lunedì 31 ottobre 2011

#58


Sono rimasto molto colpito dalla scomparsa di Marco Simoncellli, e mi sono accorto che non sono il solo: tantissimi post su Facebook, tantissimi video su Youtube, tantissimi commenti sui blog che ne hanno parlato.
Una folla oceanica ai funerali, che sono addirittura stati trasmessi in diretta!

Non so perchè piacesse a tutti, Simoncelli a me stava simpatico perchè andava forte e se combinava qualche casino non si nascondeva mai dietro ad un dito.

Però per questa volta The Talking Mule non parla, in questi casi meno si dice è meglio è.

Il solo modo che so per salutare un ragazzo con una grande passione che se ne è andato troppo presto, è celebrare quello che amava di più sfruttando la mia, di passione: vi propongo dieci scene di grande cinema  in cui il vero protagonista è il "ferro" (I video sono tutti presi da Youtube, non sono miei).
  1. "La grande fuga": Steve McQueen salta il filo spinato su una Triumph TR6 Trophy (truccata da BMW della Wehrmacht)
  2. "Charlie's Angels Più che mai": Cameron Diaz, Drew Barrymore e Lucy Liu fanno le bad girls durante la gara di supercross
  3. "Torque, circuiti di fuoco": una Aprilia RSV1000 guidata da un tamarro sorpassa in impennata due auto guidate da tamarri peggio di lui
  4. "MI:2": Un mix di evoluzioni di Tom Cruise a bordo di una Triumph Speed Triple
  5. "Matrix Reloaded": Trinity dimostra cosa sa fare con una Ducati 998
  6. "Tomorrow never dies": Pierce Brosnan - 007 ammanettato a Michelle Yeoh svicola su una BMW R 1200C come se fosse uno scooter
  7. "Black Rain": Michael Douglas su Harley Davidson Sportster vince una gara clandestina contro una jap (Kawasaki?)
  8. "Ballistic": la incavolatissima Lucy Liu su Buell fa il mazzo a Antonio Banderas su BMW
  9. "Terminator 2": Arnold Schwarzenegger su Harley Davidson Fat Boy fa un sorpasso assai muscolare a un TIR guidato dal T-1000 mutaforma!
  10.  "Easy Rider": Peter Fonda e Dennis Hopper scorrazzano liberi sui loro choppers. Born to be wild!

E infine un omaggio a Marco nel giorno più bello: Supersic vince il mondiale 250 nel 2008!

Un lampeggio...

giovedì 27 ottobre 2011

This must be the place - Naive melody


Paolo Sorrentino (Le conseguenze dell'amore, L'amico di famiglia, Il Divo) è la risposta alla domanda "ma perchè in Italia non ci sono più registi di livello internazionale?". Ecco, uno c'è: è - ancora - giovane, è bravo ed ha raggiunto una credibilità a livello internazionale.
Preceduto da un ossessivo battage pubblicitario This must be the place è il (primo?) film internazionale di Sorrentino. Internazionale per la produzione, per il mercato di riferimento ed anche per il cast artistico.
Le mie aspettative erano piuttosto alte, e ammetto subito che non sono andate deluse.

