mercoledì 8 giugno 2011

The tree of life - the answer is blowing in the wind


Ispirati ed incuriositi dalla vittoria al festival di Cannes, non potevamo perderci l'occasione di vedere per voi The tree of life, ultima opera di Terrence Malick (La rabbia giovane, I giorni del cielo, La sottile linea rossa, Il nuovo mondo), stravagante autore texano da sempre in odore di genialità. Il problema con questo tipo di film è che viene preceduto dalla propria fama rendendo assai difficoltoso evitare il pre-giudizio. Sgombriamo subito il campo dai possibili malintesi: Malick sta al cinema circa allo stesso modo in cui James Joyce sta alla letteratura: per apprezzarlo è rilevante lo stato d'animo del momento, non va scelto se avete in mente una serata memorabile in compagnia di un partner che ama i film d'azione o le commedie romantiche!
Se invece, come Malick, avete sempre avuto interesse per le domande fondamentali, allora sì, mollate tutto e dirigetevi al cinema più vicino, qui c'è pane per i vostri denti!
A dispetto delle domande "importanti", il film non si nasconde dietro grandi metafore, nulla viene omesso, nulla resta non detto, il che implica una durata di quasi due ore e mezza, che passano senza eccessiva difficoltà.


Non si può parlare di trama in senso stretto, diciamo che il film accosta un piano universale ad uno personale, simbolizzato dalla vicenda di Jack (interpretato da adulto da un mito vivente, Sean Penn, da ragazzo dal giovane e talentuoso HunterMcCracken), che vediamo crescere in una tipica famiglia americana degli anni 50 in cui il principio maschile è rappresentato attraverso un padre autoritario (Brad Pitt, estremamente convincente) e quello femminile da una madre amorevole (Jessica Chastain, in stato di grazia; la attendiamo nel prossimo Coriolano di Ralph Fiennes).
Spesso al posto del dialogo vengono riportati i pensieri dei personaggi, come un semplice sussurro fuori campo.
Vediamo Jack, ed i suoi genitori, sperimentare gioe e dolori: la nascita dei figli, la lacerante perdita di uno di essi, fortune e miserie lavorative, l'intimità, l'incomprensione che porterà Jack ed il padre ad allontanarsi, pur consapevoli di essere l'uno lo specchio dell'altro. Ritroviamo Jack affermato professionista in una moderna metropoli, alle prese con le domande fondamentali: CHI? PERCHE'? COSA DEVO FARE?
Il montaggio - estremamente complicato - destruttura la trama in frames scollegati dall' asse temporale. Alla vicenda umana si giustappone quella universale, un discorso che Malick riprende veramente dall'inizio, dal big bang fino alla nascita del mondo e delle ere. Questa parte del film si compone di immagini struggenti che non solo a noi - a quanto si legge nelle critiche - hanno ricordato Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio. La lunghezza, e in qualche modo la prolissità di questa parte del film, hanno suscitato polemiche rispetto alla loro reale necessità. A nostro parere, pur essendo la sintesi un dono, senza questa lunga parentesi il film non sarebbe la stessa cosa, sprofondatevi nella poltrona e godetevi semplicemente la bellezza delle immagini; condensare la storia della vita in alcune decine di minuti denota concisione!


Un plauso a Emmanuel Lubezki  (messicano, a dispetto del nome - una filmografia troppo lunga per poter essere citata), magistrale direttore della fotografia. Ci è piaciuta moltissimo la luce con cui riprende la famiglia di Jack.
Bellissimi i costumi di Jaqueline West, perfettamente calata nell'atmosfera anni 50.


In conclusione il filosofo Malick realizza un film complesso per giungere a conclusioni semplici: ogni minuto non speso con amore è un minuto perso. Come scoprirà il padre di Jack, siamo troppo piccoli per illuderci di contare qualcosa in questo universo. Però - come ruiscirà a Jack adulto - possiamo cogliere, magari nel volo di uno stormo di uccelli fra assurdi grattacieli, in un albero verde piantato nel cemento, in un filo di vento, LA risposta che Malick ci esplicita nell'ultima immagine: un ponte lanciato verso l'orizzonte.