venerdì 29 marzo 2013

Man of steel - Read and be ready



C'era proprio bisogno di un'altro film su Superman? Il quesito in effetti è legittimo, per avere una  risposta dovremo aspettare fino al 19 di giugno prossimo quando uscirà in Italia L'uomo d'acciaio.
La produzione è di primissimo ordine: la regia è affidata a Zack Snyder, una sicurezza quando si tratta di tradurre i fumetti in immagini in movimento (è il regista di 300, ma soprattutto del coraggioso e buio Watchmen), la produzione è firmata da Christopher Nolan, fresco reduce dalla trilogia di Batman Begins/Returns.

Di assoluto rispetto il cast, che vede Russel Crowe nei panni di Jor-El, il padre naturale di Superman. Nel ruolo dei genitori adottivi Jonathan e Martha Kent rivedremo Kevin Costner e Diane Lane.
Perry White (il direttore del Daily Planet) sarà interpretato da Laurence Fishburne,  una scelta che mi pare molto azzeccata, mentre Lois Lane è impersonata da quella Amy Adams di cui parlai molto bene in riferimento a Ancora in gioco.
Il ruolo del protagonista è stato vinto dall'inglese Henry Cavill (il belloccio di cui si innamora Evan Rachel Wood in Basta che funzioni di Woody Allen) dopo che erano state vagliate le candidature di Matthew Goode, Zac Efron (vi prego no! Lui Superman no!), Armie Hammer e  Joe Manganiello, che ha perso il ruolo solo a causa degli impegni nel serial TV True Blood.

La storia trae spunto da una serie di sei albi a fumetti pubblicati negli anni 80 dalla DC Comics e si concentra sulla nascita del supereroe dall'infanzia fino all'arrivo a Metropolis con la presa di coscienza da parte di Clark Kent delle proprie possibilità e delle proprie radici divise fra Krypton, dove è stato concepito, e la Terra dove è a tutti gli effetti nato.

Il film mi pare promettere bene, spero soltanto che l'influenza di Nolan non si faccia troppo sentire: il suo esistenzialismo superficiale ha già messo in pericolo dei film tutto sommato belli come quelli di Batman. Preferirei sentire Clark Kent urlare "Questa è Sparta!!" piuttosto che vederlo farsi prendere per il naso da una terrorista psicopatica.

Di questo film riparleremo a tempo debito; il motto non cambia: prima vedere poi giudicare!




2013 - L'uomo d'acciaio (Man of steel)
Regia: Zack Snyder
Fotografia: Amir Mokri
Musiche: Hans Zimmer


lunedì 25 marzo 2013

Gli amanti passeggeri - se almeno l'aereo si fosse schiantato


Gli amanti passegeri è l'ultima fatica di Pedro Almodóvar, nella quale si immagina un aereo di linea (la evocativa compagnia "Peninsula") che a causa di una avaria, invece di volare a destinazione è costretto a girare senza meta sopra la Spagna, in attesa di trovare una pista libera per tentare un'atterraggio d'emergenza carico di incognite. A bordo dell'aereo si trova una dozzina di personaggi variamente surreali, come nella tradizione dell'autore.

Il film, che ha i toni della farsa di costume, segue per tutto il tempo le vicende dei personaggi "bloccati" sull'aereo dove passano il tempo fra alcol, allucinogeni e sesso, tentando di stabilire un contatto con i propri cari a terra. Alla fine del "viaggio" quasi tutti avranno le idee più chiare sul proprio futuro.

