mercoledì 28 dicembre 2011

Sherlock Holmes - gioco di ombre



La notizia del momento è che i classici "cinepanettoni" quest'anno sono stati battuti dal secondo capitolo dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie, l'atteso Sherlock Holmes - Gioco di ombre. A parte che i conti sarebbe meglio farli a bocce ferme, i lusinghieri incassi del primo week end di programmazione non dovrebbero stupire, Gioco di Ombre è un film che lega azione, avventura, attori belli, o almeno affascinanti, e quel pizzico di scorrettezza politica che rende più digeribile una ambientazione vittoriana altrimenti ingessata.
Lo Holmes di Ritchie trae ispirazione in parti uguali dal fumetto di Lionel Wigram, oltre che dai celeberrimi libri di Conan Doyle; Sherlock dunque eccelle nelle doti fisiche quanto in quelle intellettuali, non disdegna le scazzottate in pubblico, esegue spericolati esperimenti pseudoscientifici direttamente in casa propria, non si rade che ogni tre o quattro giorni e sfoggia un look piuttosto trasandato. Insomma è uno Sherlock "tamarro", ma accessibile al grande pubblico.



Il secondo capitolo si inserisce perfettamente nel sentiero tracciato dal primo, ma senza colpi d'ala che ne rinnovino l'appeal. Holmes ed il fido Watson sono impegnati a sventare la sottile macchinazione del perfido prof Moriarty, che tenta di impossessarsi del monopolio di importanti manifatture, in primis quelle di armi e contemporaneamente cerca di far scoppiare una guerra mondiale ricorrendo ad  attentati dinamitardi, che fa apparire opera di anarchici manovrati da potenze rivali.
Sherlock si imbarca (letteralmente) in una avventura ai quattro angoli d'Europa. Il gioco, benchè in punta di fioretto, con Moriarty, che gode fra l'altro di importanti appoggi politici, si rivelerà piuttosto pericoloso portando più volte i due protagonisti ad un passo dalla morte.
L'importante ruolo ricoperto dal fascino femminile, che nel primo episodio era appannaggio di Rachel McAdams (qui solo una fugace apparizione), viene affidato alla bella gitana Madame Simza interpretata da Noomi Rapace. Quanto al dottor Watson, nonostante riesca finalmente a sposare l'amata Mary, viene letteralmente strappato via dalla luna di miele per assistere Holmes nella più impegnativa missione di sempre.



L'interpretazione è forse la cosa migliore del film, Robert Downey Jr. nel ruolo di Sherlock Holmes si conferma saccente il giusto e piuttosto divertito dalla porre in continuazione una personale sfida alle convenzioni sociali.
Jude Law (la sua apparizione nella pellicola strappa ancora strilletti e sospiri di ammirazione da parte del pubblico femminile,anche il meno giovane) è un dr. Watson che maschera il gusto per l'avventura dietro all'aspirazione ad una tranquilla vita domestica in compagnia dell'esasperata Mary.
In questo capitolo vengono introdotti due interessanti personaggi: Mycroft Holmes , interpretato dal bravo Stephen Fry (Gli amici di Peter di Branagh, Wilde,V per vendetta, Operazione valchiria; atteso nel prossimo ed attesissimo Lo Hobbit), il fratello più furbo di Sherlock, visto che passa la vita correndo meno rischi e vantando maggiori soddisfazioni. Mycroft è essenziale per lo svolgimento della trama, dal momento che il cancelliere dello scacchiere lo utilizza le fini doti intellettuali nella diplomazia internazionale della gran Bretagna. L'altro personaggio che viene finalmente introdotto è il prof. Moriarty , l'alter ego cattivo di Sherlock, una mente raffinatissima al servizio del crimine. Rispetto a Lord Blackwood, "vilain" del primo capitolo, Moriarty (Jared Harris, figlio  del Richard "Uomo chiamato cavallo",una bella carriera a sua volta) è decisamente più sottile e perversamente raffinato. Per lui la sfida di intelligenze con Holmes sembra quasi essere un divertissement i cui danni collaterali possono essere tranquillamente trascurati, quasi si trattasse di semplici pedine sulla scacchiera.
La Madame Simza di Noomi Rapace (la Lisbeth Salander della trilogia di Stieg Larsson) non lascia il segno,non abbastanza spettacolare nelle scene d'azione, non abbastanza intelligente per il confronto con Holmes e, questo sì davvero imperdonabile, non abbastanza affascinante per farsi ricordare.



Le oltre due ore di film non pesano, il salto da una ambientazione al'altra (quasi un salto da un livello al'altro di un videogame,con scenografie che c'entrano poco una con l'altra) permette allo spettatore di avere l'attenzione sempre desta, il ritmo è incalzante. Tuttavia, da estimatore dello stile di Ritchie, mi aspettavo qualcosa di più. Nessuna nuova trovata, la precognizione di Holmes viene utilizzata troppo e spesso a sproposito. Moriarty, da quella sottile mente criminale che è, non trova di meglio per far fuori una coppietta in viaggio di nozze che imbottire un treno di un intero battaglione di finti soldati armati di mitragliatrici pesanti e casse di bombe a mano (occasione nella quale  abbiamo però la possibilità di amirrare una performance "en travesti" di Robert Downey, con un make up che nel disfarsi lo rende simile ad un ghignante Joker di Batman). In compenso varrebbe da sola la pena di una visita in sala la sorprendente e divertentissima scena con Sherlock Holmes mimetizzato da... poltrona!

