lunedì 23 aprile 2012

Living in the material world - The soul of George Harrison


Sono un grande ammiratore del Martin Scorsese documentarista, non potevo quindi certo perdermi la visione su grande schermo di George Harrison: living in the material world, filmato che ripercorre la carriera del beatle George Harrison dagli inizi fino alla morte. Ammetto di non essere mai stato un grande fan dei Beatles (nella bipolare divisione del mondo io tifavo per gli Stones), ma l'evidenza non si può negare e l'evoluzione artistica avvenuta sia nei singoli membri che a tutto il gruppo merita in effetti uno sguardo più da vicino.
La pellicola inizialmente è stata concepita in due puntate per la trasmissione in TV, la visione in sala è un po' penalizzata da una durata complessiva davvero eccessiva (tre ore e mezza abbondanti).
La storia personale di Harrison, inevitabilmente, implica una lunga parte retrospettiva sui Beatles, con molte bellissime foto dei tempi degli esordi e di quelli del periodo amburghese dei Fab Four (che in quel momento  erano in effetti cinque).


La pellicola segue tutto il percorso umano ed artistico di Harrison tentando (tentativo solo a tratti coronato dal successo) di non farne un'agiografia acritica.
Compaiono in veste di testimoni un sacco di personaggi famosi: Jane Birkin, Jackie Stewart, Eric Idle e Terry Gilliam dei Monty Python, ma anche Phil Spector (dall'aspetto impressionante), Eric Clapton e molti altri più o meno noti al grande pubblico, tutti accomunati dall'avere avuto un ruolo nella vita di Harrison, o - per meglio dire - accomunati dal fatto che Harrison avesse avuto un ruolo nella loro.
La parabola del successo di George Harrison segue, o forse ha contribuito ad inventare, il paradigma rockstar: inizia dall'incontro un po' per caso con Lennon e McCartney, prosegue con la boheme dei primi tempi, per poi raggiungere in modo improvviso un successo spropositato (bellissimi i fotogrammi dei concerti con il pubblico composto di sole ragazzine osannanti), la maturazione artistica e l'inevitabile ricerca di nuovi orizzonti di realizzazione personale. Il tutto condito da donne, droghe, auto, party, ville faraoniche. Insomma la totale mancanza dei limiti che costituisce l'essenza della rockstar.


Scorsese ci mostra però un artista ed un uomo vero che è venuto in contatto con tutti i più importanti movimenti culturali della seconda metà del 900, rimanendo sempre interessato all'esplorazione di nuovi territori espressivi, poco o per nulla attratto dagli aspetti materiali e di immagine pur inevitabili per chi abbia raggiunto quel tipo di successo.
Il lato della personalità che viene indagato più di ogni altro è quello della ricerca spirituale che portò Harrison ad avvicinarsi alle culture indiane, confrontandosi con diversi guru, prendendo però da quel tipo di esperienza quello che riteneva gli potesse servire, rielaborando personalmente gli insegnamenti senza lasciarsene sopraffarre. L'interesse e la tensione verso la morte (vissuta però nel senso di passaggio, senza angosce o morbosità) rivelano forse più di ogni altra cosa la fragilità emotiva dell'artista.


Non mancano le testimonianze degli altri Beatles, così come quella di Yoko Ono (ancor oggi...impressionante). Bella la sequenza in cui Ringo Starr si commuove ricordando le ultime spiritose ed affettuose parole sentite dall'amico in fin di vita.
McCartney dopo quarant'anni si può persino permettere di rendere onore al contributo dato genio artistico di Harrison al successo del gruppo.
Sorprendente per me scoprire fu lui a produrre un film come Brian di Nazareth dei Monthy Python fondando per l'occasione la HandMAde films, casa cui si devono alcuni interessanti titoli degli anni 80 (I banditi del tempo di Gilliam, Mona Lisa di Neil Jordan, Shangai Surprise con Madonna e Sean Penn appena sposati)

 

Quello che non ho potuto fare a meno di chiedermi, vedendo la  pellicola è cosa sarebbe stato di Harrison se non fosse mai salito sul bus per fare il "provino" con Lennon e McCartney. Sarebbe riuscito comunque a sfondare come artista o sarebbe rimasto a Liverpool a condividere il destino della città industriale? Sono quesiti "notturni", che non ci si dovrebbe mai fare, quello che è certo è che Harrison, da giovane artista spiantato, così come da milionaria rockstar è sempre stato un punto di riferimento per coloro che l'hanno conosciuto, grazie alla sua gentilezza, alla propria coerenza non solo di artista, alla sua capacità di capire gli stati d'animo delle persone che lo circondavano.
Ebbene, non c'è bisogno di fare quello che ha fatto lui per essere così, che sia stato baciato dal successo o no, tutti dovremmo avere qualcuno così su cui contare, o almeno questo è il mio augurio per chi si fosse avventurato fino alla fine di questo post!