Lola Dueñas - Bruna

Gli attori sono ben selezionati, dal trio di steward gay Javier Cámara, Raúl Arévalo, Carlos Areces, il funebre messicano Infante di José María Yazpik (visto in Beverly Hills Chihuahua), l'attore superficiale e sciupafemmine  Ricardo Galán di Guillermo Toledo, fino alle presenze ricorrenti nei film di Almodóvar: Lola Dueñas nel ruolo della sensitiva Bruna e Cecilia Roth che fa l'attrice e prostituta d'alto bordo Norma Boss. Blanca Suarez (già vista in La pelle che abito) è molto bella. Solo un cameo ma significativo per Paz Vega, Antonio Banderas e Penelope Cruz.
La fotografia è affidata a José Luis Alcaine, un veterano con oltre 45 anni di carriera alle spalle che ha lavorato con tutti i più grandi spagnoli, ma anche con italiani come Lattuada e Lenzi e ultimamente anche americani come Petrie figlio e De Palma.

Javier Cámara, Raúl Arévalo, Carlos Areces

Da salvare ci sono quattro scene: il prologo con Banderas e la Cruz (bravissimi), la scena con i tre steward che illustrano le dotazioni di sicurezza prima del volo e quella con il balletto, più per il coraggio di farla davvero che per la scena in sè.
Il vero sprazzo di genio è quello di non riprendere le scene dell'atterraggio, di cui viene mantenuto solo il sonoro, mostrando riprese delle sale deserte dell'aeroporto di Ciudad Real, un'ambiziosa opera che nelle intenzioni (governo Zapatero bis) doveva essere il "secondo scalo" di Madrid, nella realtà venne inaugurato nel 2008 e chiuso ai voli di linea nel 2011, dopo un investimento di un miliardo di euro. Tanto per dire che tutto il mondo è paese.

A voler trovare un (involontario) messaggio, la metafora non è solo per la Spagna, ma per l'Europa: se perdiamo di vista i contenuti di fondo non ci resteranno che involucri vuoti. Troviamo una pista d'atterraggio, prima che sia tardi. Secondo me si chiama cultura, anzi Cultura, ed è solo ritrovando questa che recupereremo identità e senso della direzione, sperando non sia già troppo tardi.

Blanca Suárez - Ruth

Salvato ciò che si può trovare di positivo, non resta che impugnare il piccone: sebbene Almodóvar ci abbia abituati da sempre ad una produzione altalenante in ispirazione e qualità, devo dire che non mi aspettavo nulla di così deludente. Nelle intenzioni la farsa rappresenta la crisi della Spagna, la metafora dell'aereo che cerca una "soluzione d'emergenza" tenendo i passeggeri di classe turistica narcotizzati sarebbe anche potente, ma lo svolgimento del tema difetta da tutte le parti. I personaggi sono eccessivamente caricaturali (basta vedere come sono raffigurati i gay...),  le situazioni sull'aereo fastidiosamente (e inutilmente) pecorecce.

Nei primi film (a cui c'è un evidente richiamo fin dalla grafica dei titoli di testa) la trasgressione era un'allegra reazione a decenni di stallo culturale, ma non era mai fine a se stessa. La crisi nei personaggi era sempre il preludio a una rinnovata consapevolezza, a un rifiuto delle convenzioni sociali sulla base dei quali reimpostare la propria vita. Qui della trasgressione è rimasta solo una crosta, rotta la quale c'è solo vuoto, volgarità e mancanza di ispirazione.

José María Yazpik e Cecilia Roth

Se volete passare un serata al cinema, fate un favore a voi e uno ad Almodóvar: andate a vedere qualcos'altro. Voi impiegherete meglio il vostro tempo e lui avrà modo di rendersi conto di aver fatto un passo falso. Il regista è bravo sempre, lo sceneggiatore solo a volte: a noi del pubblico il compito di mandargli i segnali che gli consentano di mantenere la rotta.


2013 - Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros)
Regia: Pedro Almodóvar
Musiche : Alberto Iglesias
Fotografia: José Luis Alcaine


giovedì 21 marzo 2013

Walk the line - Quando l'amore brucia l'anima


Yes, I'll admit that I'm a fool for you
Because you're mine, I walk the line

Walk the line è la biografia (parziale, arriva fin verso gli anni 70) del cantante country che ha raggiunto la più vasta fama a livello mondiale: Johnny Cash.
La sceneggiatura si basa sulle autobiografie dello stesso Cash, Man in black e Cash: an autobiography, concentrando la propria analisi sui primi, intensi, anni di carriera dell'artista.