In definitiva un buon prodotto natalizio, ma non un film che possa far innamorare. Già annunciato un terzo capitolo della serie, che speriamo focalizzato su Londra, habitat naturale dei personaggi, e con un rispetto maggiore della coerenza dei personaggi. Stile e capacità di regista e interpreti giustificano aspettative di alto livello, la preferenza accordata dallo spettatore in questi tempi grami merita l'impegno di tutto il cast.

venerdì 23 dicembre 2011

The Artist per Torino Style


Il Natale, si sa, va trascorso in famiglia. La recensione di The Artist è il piccolo regalo che The Talking Mule fa al suo blog "madre", Torino Style.

La recensione la trovate qui, in questo post solo alcune immagini di questo film straordinario, che per ragioni di spazio non ho potuto inserire nel post principale.

Buon Natale alle lettrici ed ai lettori di The Talking Mule, ed a quelle/i di Torino Style!

Bless and love to you all!

C'est Noel, l'amour triomphe!



Fate in modo che i parenti che vedete una sola volta all'anno vi possano riconoscere...

...regalatevi qualche coccola ...


...e se andate al cinema, godetevi lo spettacolo in silenzio (come chiede il cartello alle spalle di Jean)

mercoledì 14 dicembre 2011

The artist - Enjoy the silence

Più o meno un anno fa, dalle pagine di questo blog ci lamentavamo della mancanza di titoli che riprendessero  lo stile delle pellicole di un tempo. Fortunatamente, ci sbagliavamo!


The Artist fva addirittura oltre, ripartendo più o meno dal principio, cioè dal cinema muto. Gli spettatori meno cinefili non si lascino ingannare, questo film si può riassumere in una sola parola: bello!

L'operazione pare una via di mezzo fra la scommessa (vinta) fra amici e una produzione hollywoodiana dei tempi d'oro.
La pellicola del quarantenne regista francese Michel Hazanavicius, quasi si trattasse di un falso d'autore, riprende il linguaggio e le tecniche dei grandi classici del muto, togliendo da questo genere la polvere di svariati decenni. Ma interrompiamo le lodi e parliamo del film.



La trama segue le carriere parallele e divergenti di due personaggi, George Valentin, stella del cinema muto, e Peppy Miller, ragazza che con l'approssimarsi del sonoro passa da comparsa a stella di prima grandezza. Alla caduta del primo si contrappone l'ascesa della seconda. Tuttavia anche se l'intesa fra i due è evidente fin dal primo, fortuito, incontro nel corso del film l'amore vero e proprio fatica a sbocciare. Solo l'intuizione finale ci rivelerà che muto e sonoro non sono antitetici, ma parti integranti di una stessa meraviglia: il cinema!


Il bello del film muto rispetto al sonoro è nella universalità del linguaggio, la recitazione, che consente allo spettatore di concentrarsi sull'immagine anzichè sui dialoghi. L'ora e mezza abbondante del film passa senza fatica; l'evoluzione della trama e le trovate di sceneggiatura si susseguono a ritmo veloce e non fanno rimpiangere l'assenza dei dialoghi (a proposito, ma non sarà meglio un film muto di uno con battute banali o inconsistenti? Noi condividiamo l'opinione dei Depeche Mode in merito alla questione)

Gli attori principali sono Jean Dujardin, interprete della versione francese della sitcom Love Bugs, che alla prima interpretazione di respiro internazionale si è portato a casa (per ora, ma le nomination son) la palma d'oro di Cannes come miglior interprete; di scarsa esperienza internazionale è anche Bérénice Bejo, brava e bellissima moglie di Hazanavicius.


I comprimari sono selezionati fra i migliori professionisti di Hollywood, e sembrano apprezzare molto la possibilità di fare qualcosa di diverso dal solito. John Goodman (un mito qui all'altezza del suo curriculum, di cui ricordiamo Arizona Junior, Big Easy - Brivido seducente, Seduzione pericolosa, I Flintostones, Il grande Lebowski) è il tipico grasso produttore Hollywoodiano inseparabile dal suo sigaro, cinico ma non troppo. Penelope-Ann Miller (Il boss e la matricola, Carlito's way, Relic) è la moglie trascurata di George. I fidati autisti di George e Peppy sono due "facce da duro", rispettivamente James Cromwell (Invito a cena con delitto, i due film di Babe mailino coraggioso, il cattivo capitano di L.A.Confidential, La figlia del generale, Il miglio verde, W di Oliver Stone) ed Ed Lauter (Quella sporca ultima meta, King Kong - quello del 76 - Cujo, il sottovalutato Rocketeer, Codice Magnum).

James Cromwell, chauffeur fedele anche nella sventura
Alcune scene che ci hanno colpito in modo speciale: la prima colazione a casa di George dove lui ed il suo cagnolino si fanno il verso a vicenda (un Jack Russell simpatico e bravissimo, da Oscar al miglior attore non protagonista), quella in cui una Peppy di belle speranze si ritrova nel camerino di George e si immagina abbracciata da lui infilando un braccio nella manica del suo frac. Infine - a nostro avviso da storia del cinema - la scena dell'incubo di George, con la "terrificante" irruzione del sonoro in un mondo altrimenti muto, dove perisno la caduta di una piuma genera un boato insopportabile, di grande efficacia scenica.