domenica 22 aprile 2012

Uno squalo al cinema - Doo uap doo uap doo uap

Questa settimana per la rubrica dedicata alla Citroën DS vi segnalo un video dei Gabin. Si tratta di una band italiana che ebbe un meritato successo planetario con questa Doo uap doo uap doo uap, un sapiente mix di jazz ed elettronica.
La musica, che comprende un generoso sample di Duke Ellington, si sposa perfettamente con le atmosfere da fumetto anni 60, grazie alle quali possiamo ammirare la DS impeganata in un inseguimento con delle auto della polizia, un po' in stile Diabolik (in cui però era la DS a inseguire)




Doo uap doo uap doo uap, Digital delicatessen, 2002

domenica 15 aprile 2012

Uno squalo al cinema - Poliziotto sprint



Il genere poliziottesco a cui accennavo nel post di domenica scorsa è di certo quello che ci ha regalato le scene più belle con protagonista la DS. Questa settimana vi propongo un film che è una vera e propria dichiarazione d'amore per questo mito di macchina: si tratta di Poliziotto Sprint di Stelvio Massi, un maestro del genere.


Il film di per sè non dice molto però contiene alcune divertenti sequenze di inseguimenti d'auto a Roma. Un Maurizio Merli senza baffi (inconsueto, infatti è molto più figo baffuto) interpreta un poliziotto alle prese con il gangster detto "Il nizzardo", interpretato da un grande caratterista italiano, Angelo Infanti (in realtà nato a Zagarolo, altro che Nizza...).
Il nizzardo è un patito di DS almeno quanto me ed è un pilota imbattibile, infatti, a bordo della sua Citroën riesce a far mangiare la polvere nientemeno che ad una veloce ed elegantissima Ferrari 250 GTE!



Il film di Massi è ispirato (assai liberamente spero) ad un personaggio reale: il maresciallo Armando Spatafora, a cui negli anni ’60 fu affidata una Ferrari in dotazione alla polizia di Roma per gli inseguimenti più difficili.


Poliziotto Sprint, Stelvio Massi, 1977

martedì 10 aprile 2012

Cosa piove dal cielo - Un cuento chino


Vincitore del premio Marc'Aurelio sia della critica che del pubblico all'ultimo Festival di Roma, nonché proclamato miglior film ispanoamericano ai Premi Goya 2012, attendevamo con curiosità l'uscita di Cosa piove dal cielo, bizzarra traduzione del titolo originale Un cuento chino di Sebastian Borensztein, regista argentino giunto con questa alla terza produzione sul grande schermo.

Cosa piove dal cielo racconta con il registro della commedia agrodolce la storia di Roberto (Ricardo Darín, un vero mattatore del cinema argentino), misantropo gestore di un negozio di ferramenta di Buenos Aires. Nonostante conduca una vita piuttosto solitaria e monotona, Roberto si imbatte per caso in Jun (Ignacio Huang), giovane cinese appena arrivato in Argentina alla ricerca dello zio.Il protagonista decide, vagamente controvoglia, di dare una mano al giovane, ben sapendo che questo mette a repentaglio la consolidata routine quotidiana a cui tanto tiene. Nonostante i due siano impossibilitati a comunicare verbalmente (Jun parla solo cinese mandarino), riusciranno comunque a stabilire un contatto e a darsi vicendevolmente una mano, anche grazie all'intervento di Mari (Muriel Santa Ana, attrice - soprattutto di teatro -  e cantante argentina), una donna che ha scorto il cuore sotto la scorza di Roberto, innamorandosene senza rimedio.


Gli ambienti della casa di Roberto (scenografie di Laura Musso, arredatrice anche in Le donne del 6° piano e nel commovente Biutiful di Iñárritu) rispecchiano la situazione emotiva del personaggio: sono pieni di cimeli dei genitori morti, intere stanze sono piene di cianfrusaglie accumulate nel tempo da cui  Jun, simbolicamente, lo aiuta a liberarsi. L'arrivo di Mari è sempre connotato da cibi saporiti, fotografie e movimento. La mimica muta di Hignacio Huang è di grande efficacia.


La pellicola, senza uscire troppo dal registro della commedia, riesce ad accennare alcuni temi abbastanza pesanti come la guerra delle Falkland (in questi giorni tornata di attualità) o il difficile rapporto fra cittadino e istituzioni (il commissariato, ma anche l'ambasciata cinese) in un paese che ha vissuto una dittatura in tempi ancora molto recenti.
Molto bravi tutti gli interpreti: Ricardo Darín riesce quasi a far dimenticare di essere un bell'uomo, calato com'è nel ruolo del misantropo che nasconde un passato di grandi dolori, Muriel Santa Ana interpreta una Mari "tutta donna", affettuosa, paziente, legata alla terra ed agli animali. Hignacio Huang, come si è già detto praticamente non parla mai ma restituisce benissimo lo straniamento del giovane Jun, catapultato in un mondo in cui ogni cosa è diversa rispetto alla cultura da cui proviene.