La storia (Sorrentino è autore anche della sceneggiatura) di per sè è piuttosto linerare, ma contiene numerose divagazioni che la rendono difficilmente sintetizzabile. Cerco di riassumere: il film è diviso in due parti, la prima ambientata in Irlanda e la seconda negli Sati Uniti. La prima parte è piuttosto statica e descrive il protagonista, Cheyenne: una rockstar ormai in disarmo che continua a truccarsi tutti i giorni come se stesse sempre per salire sul palcoscenico. In realtà Cheyenne ha da tempo rinunciato alla carriera artistica e vive nella propria lussuosa villa una quotidianità apatica in compagnia della affettuosa moglie Jane, di professione pompiere (!). I principali svaghi di Cheyenne sembrano essere le passeggiate con la giovane Mary (che si intuisce avere una dolorosa connessione con il burrascoso passato della popstar) e gli incontri con alcuni amici dalla personalità non meno borderline della sua. La noiosa routine viene improvvisamente interrotta da una telefonata proveniente da New York: il padre, con cui non parla da trenta anni, è in fin di vita. Cheyenne però è terrorizzato dai viaggi in aereo ed è quindi costretto a raggiungere l'America in nave. Quando arriverà sarà già troppo tardi. Non tardi però per scoprire che il padre, prigioniero in un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale, aveva dedicato la propria vita alla ricerca di uno dei suoi aguzzini. Cheyenne trova un indizio forse decisivo per la ricerca e decide di terminare l'impresa paterna. Qui inizia il film nel film: un vero e proprio road movie in cui Cheyenne viaggerà nell'America profonda fra paesaggi desolati e struggenti ed incontrando una incredibile serie di personaggi. Al ritorno da un viaggio tutti torniamo cambiati, ma è impossibile prevedere in anticipo come; di certo non vi faremo il torto di rivelarlo qui!


Dal punto di vista della scenografia segnalo la cura con cui è stata realizzata la villa "da star" di Cheyenne, con la piscina vuota utilizzata per giocarci a pelota con la moglie, gli ambienti interni studiatissimi e pieni di pezzi d'arredamento esclusivi.
Come sempre nei film di Sorrentino curatissima la colonna sonora, basata su lavori di David Byrne.

Sorrentino ci regala e alcune immagini di bellezza compositiva assoluta e diverse sequenze davvero magistrali.
Fra le mie preferite la scena in cui Cheyenne riceve la telefonata dagli USA, con il filo rosso e attorcigliato del telefono che divide la scena in una perfetta diagonale; una meravigliosa inquadratura - che sembra un dipinto di Edward Hopper - mentre aspetta la moglie del nazista di fianco a una parete di assi di legno. Nella seconda parte del film le inquadrature di paesaggio belli e desolanti la fanno da padrone.
La sequenza in cui Jane fa tai-chi in giardino è di grande padronanza tecnica e grande ironia al tempo stesso, così come quella in cui Cheyenne balla dentro la stanza di un motel al ritmo di "The passenger" di Iggy Pop.
Un grande regalo è la scena dell'esibizione di David Byrne, praticamente un clip completo incapsulato nel film, con il meraviglioso trompe l'oeil iniziale.
Insomma come avrete ormai intuito, dal punto di vista visuale questa è una pellicola che non si fa mancare nulla, e lo spettatore non può che tornare a casa soddisfatto.


Sean Penn regala a Cheyenne una gestualità favolosamente timida e una risatina che taglia come un rasoio. Un personaggio che si nasconde dietro una maschera per paura del dolore, il proprio e di chi lo circonda: in lui apparenza ed essenza sono in assoluto contrasto. Sembra debole e invece lo scopriamo intimamente forte e perseverante.Sembra assente ma in realtà non gli sfugge nulla. Sembra apatico ma sa avere lampi di geniale prontezza, come quando sfida a ping pong due ragazzi in un diner sperduto fra le montagne. Sembra "suonato" dopo una vita di eccessi, ma in realtà vive grandi drammi interiori (commovente la confessione che fa di fronte ad uno sbigottito David Byrne nel ruolo di sè stesso).
Frances McDormand: è una Jane (la moglie di Cheyenne) innamorata del proprio uomo, tenera e buffa al tempo stesso. Jane è un personaggio forte, ama Cheyenne e tenta in tutti i modi di mantenerlo legato ad un realtà da cui parrebbe voler fuggire.
Eve Hewson impersona Mary, la giovane amica di Cheyenne. Promossa nell'interpretazione della adolescente triste, la spettiamo però nei prossimi ruoli per capire di che pasta è fatta davvero.
Harry Dean Stanton: un breve cameo nel ruolo dell'uomo che ha inventato la valigia trolley. Una faccia come la sua non poteva mancare nel viaggio di Cheyenne nel cuore dell'America rurale, ed è ancora e sempre un maestro di recitazione.