Nel corso del film vengono utilizzati alcuni espedienti visuali per sottolineare i diversi momenti e stati d'animo; ad esempio l'uso del contrasto, molto netto nelle sequenze iniziali che descrivono il momento dell'apice del successo di George, per farsi più grigio, quasi polveroso, nelle scene dedicate alla caduta e crisi. Le immagini tornano ad essere brillanti nella catarsi finale.

Bérénice Bejo è vestita benissimo sexy ed elegante, da Mark Bridges (costumista in vari blockbuster: Boogie Nights, Magnolia, Blow, The Italian Job, Be Cool, più di recente il bel The Fighter). Il cappottino con la pellicia lunga nera è un capo come (purtroppo!) non se ne fanno più, i cappelli a cloche sono deliziosi e gli inserti in pelliccia sono splendidi (a onor del vero su questo blog preferiamo che le pellicce restino attaccate ai legittimi proprietari).


Il nocciolo della questione a nostro avviso non sta tanto nel dilemma "muto o sonoro", non si può sostenere (e credo nessuno lo faccia) che sarebbe meglio tornare indietro alle tecniche di settanta(!) anni fa. Il cinema, da sempre, è alffiere dell'innovazione. Ma altrettanto sciocco - e non parliamo solo di film - sarebbe lasciare per strada una certa idea di come vanno fatte le cose, con passione e sapienza.
The Artist è un film divertente, che pur senza parlare ci sa raccontare di ascesa, caduta, amore, dedizione, riscatto. Il tutto sempre con un sorriso sulle labbra e un tocco di ironia.
Al bando dunque le idee preconcette e diamo il giusto riconoscimento un progetto coraggioso e ben realizzato!

lunedì 12 dicembre 2011

Midnight in Paris


E' proprio una Parigi da cartolina quella che scorre sotto lo sguardo nelle prime sequenze di Midnight in Paris. Immagini di una città ad uso e consumo dei turisti, ognuno in cerca - forse - di un'idea di cultura, di fascino, di un sogno di eleganza che magari vive ancora solo nell'occhio di chi lo vuole ancora vedere.
Di certo è cosi per Gil, sceneggiatore di Hollywood ed aspirante romanziere. Per lui Parigi è un vero e proprio luogo dell'anima, nel quale sente di respirare la stessa aria dei suoi miti: Hemingway, Fitzgerald, T.S. Eliot.


Gil (un Owen Wilson svampito e stralunato) e la fidanzata Inez (Rachel McAdams, qui in versione "succedaneo di Scarlett Johannson"), si trovano a Parigi, ma pare che stiano visitando due luoghi diversi. Inez, infatti, è a Parigi per fare la turista, magari lasciandosi guidare dall'amico Paul (Michael Sheen, con l'aria di divertirsi un mondo a fare l'antipatico), un pedante intellettualoide; Gil invece ama fare lunghe passeggiate, magari sotto la pioggia, tentando di trovare l'ispirazione che gli manca per finire il suo romanzo, il suo “salto alla letteratura”. In modo magico la città gli regala una chance. Allo scoccare della mezzanotte, in una precisa viuzza, tutte le sere passa un'auto d'epoca che costituisce una porta per tornare agli anni 20, il tempo che Gil avrebbe sempre voluto vivere:  la Parigi della “festa mobile”, tra una bevuta in compagnia di Hemingway e una chiacchierata con Dalì o Picasso.


Nel mondo fantastico che vive di notte, Gil riesce a far leggere una copia del manoscritto del suo romanzo a Gertrude Stein, da cui otterrà (ovviamente!) preziosi consigli. Ma nella realtà parallela non c'è solo il libro: nel corso delle sue scorribande notturne il protagonista incontra Adriana (Marion Cotillard, per correttezza ammetto di essere suo fan sfegatato sin dal lontano 1998), giovane amante di Picasso oltre che di Modigliani e Braque.
Diviso tra due realtà, quella magica della notte e quella frustrante del giorno, Gil si innamora immancabilmente della seducente parigina, il cui sogno è invece quello di vivere la Belle Epoque, i tempi di Toulouse-Lautrec, Gauguin, Degas (i quali a loro volta dichiarano che l'età migliore è stata sicuramente quella del rinascimento). Non c'è scampo: nessuna età è quella "giusta" ed il rischio è quello di passare senza soluzione di continuità da un tempo all'altro, senza sentirsi mai realmente al proprio posto! O forse si può decidere di mettere mano alla propria vita e buttare il cuore oltre l'ostacolo. Parigi  di certo non rifiuterà una piccola, ultima coincidenza...

Una volta tanto non si può trascurare la scenografia, curata da Anne Seibel (già direttore artistico per Il diavolo veste Prada e Hereafter), che passa con nonchalance dall'allestimento di un bistrot nel quale incontriamo Dalì che beve un bicchiere in compagnia di Buñuel e Man Ray, alla ricostruzione della casa-studio di Gertrude Stein (Kathy Bates), alla splendida festa a casa Fitzgerald, per finire con il Moulin Rouge di Toulous-Lautrec. Un film come questo è un'occasione d 'oro per ogni scenografo, e la Seibel non perde l'opportunità giocando con le ricostruzioni d'epoca precise, ma senza perdersi in maniacalismi che non sarebbero in linea con il tono della pellicola.