Il titolo del film trae spunto da una delle canzoni più famose di Cash, nella quale promette alla sua amata di "rigare dritto", promessa che tutto sommato riuscì più o meno a mantenere, dando vita ad uno dei matrimoni più solidi di sempre nello showbiz americano. Nel film non si vede, però Johnny e June rimasero sposati per trentacinque anni  fino alla morte di lei, nel 2003. Johnny morì quattro mesi più tardi.

La pellicola è stata un piccolo "caso" cinematografico che ha messo d'accordo pubblico e critica: a fronte di un budget relativamente contenuto (per gli standard hollywoodiani) di una trentina di milioni di dollari, ne ha incassati circa il quintuplo ed ha raccolto una quantità impressionante di nominations a diversi premi, vincendone almeno una quindicina.

Phoenix-Cash e Witherspoon-Carter

La regia è di James Mangold (Ragazze interrotteQuel treno per Yuma, il prossimo The Wolwerine), che dirige il film con piglio deciso e asciutto mostrandoci un Cash dalla psicologia complessa, diviso fra la tensione autodistruttiva e quella verso l'amore salvifico per June Carter (artista a sua volta, proveniente da una famiglia di musicisti).
La colonna sonora è superlativa e gli attori protagonisti cantano - benissimo - in quasi tutti i pezzi; le musiche originali sono composte da T-Bone Burnett, musicista e produttore per moltissimi artisti, fra cui Bob Dylan, Robert Plant, K.D. Lang ed Elton John.
Joaquin Phoenix canta in modo sorprendentemente simile al Johnny Cash originale, di cui rende un ritratto non troppo agiografico: geniale ma pieno di difetti, dipendenze e psicosi e innamorato pazzo di una June Carter in principio dubbiosa ed infine sopraffatta dalla devozione di Johnny; June è interpretata con maestria da Reese Whiterspoon, mai vista così tanto in forma (il ruolo le varrà un "grande slam": Oscar, Golden Globe e BAFTA).
Ginnifer Goodwin interpreta la prima moglie di Cash, Vivian: un ruolo di donna prima illusa e poi delusa che sembra il casting di quello di Gigi in La verità è che non gli piaci abbastanza, che quattro anni dopo le varrà fama mondiale, almeno presso il solidale pubblico femminile

Johnny e June - quelli veri

Il film è romantico ma non melenso. Sappiate che se la vostra fidanzata vi chiede di vedere insieme a lei per la quarantesettesima volta Love Story, potete usare Walk the line come controproposta in cui ognuno può trovare ciò che cerca. Cash, pur avendo un indiscutibile talento e passione per la musica, solo nell'amore riesce a trovare un senso nella vita, rendendo possibile la riconciliazione in primis con se stesso ed in secondo luogo con la sua famiglia, in particolare con il durissimo padre. 

Questo post non è pubblicato oggi per caso: è dedicato alla mia personalissima June, che si chiama Daniela e nel suo campo è in gamba almeno quanto June Carter lo era a scrivere e cantare. Rispetto alla storia del film ho dovuto penare assai meno perchè acconsentisse al matrimonio (che si celebrerà fra qualche settimana); dal canto mio l'ho aiutata nella decisione conducendo una vita assai meno burrascosa di quella di Johnny Cash. 
L'anima però, quella brucia allo stesso identico modo.


2005 - Walk the line (Quando l'amore brucia l'anima)
Regia: James Mangold
Fotografia: Phedon Papamichael
Costumi: Arianne Phillips
Soggetto: Johnny Cash
Musiche originali: T-Bone Burnett

lunedì 18 marzo 2013

Fabrizio De André - Megu Megun - Ceci n'est pas un film



Dopo La domenica delle salme , anche il secondo video estratto dall'album Le Nuvole di Fabrizio De André porta ancora la firma di Gabriele Salvatores. Come errata corrige di quanto detto in precedenza anche in questo clip compare il cantautore, nei panni di un giocatore di domino (vedi immagine qua sopra).