Quella che ci racconta Sorrentino è una storia naif e commovente (una naive melody, dal titolo completo della canzone dei Talking Heads). La difficoltà di Cheyene nel diventare adulto, di accettare il lato doloroso della vita, di superare i rimorsi mi è parso un tema molto attuale. Peraltro è proprio il suo sguardo infantile sulle cose, la sua sincerità candida ed irresponsabile, che lo rende irresistibile.
Capire cosa è necesario lasciarsi alle spalle e quando è il momento di farlo. Questo in definitiva mi è parso il tema di fondo della pellicola.
Vivere da adulti restando un po' bambini...ecco un viaggio che vale sempre la pena di intraprendere!


The Talking Mule


Oggi inizia le trasmissioni The Talking Mule.

Il nome l'ho scelto perchè guardavo da piccolo con mio papà i film di Francis, il mulo parlante, e mi sono sempre rimasti nel cuore. Poi Francis si chiama quasi come me, e proprio come me è un personaggio testardo e un po' saccente.
E poi è un film, e a me il cinema piace moltissimo.

Negli ultimi due anni ho scritto diverse recensioni per Torino Style, e mi è piaciuto tanto che ho deciso di aprire un blog apposta. Per parlare di cinema e dei film che mi hanno colpito e dei pensieri che mi hanno fatto venire in mente.

Io ce la metto tutta, spero vi piacerà!

giovedì 6 ottobre 2011

Carnage - You can't always get what you want



Carnage segna il rientro di Roman Polanski dopo il deludente (e noioso) The Ghost Writer. Presentato a Venezia, non ha raccolto premi, rischia però di rifarsi al botteghino. Diciamo subito che l'operazione è di quelle che fanno esclamare "ne facessero di più di film così!". Carnage concilia un umorismo acido con una amara riflessione di costume. Per la caratteristica di essere girato praticamente in un unico ambiente (il soggiorno della famiglia Longstreet), ci ha fatto pensare a Buried, solo che Polanski nella cassa ci mette non una ma quattro persone, e poi si diverte a guardare cosa succede.


La trama, tratta da una pièce teatrale, è composta quasi di nulla. L'antefatto ci mostra due ragazzini picchiarsi in un parco cittadino. I genitori del piccolo aggressore, i Cowan si recano a casa di quelli della vittima, i Longstreet, per dirimere la questione e stabilire come comportarsi. Passeranno la giornata intenti in un gioco al massacro psicologico, che attraverso un continuo cambio di alleanze (Cowan vs Longstreet, uomini vs donne, etc..) lascerà i personaggi (tutti?) nudi e disarmati di fronte alla propria irredimibile meschinità.


Il film utilizza praticamente un solo ambiente: la casa - ed in particolare il soggiorno - della famiglia Longstreet. Si intuisce l'ambientazione newyorchese dal paesaggio che si intravede dalle finestre, ma Parigi, Londra, Bruxelles non avrebbero tolto nulla all'efficacia della storia. Probabilmente se il film è ambientato negli States è più appetibile per quel mercato. La casa, dicevamo, riflette perfettamente i Longstreet o meglio riflette perfettamente l'idea che i Longstreet vorrebbero avessimo di loro: un affastellamento senza costrutto di libri di arte e pezzi di arredamento di design, senza tuttavia un'idea che armonizzi tanta cultura. Come vedremo, non è un caso!
I movimenti di macchina alternano riprese degli ambienti a movimenti in soggettiva, quasi in fish-eye sui singoli personaggi. Ci siamo chiesti per lunghi minuti se la soggettiva cambia in base al personaggio di cui assume il punto di vista (più in alto per la Winslet, più in basso per la Foster, per capirci). Alla fine abbiamo concluso di no, ma l'impressione è comunque quella di trovarsi in mezzo al battibecco.