Interessanti anche i costumi opera di Sonia Grande (The Others, Il Mare Dentro, Vicky Cristina Barcelona, Gli abbracci spezzati), piuttosto curati: i coniugi Fitzgerald sono elegantissimi, Hemingway sembra appena tornato da un safari, il torero Juan Belmonte è un vero dandy. Marion cotillard con il vestitino giallo oro vale da sola il prezzo del biglietto (attenzione anche all'acconciatura "d'epoca", deliziosa).


Il cast di attori è straordinario. Oltre ai già citati troviamo Adrien Brody, un Dalì elegante e divertente, Alison Pill-Zelda Fitzgerald (avvistata già in Milk di Gus Van Sant), non manca nemmeno un ruolo, piccolo ma cruciale, per Carla Bruni nelle vesti di una gentile guida turistica. Un passaggio anche per Lèa Seydoux (vista in Robin Hood, la si attende in un ruolo vilain nel prossimo Mission Impossible: Protocollo fantasma)

Allen pare aver raggiuto un'età ed un'autorevolezza per cui può fare sempre il film che vuole, ed aver deciso di divertirsi un po'. Il film mette un sacco di carne al fuoco, regala corpo e parola a un buon numero dei più grandi artisti e scrittori del secolo scorso, ma lo sviluppo non sceglie con decisione nè la strada della riflessione filosofica, nè quella della battuta fulminante (strada che Allen sembra aver abbandonato dai tempi de La maledizione dello scorpione di giada). Alla fine la pellicola è divertente, anche grazie all'interpetazione ironica di alcuni attori (a mio parere in questo campo Adrien Brody e Michael Sheen spiccano sul resto della troupe) ma dubito che molti spettatori la ricorderanno a lungo,come sicuramente accade per altri titoli di Allen.

Il Gil di Owen Wilson (attore forse troppo bello e prestante per questa parte) pare muoversi fra esaltazione e spaesamento in un continuo salto temporale che riflette la sua stessa lacerazione fra la scelta pragmatica di scrivere dozzinali sceneggiature e l'aspirazione alla vera Arte. Ma non esistono età dell'oro, o meglio ciascuna lo è. Chissà se qualcuno dei miti di Gil, avendone la possibilità, non avrebbe preferito vivere negli anni dieci del duemila. Secondo Allen, e la tesi mi sembra condivisibile, abbandonarsi a un inconcludente “come sarebbe stato bello” porta immancabilemnte a chiudersi delle opportunità  nella vita presente. Questa è la nostra belle epoque, sta noi farla tale e farla ricordare nel futuro come un momento di grande fermento artistico ed ideale, ne abbiamo tutti i mezzi (o almeno Allen sembra esserne convinto).
Ai posteri l'ardua sentenza!


mercoledì 30 novembre 2011

Tower heist - le acciughe fanno il pallone

Quattro uomini in auto, per tacer del cane...
Ebbene sì, lo ammetto: mi sono sempre piaciuti i film con il gruppo di simpatici ladri o truffatori che - a modo loro - fanno giustizia seguendo un codice morale tutto loro. Non mi sono quindi lasciato sfuggire questo Tower heist - Colpo ad alto livello.
La vicenda, ambientata a New York, gira intorno a The Tower, un esclusivo residence per super ricchi caratterizzato per essere dotato di personale di servizio di prim'ordine. Arthur Shaw, ricchissimo magnate di Wall Street, è il più importante inquilino del palazzo ma è anche un bancarottiere con ottime entrature politiche. Oltre al denaro raccolto in borsa, anche i dipendenti di The Tower gli hanno affidato i propri risparmi, che vedono improvvisamente volatilizzati quando Shaw viene arestato dall' FBI.
Josh Kovacs, il manager di The Tower, sentendosi responsabile per i colleghi e preso in giro da Shaw, organizza un team di improvvisati ladri per ritrovare ridistribuire il maltolto ai legittimi proprietari. Il tutto tentando di non farsi arrestare a sua volta da una bella, disincantata e inflessibile agente federale.  

