggenti, non-sostanziali.
Alla fine il sogno rappresentato dalla città volante si rivela effimero, anche se rimane un indistruttibile simbolo. Alzando o sguardo solo i più fortunati possono vedere passare un meraviglioso palazzo con un giardino giardino dove attraverso la tecnologia rappresentata da un robot solitario si prende cura di animali e piante; non è un miraggio, ma  un sogno che si può tentare di ricreare ogni giorno mettendo le radici su un terreno che diviene via via più solido.
Come dice Sheeta "non si può vivere staccati dalla terra" però, pare ammonirci Miyazaki, si può sempre portare sulla terra un pezzetto di cielo.


domenica 6 maggio 2012

Uno squalo al cinema - Sliding Doors



Questa domenica per la rubrica sulla Citroën DS, uno dei modelli di auto che ha fatto in assoluto più apparizioni sul grande schermo, vi segnalo Sliding Doors.
Chi non si è mai fatto la domanda "cose sarebbe stato se quel giorno avessi..."?
Il film partendo da un evento totalmente casuale mostra due ipotetiche vite dello stesso personaggio: Helen; ed è una delle migliori interpretazioni in assoluto di Gwyneth Paltrow.
Lo spunto per il soggetto, a quanto dichiarato dal regista e sceneggiatore Peter Howitt viene nientemeno che da un film di Kieslowski, Destino cieco.

Nella scena che vi propongo di seguito il carattere fascinoso di James (Johin Hannah), il fidanzato "giusto", viene sottolineato dal fatto che utilizza una DS per riportare a casa Helen dopo il primo appuntamento.
Ottima scelta James!



Sliding Doors, Peter Howitt, 1998

giovedì 3 maggio 2012

The Avengers - Tutti insieme con sentimento


Evento preceduto da un potente battage pubblicitario The Avengers di Joss Whedon (regista e sceneggiatore di provenienza TV - suo Buffy l'ammazzavampiri) ha la responsabilità non lieve di dover tener testa alle aspettative che ha generato. La Marvel, mitica editrice di fumetti USA, replica sul grande schermo la stessa strategia attuata sulla carta stampata: ogni supereroe ha il suo film, ma in ognuno è presente una scena, magari secondaria, che rimanda ad altri supereroi, o contiene eventi collegati con altri film della stessa serie. Così, ad esempio, Vedova Nera era già comparsa in Iron Man2; Occhio di Falco e altri personaggi erano già presenti in Thor di Kenneth Branagh, Tony Starkcompariva in L'incredibile Hulk con Edward Norton (qui sostituito nel ruolo da Mark Ruffalo); Nick Fury è comparso in quasi tutte le pellicole dedicate ai singoli, preconizzando la reunion di tutti quanti in questo The Avengers.


Il progetto è molto ambizioso e The Avengers è la pietra miliare della prima fase: seguiranno altra pellicole dedicate ai singoli supereroi (già in programma Iron Man 3) per trovare l'apoteosi finale in un per ora ipotetico The Avengers 2. Seguiremo gli sviluppi, l'idea è piuttosto complessa, soprattutto in un mondo mutevole come quello del cinema.
Tornando al film in questione, è ovvio che si diano per scontate  molte cose, dalla caratterizzazione psicologica dei personaggi, alle relazioni personali già intessute nei "capitoli" precedenti. Tuttavia la pellicola non richiede per forza una conoscenza approfondita della cosmogonia immaginata dalla Marvel e dalle trasposizioni cinematografiche dei fumetti; le frequenti scene d'azione ed i dialoghi sempre brillanti vi faranno passare sopra a qualche battuta che qua e là si riferisce alle "puntate precedenti".


La storia fa cronologicamente seguito a quella di Thor con Chris Hemsworth: Loki (Tom Hiddleston) , il fratellastro di Thor alla ricerca di un regno da sottomettere ruba il Tesseract, un cubo cosmico in grado di aprire un canale di trasporto fra universi differenti, con l'obiettivo di far invadere il pianeta dai Chitauri, una violenta e bruttissima razza aliena. Nick Fury (Samuel L. Jackson, sempre a proprio agio nei ruoli da leader) mette insieme una squadra di supereroi, gli unici che possano contrastare i piani dell'astuto figliastro di Odino. Purtroppo i supereroi oltre che superpotenti sono anche incredibilmente egocentrici: la squadra faticherà un po' a carburare, ma al momento giusto - quello della battaglia - gli eroi si compatteranno sotto la guida di Capitan America (Chris Evans, molto gonfio di muscoli rispetto all'inizio carriera) per il bene della Terra e le suoneranno, come prevedibile, di santa ragione agli oscuri invasori.


Il tempo dedicato a ciascun personaggio è calcolato al secondo, per evitare "favoritismi", tuttavia i perosnaggi più tormentati spiccano più di quelli con meno psiche e più muscoli. Tom Hiddlestone si conferma un Loki molto più interessante di Thor, anche se un pizzico di acutezza in più non avrebbe guastato, Scarlett Johansson approfitta di essere l'unica donna del gruppo, ma la sua Vedova Nera è comunque convincente; Robert Downey Jr. sembra felice di incaricarsi di mantenere attraverso il suo Tony Stark il tasso di ironia al livello giusto. Jeremy Renner a mio parere si conferma la vera rivelazione degli ultimi anni: da The Hurt Locker non sta sbagliando un colpo, lo aspetto con trepidazione nel prossimo The Bourne Legacy dove sarà protagonista. Mark Ruffalo - ne do atto - è molto più in parte di Edward Norton nei panni del mite Bruce Banner/Hulk. La sconoscuta Cobie Smulders, che interpreta Maria Hill, la vice di Nick Fury, è molto bella.


Riepilogando: alcuni personaggi con scarsa personalità, una sceneggiatura deboluccia, si nota la mancanza di un regista di spessore come il Bryan Singer dei primi due X-Men o il Christopher Nolan di Batman Begins (e sequels... in arrivo a breve il terzo capitolo).
Sull'altro piatto della bilancia The Avengers mette: esaltanti scene d'azione, dialoghi scoppiettanti - alcune battute davvero memorabili - e una battaglia aerea davvero epica con una New York quasi ridotta in briciole un po' dai cattivi e un po' da un Hulk davvero scatenato.
Ce n'è abbastanza per caricare su un furgone tutta la famiglia e passare quasi due ore e mezza di divertimento puro sia per grandi che per piccini (ecco magari non troppo piccini): buoni sentimenti e avventura con il meglio della imperitura produzione Marvel.


Un ultimo commento per il 3D. Come dice un amico scienziato: "in realtà si tratta semplicemente di piani in 2D sovrapposti"; l'effetto tridimensionale è piuttosto contenuto, non direi che l'impegno della produzione si sia concentrato su questo. Il sospetto sorge spontaneo: scrivere "3D" sulla locandina fa vendere (o forse così pensano i marketing men delle majors). Rispetto al solito non mi ha dato fastidio agli occhi, ma dopo aver visto cosa sono capaci di fare registi (pure attempati) come Scorsese ed Herzog non sono più disposto ad accettare effetti di seconda classe. Le possibilità tecniche ci sono, regaliamole ad autori che le sappino sfruttare dal punto di vista artistico e non solo economico!