I costumi riflettono lo stereotipo dei personaggi: i Longstreet, la famiglia liberal, indossano sobri maglioncini, mentre i Cowan, la famiglia in carriera, si presentano in elegante completo e soprabito lui e professionale gonna longuette nera con camicia bianca e filo di perle lei.


Gli attori  sono tutti bravissimi e di grande esperienza,  resistono alla tentazione di gigioneggiare rubandosi la scena a vicenda, meritano un'occhiata ciascuno:

John C. Reilly (una carriera straordinaria premiata -finora- da una candidatura all'Oscar per Chicago) interpreta Michael Longstreet, venditore di sanitari e accessori per la casa. Rappresenta l'americano medio, in bilico fra ragionevolezza e tentazione di risolvere le cose "fra uomini". Tenta di dare un'immagine di sè un po' più elegante di quello che non è, ma una volta scoperto sembra che abbia una gran voglia di mandare tutti al diavolo e andare a farsi una passeggiata nella prateria.

Jodie Foster è Penelope Longstreet, aspirante scrittrice di denuncia sociale sui temi dell'Africa. Si sente migliore del mondo che la circonda e non si capacita di come tutti gli altri non condividano il suo modo politicamente corretto di vedere le cose. La Foster si conferma attrice di categoria superiore, basta vedere come riesce a vibrare di sdegno gonfiando la vena della fronte: monumentale!

Kate Winslet una meravigliosa prova, secondo noi di magistrale misura, nel ruolo di Nancy Cowan, madre in carriera oberata dallo stress e dai sensi di colpa mai sopiti nel rapporto con il figlio. In continua oscillazione fra rassicurazione (siamo adulti, siamo ragionevoli...) e isteria. Due scene tutte da godersi in poltrona:quando vomita sui preziosi libri d'arte di Penelope e quando impazzisce perchè le maltrattano la borsa (come non solidarizzare??)!

Last but not least Christoph Waltz - Alan Cowan, il papà del piccolo aggressore. Waltz, che tutti ricordiamo magistrale "cacciatore di ebrei" in Inglorious Basterds, interpreta qui un altrettanto  luciferino personaggio, avvocato di fantomatiche amorali multinazionali farmaceutiche. Da ogni sua parola, da ogni alzata di sopracciglio partono sciabolate sulle ipocrisie e le contraddizioni degli altri personaggi. Da vero "dio della carneficina" (titolo originale della piece da cui è tratto il film) è l'unico personaggio che, nella propria totale amoralità ed indifferenza per il prossimo, mantiene una tragicomica coerenza.

Il film annovera fra i suoi pregi anche quello di non dilungarsi oltre il necessario, 80 minuti circa. Da più parti si è letta l'ipotesi che Polanski con questo film avanzi una critica alla società borghese. A nostro avviso si spinge invece molto più in là: la critica, spietata è per tutta la società occidentale, ormai incapace di contestualizzare e dare l'adeguato peso persino a una banale baruffa fra ragazzini. I personaggi di Carnage hanno desideri a cui non sanno come dare forma, si perdono in oceani di parole, cortesie di facciata, piccole e grandi ipocrisie nel disperato tentativo di trovare una soluzione condivisa, quando - ma ormai ce lo siamo dimenticati un po' tutti - un paio di sganassoni bene assestati ed una settimana senza Nintendo avrebbero forse raggiunto con sufficiente efficacia gli scopi educativi dei personaggi.



All'uscita dalla sala ci si scopre divertiti, ma fatalmente torna in mente la profezia degli indiani Hopi citata in Koyaanisquatsi di Godfrey Reggio: "È possibile che un giorno un recipiente di cenere sia scagliato dal cielo, che arda la terra e faccia ribollire gli oceani." Se davvero le cose stanno come ci fa vedere Polanski, quando succederà potremo ben dire di essercelo meritato!