"Incerti del mestiere", sembra dirsi Arthur Shaw - Alan Alda
A proposito di Warrior scrivevo di un film figlio della crisi; anche questo a suo modo lo è, ma sceglie la via della commedia anzichè quella del dramma, senza per questo "mordere" di meno. L'Arthur Shaw di Alan Alda (sempre un fuoriclasse quando recita a New York!) è un vero squalo della finanza, fa parte di quella genìa di finanzieri che cade sempre in piedi lasciando dietro di se una scia di lacrime e, a volte, sangue. Non si fa scrupoli di fronte a nulla, figuriamoci di fronte ai sudati risparmi dei suoi stessi domestici! Josh Kovacs (Ben Stiller, inosolitamente e apprezzabimente moderato nella mimica facciale) rappresenta invece l'altra faccia della medaglia: indefesso lavoratore, professionale fino al parossismo, lo vediamo a casa, solo, stirarsi i pantaloni perchè siano impeccabili per il giorno successivo. A Josh Kovacs non va giù che quelli come Shaw la facciano franca una volta di più, non a spese dei suoi colleghi. Recluta quindi un gruppetto di "disperati", il cognato ossessionato dall'approssimarsi della paternità, un giovane lift che si spaccia per esperto di elettronica, un inqulino di The Tower sfrattato a causa della crisi, Mr. Fitzhugh, un ladruncolo di quartiere, Slide, che deve essere la "mente criminale" del piano e infine Odessa, una mastodontica cameriera esperta di casseforti.
Casey Affleck e Michael Peña meditano vendetta mangiando hamburgers
Nonostante la tematica possa farsi insidiosa, il regista Brett Ratner (qualcosina di più di un onesto professionista: X-Men conflitto Finale, Rush Hour 2 e 3, The Family Man, Red Dragon, moltissimi videoclip per Mariah Carey e Jessica Simpson, oltre a quello - bello - di Beautiful Stranger di Madonna) è molto attento a non uscire dal registro della commedia.
Fra le sequenze memorabili: la scena iniziale con la banconota da 100$ che si scopre essere il fondale della piscina sul tetto del grattacielo nella quale nuota Alan Alda, comprensibilmente soddisfatto di sè. Per la meravigliosa assurdità della situazione, quella del trasporto della Ferrari in ascensore.
L'impareggiabile Odessa e un imbolsito Mr. Fitzhugh
Il film è corale perciò una menzione non si nega a nessuno!
Ben Stiller (Ti presento i miei e sequels, l'esilarante Zoolander, Starsky e Hutch, Una notte al museo, Greenberg, I'm still here di Casey Affleck): un Josh Kovacs leader iperprofessionale ed umano, un uomo che sa accettare di pagare per i suoi sbagli. Da Greenberg in poi forse Stiller sta finalmente diventando adulto, è bello vedere i giovani crescere!
Matthew Broderick (Il mitico War Games, Lady Hawke, Frenesie militari - che è bello anche se il titolo italiano fa schifo - Il boss e la matricola, Inspector Gadget): un bel rientro, anche se un po' di giri di corsa del Central Park non gli farebbero male. Chissà perchè lo doppiano sempre con una voce un po' da scemo. Comunque bentornato!
Casey Affleck (Da morire di Gus Van Sant, American Pie, la trilogia di Ocean's eleven) : in teoria è il fratello sfigato di ben Affleck. In pratica ho il dubbio che dei due sia quello che fa solo quello che gli piace davvero.
Tea Leoni (Ragazze vincenti, Bad Boys, Deep Impact): la coriacea agente dell'FBI. Abbatte Josh con un laccio californiano, poi si ubriaca con lui e infine lo sbatte in prigione. Però lo ama, si vede benissimo! Cosa si può chiedere di più ad una bella donna?
Alan Alda (una carriera con Woody Allen, Mad City con Costa-Gavras, The Aviator con Scorsese): si vede che a fare il cattivo presuntuoso si diverte. E noi con lui.
Eddie Murphy (48 ore, Una poltrona per due, Beverly Hills Cop, Il principe cerca moglie, Il professore matto): solita parlantina sciolta e solito trasformista che sa rendere il personaggio a suo agio e credibile sia con la cuffia gangsta sulla zucca sia in impeccabile completo grigio. In rientro dopo un periodo un po' appannato. Non so a voi, a me Eddie mancava.
Michael Peña (Million dollar Baby, Babel, Crash di Haggis, Leoni per agnelli): un po' saccente, un po' stupido, un po' genialmente naif. Il prototipo del middle man. Perfetto per questa parte.
Gabourey Sidibe (Precious): last ma assolutamente not least, grande interpretazione e personaggio divertente (Odessa Montero). Quando si lancia col suo carrello contro l'agente di guardia è semplicemente irresistibile. In assoluto quella che ci ha fatto ridere di più! 
Una menzione anche per il direttore della fotografia: Dante Spinotti (Nemico Pubblico, X-Men Conflitto finale, Pinocchio di Benigni, L.A. Confidential, Heat, Hudson Hawk, Manhunter ed il suo remake Red Dragon), uno che ci rende onore nel mondo.

A parte il cattivo, i personaggi sono tutti una apologia dell'uomo normale: infatti sono mediamente sbruffoni, incompetenti, egoisti; però al tempo stesso sono bravi lavoratori ed hanno cuore e buone intenzioni. Insomma, pare dirci Ratner, per salvarci occorre fare squadra, non c'è bisogno di essere dei fuoriclasse, ma di lavorare tutti insieme per riguadagnare il tesoro che qualche furbetto ha cercato di nascondere là, proprio sotto ai nostri occhi. Molti pesci piccoli possono battere anche lo squalo più grande e cattivo!

Ben Stiller ed Eddie Murphy in forma smagliante

mercoledì 23 novembre 2011

Ninotchka - una risata ci seppellirà!

Con questo post inizia la rubrica "This gun for hire", dedicata alle recensioni richieste dai lettori. In questo caso la recensione è stata commissionata da Maurizia, anima e motore del blog Torino Style.

Non si potrebbe pensare ad un titolo migliore per un inizio in grande stile. Ninotchka è forse il titolo più famoso del grande regista Ernst Lubitsch, eppure anche uno degli ultimi della sua lunga carriera.

Il film è ambientato a Parigi nel periodo immediatamente antecedente la Seconda Guerra Mondiale. L'Unione Sovietica, in grave crisi di liquidità (i corsi e ricorsi della Storia...), invia emissari nelle principali capitali dell'occidente per vendere alcuni beni confiscati alla nobiltà. A Parigi vengono inviati gli agenti Iranoff, Bulianoff e Kopalsky, con l'obiettivo di vendere i gioielli appartenuti alla granduchessa Swana. Caso vuole che questa sia riparata proprio a Parigi e incarichi il proprio amante, lo spiantato conte Leon d'Algout, di impedire  la vendita dei gioielli intentando una causa legale contro i tre sprovveduti. Leon fa molto di più, converte i tre rozzi agenti ai piaceri della vita occidentale, al punto che dalla Russia inviano a Parigi un commissario per accertarsi della condotta dei tre e portare a termine la transazione relativa ai gioielli. L'emissario è una giovane, Nina Yakushova completamente dedita alla causa sovietica.