L'irruzione dell'assurdo nella vita quotidiana, per Jun si tratta di una mucca in caduta libera, per Roberto di un cinese scaraventato giù da un taxi, cambia per sempre le vite dei protagonisti. L'isolamento (per il cinese è un problema di lingua, per Roberto di volontà) una volta interrotto non conosce barriera che gli possa resistere. Parrebbe questa la morale "in breve" del film di Borensztein, però non va dimenticato che il vero motore della vicenda è (come sempre) l'amore. E' Mari che che "legge" così bene l'anima nobile e coraggiosa di Roberto, dove gli altri non vedono che uno scorbutico innamorato della propria solitudine. Non importa quante mucche ci cadranno inaspettatamente sulla testa: è la donna (o l'uomo) che sa vederci come siamo davvero quello che fa la differenza nella vita.

domenica 8 aprile 2012

Uno squalo al cinema - La polizia incrimina, la legge assolve


In tempi di gite fuori porta per la pasquetta, mi pare interessante riproporre alcune sequenze un classico del cinema poliziesco all'italiana anni 70 (quello volgarmente detto "poliziottesco").
L'inclusione in questa rubrica sulla Citroën DS, ovviamente è dovuta alla presenza della suddetta automobile, questa volta in versione ambulanza.
La location è inconsueta, oggi l'inseguimento sarebbe impossibile a causa del traffico: ci troviamo infatti sulla statale che da Santa Margherita Ligure porta a Portofino. L'inseguimento finirà prima di Paraggi e la Citroën (purtroppo!) avrà la peggio!

Come i frequentatori della riviera ligure noteranno questa scena è, nel suo piccolo, famosa perchè le auto che nella finzione si inseguono senza sosta, nella realtà prendono quasi ad ogni cambio di inquadratura un direzione diversa, quando verso ponente e quando verso levante!

Un'altra ragione di interesse del film è che vi compare Franco Nero in versione baffuta (e fin qui, nulla di strano) e con capelli biondi decolarati.Il successo di Nero fu tale che Maurizio Merli, sfortunato ed indimenticato protagonista della stagione del film poliziottesco, per assomigliargli si fece crescere apposta i baffi, che rimasero una caratteristica del suo personaggio in quasi tutti i suoi film.


La polizia incrimina, la legge assolve, Enzo G. Castellari, 1973

venerdì 6 aprile 2012

Gran Torino - una buona novella?


La storia è la seguente: c'è un vecchio che si chiama Walt (sì, proprio come Disney!), che non si trova più a suo agio in un mondo che non riconosce più. La moglie è appena mancata, i figli e i nipoti non lo capiscono, non lo hanno mai realmente considerato  un esempio. Aspettano, con malcelata impazienza, che muoia per impossessarsi dell'eredità, rappresentata da una spettacolare Ford Gran Torino
Walt vive circondato da stranieri, i Hmong, un popolo asiatico che ha usanze del tutto diverse dalle sue, che lui inizialmente disprezza considerandole primitive. Però, poco per volta, Walt impara a conoscere meglio i suoi vicini. Al di là dell'apparenza, gli uomini si comportano tutti in modo simile, e l'amore per la tradizione degli Hmong in qualche modo li affratella con il loro scorbutico vicino. 
Ma poichè gli uomoni si assomigliano tutti,  non tutti gli Hmong sono onesti lavoratori: alcuni vivono da gangster, vessando le loro stesse famiglie e tentando di cooptare i giovani instardandoli su un cammino di violenza e sopraffazione. 
Dopo un inizio difficile a causa del giovane Thao, che viene indotto dal cugino malvivente a tentare di rubare la Gran Torino,Walt si affeziona al ragazzo e decide di aiutare i suoi vicini, anche ricorrendo alla forza quando necessario. Ben presto si rend conto che la violenza non ha altro effetto che quello di chiamare altra violenza, e capisce che l'unico modo per interrompere la spirale della spraffazione è quello di fermare i gangster utilizzando sè stesso come sacrificio umano. Walt cade rigido ed a braccia aperte - quasi un crocefisso - in mano l'accendino con il simbolo della sua unità dei marines. In questo modo al popolo Hmong viene assicurata una vita al riparo dalle vessazioni. La divisione dell'eredità di Walt si rivelerà per molti una delusione e per qualcuno una sorpresa da custodire con cura.

La storia sintetizzata in questo modo mi suona piuttosto familiare, e pensandoci su...ebbene sì,  la trama di Gran Torino rappresenta proprio una parafrasi (con svariati gradi di libertà) evangelica: il passaggio dall'antica alla nuova Alleanza. 