Il testo è scritto in dialetto ligure (genovese, credo) ed è l'inizio della collaborazione con Ivano Fossati, che li porterà a scrivere insieme l'album successivo: Anime salve.
La canzone sceglie l'immagine dell'ipocondriacoper raccontare di un uomo che ha paura della vita, dei contatti umani, di innamorarsi e che per questo sceglie di chiudersi in casa nel tentativo disperato di trovare la pace.

Il video è interpretato da un bravo Claudio Bisio, allora trentatreenne e abituale collaboratore di Salvatores, nei panni del protagonista. A mio avviso per utilizzo delle luci, montaggio, scelta delle inquadrature lo stile registico è molto più identificabile in questo video che in quello de La domenica delle salme, insomma è quasi un "corto", con una narrazione intellegibile ed una vera e propria interpretazione.

A quanto mi risulta i video di De André sono le uniche due incursioni di Salvatores nel mondo dei clip musicali. Sarà forse per via dell'età (in quegli anni stavo passando dalle scuole superiori all'università e ascoltavo/guardavo musica a ciclo continuo), ma io li trovo memorabili!


1990 - Megu megun
Artista: Fabrizio De André
Testo: Fabrizio De André & Ivano Fossati
Regia: Gabriele Salvatores
Album: Le nuvole (1990)


giovedì 14 marzo 2013

Il grande e potente Oz: la recensione


Come vi avevo già anticipato a novembre, è regolarmente uscito Il grande e potente Oz, ultimo film di Sam Raimi con protagonista l'iperattivo James Franco.
Il film si pone come un prequel delle vicende raccontate nel film del 1939 con Judy Garland che tutti abbiamo visto da bambini, e narra di come il ciarlatano imbonitore Oscar Diggs sia arrivato nel paese di Oz.
Diversi i riferimenti all'illustre predecessore, come lo skyline della città di smeraldo quasi identico all'originale, anche la strega Teodora, verde, nasuta e dotata di scopa volante ha un profilo simile a quello sfoggiato nel passato. Come nell'originale, i personaggi che abitano il mondo "reale" del Kansas hanno un omologo nel mondo fantastico di Oz.

La fatina dell'acqua dai denti aguzzi, il mio personaggio preferito.

Lo schema di base della sceneggiatura è quello classico della fiaba, abbiamo quindi un eroe che viene catapultato in un mondo fantastico, dove dovrà compiere una importante missione. Nel suo viaggio dovrà dare fondo alle proprie risorse per superare diverse prove, troverà fedeli collaboratori e dovrà guardarsi da feroci nemici. La storia si conclude con una morale chiarissima ed educativa.
Sulla trama non c'è bisogno di dilungarsi, segnalo però che lo sforzo produttivo è stato piuttosto imponente ed ha dato ottimi risultati: nonostante il pesante utilizzo di CGI (cioè personaggi ed oggetti scenici creati al computer che si muovono nell'inquadratura) gli attori hanno recitato in un  vero mastodontico set, nel quale sono state realizzate moltissime vere scenografie (ad esempio il villaggio di porcellana), mentre gli sfondi sono stati aggiunti in postproduzione con il chroma key. Franco ha sostenuto nelle interviste che la scelta di integrare le immagini digitali con attori ed oggetti di scena reali abbia donato alla recitazione una verità che non è possibile raggiungere quando l'oggetto dell'interazione è immaginario.
Le scenografie sono spettacolari - senza però esondare dalla loro funzione - e caratterizzano bene i diversi ambienti in base a chi li abita: ad esempio Glinda vive in un posto luminoso e dai contorni morbidi, mentre la città di smeraldo è spigolosa e tutta ombre e luci.