Ninotchka e Leon cercano sulla mappa...la Tour Eiffel

Ninotchka incontra per caso il conte Leon ed i due, complice l'atmosfera parigina, si innamorano. Leon mostra alla giovane razionalista sovietica il lato sentimantale e piacevole della vita, conquistandone l'amore e la fiducia. Con un sotterfugio la granduchessa Swana, ormai apertamente in competizione per l'amore di Leon, rientra in possesso dei gioielli e fa sì che la pattuglia russa sia costretta a rientrare in patria: Leon e Ninotchka devono dunque separarsi. Rientrati in Russia i quattro agenti faticano a riadattarsi alle pratiche collettiviste e vivono nel ricordo dei fasti parigini. Fortunatamente dopo qualche tempo il commissario Razinin (Un Bela Lugosi inatteso in una commedia brillante) invia Ninotchka a Costantinopoli, dove pare che Bulianoff, Iranoff e Kopalsky stiano scialaquando i fondi assegnatigli invece di dedicarsi alla vendita di una partita di pellicce. All'arrivo nella città del Bosforo, Ninotchka scopre che i tre agenti hanno aperto un ristorante etnico e non hanno nessuna intenzione di rientrare a Mosca, ma questa non sarà l'unica sopresa: Leon ha  infatti architettato tutto in modo da far uscire Ninotchka dalla Russia e poterle finalmente dichiarare tutto il suo amore.

Iranoff, Gulianoff e Kopalsky eleganti nelle loro marsine "occidentali"

Ernst Lubitsch dirige una commedia in bilico fra il rosa e il gioco di equivoci con la leggerezza che lo contraddistingue. Sarebbe tuttavia un errore scambiare la leggerezza per mancanza di profondità. La pellicola all'epoca suscitò vibrate proteste da parte dell'Unione Sovietica per via della raffigurazione denigratoria della Russia e dei Russi; forti del senno del poi possiamo dire che Lubitsch aveva colto la sostanza, esprimendola con la forma a lui più congeniale, la commedia.
Lubitsch possiede (fra gli altri) un dono andato ormai quasi del tutto perduto ai giorni nostri: il lasciar capire senza mostrare direttamente. Così ad esempio il cambio di mentalità dei russi è spiegato dal cambiare dei loro cappelli, da informi coppole di lana ad eleganti e lucide tube e la vita di bagordi condotta dai tre è mostrata quasi sempre dall'andirivieni dei camerieri sull'inquadratura fissa della porta della stanza d'hotel (notate peraltro quanto sono corte, e non solo relativamente all'epoca, le gonne delle ragazze che vendono le sigarette).


Ridicola? Se questo vestito camminasse da solo per i Boulevard, io lo inseguirei e una volta raggiunto lo fermerei per dirgli: aspetta delizioso vestito, voglio presentarti a Ninotchka, siete fatti l'uno per l'altra.

La scenografia è Edwin Willis, che ha al suo attivo ben 609 titoli fra cui tengo a citare Alta società, Amami o lasciami, Sette spose per sette fratelli, Lassù qualcuno mi ama, Zigfield Follies, Scandalo a Filadelfia. L'arredamento della casa di Leon è elegante e moderno, il grand hotel è fastoso e classicheggiante, la stanza di Ninotchka a Mosca monumentale ma misera.

I costumi, come sempre in Lubitsch curatissimi, sono di Adrian Greenburg, geniale stilista di Hollywood (su Torino Style trovate un post molto interessante dedicato proprio a lui); si sbizzarrisce per la Garbo in completi "razionalisti", alta moda con cappello ad anfora e un meraviglioso e scollatissimo abito da sera.

Greta Garbo (2 volte Anna Karenina, muto e col sonoro, Mata Hari, Grand Hotel) ormai verso la fine della carriera finalmente si concede una bella risata; le doti interpretative sono fuori discussione, ma non si può non notare come la verve comica arrivi dalcontrasto fra il suo personaggio rigido e severo e quello scanzonato di Melvyn Douglas (Il candidato con Robert Redford, L'inquilino del terzo piano di Polansky, Hud il selvaggio con Paul Newman, Oltre il giardino con Peter Sellers), un vero fuoriclasse ingiustamente poco conosciuto nonostante possa vantare ben due Oscar e una carriera cinquantennale. Il suo Leon è il vero protagonista e deus ex machina del plot. Possiamo non rimpiangere i tempi in cui gli uomini erano eleganti senza affettazione ma sempre virili, sfacciatamente dediti alla caccia di belle donne ma senza rinnegare i propri sentimenti ed erano capaci di coltivare anche i piaceri più colti come la musica o il teatro?

Senza voler cercare reconditi significati psicologici restiamo leggeri anche noi: il  film altro non afferma che una incontenibile joie de vivre: non c'è senso di responsabilità che tenga, nè verso le "grandi" ed "importanti" aspirazioni dettate dalla politica nè verso le aspettative sociali: come fa dire a una Ninotchka significativamente un po' brilla, anche se ci dicono che la rivoluzione è in marcia, pioveranno le bombe e sprofonderanno le civiltà, questo è il nostro momento di essere felici, godiamocelo!