Forma e sostanza a confronto

Certo, con quella faccia Clint Eastwood non sarebbe molto credibile nelle vesti di mite evangelizzatore, ma in quelle di iracondo Dio degli eserciti appare ancora piuttosto convincente.
Gli elementi ci sono tutti: un'eredità a cui tutti vogliono partecipare (la Gran Torino), un popolo che rinnega gli insegnamenti del padre (i figli di Walt), un popolo di stranieri che viene chiamato a partecipare all'eredità (Thao e la sua famiglia); il protagonista è un onnipotente soldato che, tuttavia, rinuncia ad usare le armi e mette al riparo dal male la sua nuova famiglia senza ricorrere alla violenza, ma al proprio sacrificio. Il nuovo popolo viene liberato dal suo "peccato originale" e può godersi la Gran Torino su una magnifica strada litoranea, con il sottofondo della voce di Clint che sussurra una struggente canzone.

Walt, in versione signore degli eserciti
Il film "testamento" di Clint Eastwood propone una scomposizione quasi cubista dei piani di lettura: c'è il livello della amara storia personale di Walt, un vecchio incompreso dai figli che decide di rimettersi in gioco e ripartire da zero adottando una famiglia che gli sente più a sua misura di quella "di sangue". C'è anche - accade spesso nei film di Eastwood - una riflessione sui valori fondanti della civiltà occidentale, ormai in via di abbandono. Ad esempio il contrasto fra la produzione - il "fare" - ed il commercio e la finanza che trasferiscono ma non creano ricchezza; c'è il valore dell'educazione attraverso il lavoro ed il sacrificio: Walt insegna a Thao che un uomo deve vivere del proprio onesto lavoro e gliene fornisce i mezzi, sia attraverso i propri contatti che materialmente (gli presta gli attrezzi, che il cugino gangster gli spezzerà).

In molti hanno individuato in Gran Torino un film contro il razzismo, ma a me sembra una lettura al ribasso. Tutto si può dire , meno che questo sia un film "politically correct". Eastwood mi pare seguire un discorso più ampio contro le convenzioni sociali, il consumismo, la superficialità, il guadagno facile. Insomma le ammonizioni che vengono dall'esperienza di tutti i nonni, ma fatte con il linguaggio dell'arte.

E poi c'è la religione. Già si poteva intravedere una bozza del discorso in Million Dollar Baby , ma qui nella persona di Padre Janovich (un convincente Christopher Carley) la religiosità si materializza, parla, non a caso si fa voce narrante. A dispetto di quanto potrebbe appare a prima vista, il rapporto fra il modo di essere "tutta sostanza e niente forma" di Walt ed il punto di vista della religione "ufficiale", necessariamente più diplomatico,  trova infine una sintesi, un ponte che permette ai due uomini di buona volontà di capirsi ed apprezzarsi.

Gran Torino tocca dunque i più grandi temi: religione, valori, razzismo, perchè no anche la globalizzazione; Eastwood riesce a toccare argomenti fondamentali quasi fingendo di parlare d'altro, quasi temesse di annoiare o di spaventare lo spettatore scoprendo subito le carte. Clint, da quel vecchio saggio che è, suggerisce senza gridare ci racconta una storia che ognuno nel proprio cuore sa di aver già sentito. 

Anche se non possiamo vederlo nella scena finale, non ci pare che il personaggio di Walt sia lì, presente e compiaciuto della buona riuscita del suo piano? 

Walt (il 7° giorno?) si riposa scolando un paio di birre

domenica 1 aprile 2012

Uno squalo al cinema - Vittima

Per la rubrica sulla Citroën DS, questa settimana vi propongo un video di musica italiana. Si tratta di Vittima dei Modà, dove il gruppo utilizza la nostra auto preferita per appropinquarsi ad una cascina zeppa di  contadine sexy. Personalmente preferisco la musica rock, ma un DS cabriolet va celebrata "a prescindere". I lettori di sesso maschile non apprezzeranno solo l'automobile, e non aggiungo altro.

Due piccoli dettagli per i cultori della DS: al secondo 17 del video invece si possono apprezzare i fari girevoli in sincrono con le ruote, una peculiarità molto utile per vedere "dove si mettono le ruote" nelle curve strette e sui tornanti; in secondo luogo si possono notare gli specchietti retrovisori esterni (all'epoca era molto raro avere lo specchietto anche a destra) che potevano essere posizionati sia in orizzontale che in verticale a seconda del gusto del pilota. E' una piccolissima cosa, ma testimonia la maniacale attenzione anche ai più piccoli dettagli che ha reso al DS il mito che celebriamo ancor oggi.




Vittima, Gaetano Morbioli, 2011