Lubitsch touch!
Garbo laughs!

martedì 15 novembre 2011

Warrior - Tough guy


Warrior è un film della crisi, evidente prodotto di una temperie come quella attuale, in cui spesso non sembrano esserci opzioni vincenti: si può solo decidere come perdere. E', altresì, un film sulla disperazione. Tutti i personaggi principali sono schiavi di un passato da dimenticare ed un presente che propone più problemi che soluzioni. Ma è anche un film di lotta, dove il ring è rappresentazione del quotidiano patire, della fatica per raggiungere i propri obiettivi, della motivazione interiore di cui abbiamo bisogno per continuare a guardare avanti.


Paddy Conlon - un Nick Nolte magistrale - è un vecchio allenatore di lottatori, alcolista sulla via della riabilitazione (si capisce che è irlandese perchè indossa una coppola di lana spessa anche al chiuso). Dei due figli e della moglie sa ormai poco o nulla. Brendan, il maggiore vive in un'altra città con la moglie e le due figlie bambine e non vuole avere più contatti col padre. Tommy, il figlio minore, è scappato di casa anni addietro con la madre. Ma Paddy è stato anche un eccezionale maestro di arti marziali per i figli: Tommy in particolare da ragazzo ha inseguito il record di imbattibilità, prima di darsi alla fuga.
Un giorno Tommy torna a casa per chiedere al padre di allenarlo per Sparta, un torneo di MMA (una disciplina di arti marziali particolarmente violenta e spettacolare). Il vincitore vincerà cinque milioni di dollari. Tommy conta di vincere la somma per devolverla alla famiglia di un suo commilitone morto in Iraq, dove Tommy - arruolatosi nei marines - ha eroicamente salvato la vita di alcuni soldati in difficoltà durante un attacco nemico.
Il figlio maggiore, Brendan, ha invece abbandonato la carriera di lottatore dopo un incontro finito male, per insegnare nel locale liceo. La crisi finanziaria lo mette in condizioni di non poter onorare il mutuo che ha contratto per pagare la casa in cui vive con la famiglia. Decide allora di riprendere a combattere per guadagnare il necessario a mantenere la famiglia.
I due passando per vicende diverse ma parallele si ritroveranno al torneo SPARTA, dove Tommy farà strada grazie alla propria rabbia e Brendan per la capacità di soffrire. Si fronteggeranno proprio nell'incontro finale, un combattimento dal quale solo uno può uscire vincitore.


Il film non si cura della verosimiglianza: i rapporti fra i personaggi sono quasi stilizzati, Tommy odia il padre per aver reso impossibile un vita normale nella gioventù e Brendan perchè preferì restare e formarsi una famiglia invece di scappare insieme al fratello ed alla madre. Paddy odia se stesso per aver rovinato la propria vita e quella dei figli a causa dell'alcolismo. Brendan afferma e si sforza di non odiare nessuno, ma non vuole avere contatti col padre e non vede il fratello da anni. Infine Tess (Jennifer Morrison, la Cameron di Dr House), mogliedi Brendan, odia Paddy e Tommy e sopratutto -  comprensibilmente - odia veder combattare il marito. Il susseguirsi degli eventi fa sì che i fratelli, entrambi newcomers nelle classifiche mondiali, riescano ambedue a partecipare al torneo con i migliori sedici lottatori del mondo. Negli incontri ovviamente i più grandi atleti mondiali vengono sbaragliati da i due fratelli senza eccessivi problemi.
Ma quando mai il compito del cinema è stato quello di inseguire il verosimile? In compenso Gavin O'Connor (Miracle, Pride & Glory) si conferma regista di sentimenti forti e ci regala quasi due ore e mezza equamente distribuite fra l'illustrazione dei rapporti e delle motivazioni dei personaggi nella più lenta prima parte, per passare al torneo con un'esplosione di adrenalina e violenza ed un totale cambio di ritmo.


Tom Hardy (Black Hawk Down, Marie Antoinette, Rocknrolla, Inception) è, come direbbero i Beastie Boys, un "tough guy": una vera montagna di muscoli con deltoidi da campionato del mondo. Interpreta un Tommy segnato da un passato fatto di solo dolore. E' ormai una vera macchina da distruzione, senza sentimenti, senza rimorsi, senza pietà, e infatti è imbattibile. Non vuole ormai nulla per sè, ma desidera sottrarre almeno la famiglia del suo fraterno compagno d'armi al destino che lo ha segnato così profondamente, e abbatte con cieca violenza ogni ostacolo che si frappone fra lui ed il suo obiettivo. 

Joel Hedgerton, (Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni, King Arthur, Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith) è un Brendan disperato e molto umano nello sconfinato amore per le figlie, per le quali si dimostra pronto ad andare oltre ogni limite. Non è il più forte, non è il più tecnico, non è il più pazzo. Ma forse solo lui sa davvero per cosa sta lottando.


I corpi dei lottatori si torcono e si squassano nell'ottagono con la gabbia, quasi a immagine del tormento interiore dei protagonisti. Riuscirà Paddy a riconquistare un rapporto coi figli? Riuscirà Tommy a trovare la pace nella distruzione di tutto ciò che lo circonda? Riuscirà Brendan a salvare famiglia, lavoro e matrimonio? O invece i tre sono destinati a distruggersi l'un l'altro non solo  fisicamente?

E' un film di uomini veri, Warrior, in cui si mostra chiaramente come a volte ci sono problemi che non si possono risolvere parlando. Bisogna accettare di scendere nella gabbia (metaforica o reale, poco cambia) ed accettare di picchiare duro ed essere picchiati a propria volta.
E' un film di crisi e disperazione , Warrior, ma a ben guardare indica anche una via. C'è sì la lotta ed il dolore nel tentativo di raggiungere l'agognato premio; ma a che mai potrebbe servire tutto quel denaro quando tutto il resto è andato perduto?
La salvezza, ci ammonisce O'Connor non sta nel denaro, ma nella riconciliazione e nella fratellanza.
Vale per la famiglia Conlon, vale per noi. Sempre, ed ultimamente più che mai.


lunedì 7 novembre 2011

Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno


A circa 40 anni dall'ultimo film, Tintin torna sul grande schermo. Il progetto è firmato da Steven Spielberg nelle vesti di regista e Peter Jackson (di cui aspettiamo con trepidazione il prossimo Lo Hobbit) come produttore. Se aggiungiamo che il film si presenta con contenuti tecnici di grande impatto come la realizzazione in 3D e, soprattutto, le riprese effettuate con la tecnica del motion capture, ce n'è più che abbastanza per attirarmi in sala.
Prima però una riflessione sul 3D. Questio tipo di tecnologia dovrebbe essere ormai consolidato, tuttavia mi pare che venga utilizzato più come "ariete mediatico", che come reale plus espressivo. Inoltre il fatto di dover indossare gli occhialini mi infastidisce: ne ho comprati diversi ed ogni volta continuo a ricomprarli perchè non mi ricordo dove li ho messi, o se li ho buttati. Per soprammercato in tutti i titoli che ho visto in 3D,  nei primi minuti l'effetto è piuttosto eclatante, per poi affievolirsi dopo poco. Solo un effetto dato dall'abituarsi degli occhi? Fate la prova: togliete gli occhiali in qualche scena e se ci vedete bene vuol dire che sostanzialmente l'effetto 3D non c'è. Fine dell'invettiva.


Tornamo dunque ad argomenti più divertenti: l'idea è quella di rispolverare un classico del fumetto anni 30 utilizzando attori "veri" per fare da base al disegno animato. In breve, gli interpreti recitano con una serie di sensori addosso per registrarne i movimenti attraverso uno speciale sistema di telecamere. In seguito il movimento viene "vestito" con il disegno, rendendo possibile una aderenza al fumetto favolosa conservando d'altro canto una autentica "interpretazione" dei personaggi da parte degli attori.


La sceneggiatura è ispirata alle storie originali pubblicate nella prima metà degli anni 40: il famoso reporter Tintin passeggiando in un mercatino delle pulci si imbatte in un modellino di una nave del 700. Il modelllino contiene però un indizio indispensabile per trovare un tesoro nascosto da secoli, sulle cui tracce si trovano l'infido Sakharine i servizi segreti ed anche l'interpol, con gli impagabili agenti in bombetta Dupont & Dupond.
In una sarabanda di peripezie che lo porteranno a bordo di un cargo, il Karaboudjan, con un comandante alcolista tenuto pigioniero dalla propria ciurma ormai passata la servizio di Sakharine. Proprio il comandante, il capitano Haddock, si rivela essere una delle chiavi per la soluzione del mistero.
Tintin ed Haddock decidono di unire le forze ed in un susseguirsi mozzafiato di fughe su scialuppe di salvataggio, furti di idrovolanti, e avvicenti duelli fatti utilizzando delle gru portuali al posto delle spade, rincorreanno gli indizi seminati da un coraggioso antenato di Haddock, ma soprattutto si scopriranno inseparabili amici, pronti a partire per la prossima avventura.



I "costumi", o meglio l'abbigliamento dei personaggi, così come le scenografie, hanno uno spettacolare livello qualitativo, restando insieme fumettistici e realistici. Ogni immagine è curata nei minimi dettagli.
La sceneggiatura consente a Spielberg di svariare fra diverse scene d'azione piuttosto coinvolgenti: la battaglia dei velieri in fiamme, il volo in idrovolante ma anche la fuga dal Karaboudjan sono all'altezza del miglior Spielberg. Fra le molte finezze stilistiche sparse qua e là quella che preferisco l'inquadratura di Tintin che si specchia in quatrro o cinque diversi oggetti contemporaneamente nella sequenza al mercato delle pulci.



Gli attori non possono essere giudicati, ma vi propongo un parallelo fra le versione originale e il personaggio "cartoanimizzato"

Jamie Bell (Billy Elliot, King Kong, Flags of our fathers, Jane Eyre)  è Tintin



Andy Serkis (Tutta la trilogia del Signore degli anelli nel ruolo del Gollum,  King Kong, The Prestige), qui insolitamente simile a sè stesso nel ruolo del Capitano Haddock

Daniel Craig (già con Spileberg inMunich, famoso per 007 - Casino Royale, 007 - Quantum of solace, il recente Cowboys Vs Aliens) è il perfido Sakharine


Simon Pegg (L'alba dei morti dementi, Mission Impossible III, Le cronache di Narnia) e Nick Frost (L'alba dei morti dementi, I love radio rock ) dimostrano l'affiatamento dei veri amici interpretando i meravigliosi Dupont e Dupond




In conclusione: arrivato un po' prevenuto, ho ritrovato in sala l'atmosfera avventurosa e ironica degli albi a fumetti per quasi due ore di azione ininterrotta. Dai 7 ai 99 anni, buon divertimento!