Papaveri narcotici...mmmm...sembra interessante!

James Franco è un Oscar Diggs vanaglorioso e sbruffone, con un fantastico sorriso da baraccone. A mio giudizio per questo ruolo è meglio lui di Robert Downey Jr, ed anche di Johnny Depp, a cui la parte era stata offerta in precedenza (non sono un po' vecchi per il ruolo?): gigioneggia come loro, ma almeno ci siamo meno abituati!
Michelle Williams: è bella, è bionda e non sbaglia un film. Interviene provvidenzialmente a cavare le castagne dal fuoco quando Oscar si mette nei guai. Quante donne si identificheranno in questo ruolo di problem solver a cui tocca pure lasciare meriti ed onori allo sbruffone che si ritrova accanto??
Mila Kunis: sarà una mia impressione ma ai tempi de Il cigno nero era molto più sexy. Comunque con la sua faccia recita poco: Teodora diventa presto strega verde di bile e con tanto di cappellaccio da befana.
Rachel Weisz: probabilmente la sua è la parte più divertente: Evanora è algida, maligna, manipolatrice e comanda a bacchetta un esercito di babbuini volanti. Cosa chiedere di più?
Zach Braff: può provarci in tutti i modi, ma non si libererà mai del dottor Dorian (suo ruolo in Scrubs per dieci anni o giù di lì). La scimmietta volante che accompagna Oz è in realtà lui che ha recitato in tutte le scene per poi finire sostituito dall'immagine digitalizzata del simpatico primate.

Non puoi resistermi giovane Skywalker...volevo dire maledetto ciarlatano di un Oz!

Da Sam Raimi non mi sarei aspettato una fiaba per tutti, e invece questo suo mago di Oz è davvero un film per famiglie. All'uscita dalla sala i bambini presenti erano letteralmente entusiasti! Qua e là qualche inquadratura ci fa ricordare del Raimi re dell'horror, però la presenza del personaggio di Finley la scimmietta alata e della bambola di porcellana (interpretata sul set da Joey King, una bambina-carrarmato che a 13 anni ne ha già 7 di carriera alle spalle) regalano efficaci momenti di alleggerimento. La scena di Oscar che incolla le gambe alla bambolina è un gioiello di delicatezza recitativa.
Il film non sarà forse la stessa pietra miliare del suo predecessore, però è una scelta sicura per una serata al cinema dove si divertiranno - senza necessariamente spegnere il cervello - sia i grandi che i piccini. Un sano, gran bel film!

Il cast con Raimi

2013 - Oz: The Great and Powerful (Il grande e potente Oz)
Regia: Sam Raimi
Fotografia:  Peter Deming
Scenografie: Robert Stromberg
Costumi: Gary Jones 
Musiche: Danny Elfman


venerdì 8 marzo 2013

La cuoca del presidente


Sebbene le feste celebrative di categorie generiche come "le donne", "il papà", "la mamma" mi siano sempre parse un po' ipocrite e consumiste, mi piego al conformismo affermando che quella di oggi mi sembra la data ideale per raccontarvi qualcosa di Danièle Mazet-Delpeuch, cuoca francese che ha ispirato questo  La cuoca del presidente

Il film racconta la storia di una rinomata cuoca del Périgord, nel film il nome è Hortense Laborie, che viene chiamata dal Presidente della repubblica francese a preparare i pasti per la sua tavola personale. Fra le inevitabili le gelosie con gli chef che si occupano della mensa per i dipendenti del palazzo, la difficoltà di rapporto con i burocrati  che gestiscono l'Eliseo ed i dietologi che si preoccupano della salute del Presidente e le altrettanto immancabili soddisfazioni vissute inseme al fidato aiutante Nicolas trascorrono due anni intensi e faticosissimi, al termine dei quali Hortense decide di abbandonare il prestigioso posto di lavoro per andare a fare la cuoca in una base scientifica in Antartide, dove potrà ritrovare il senso del contatto umano ed il piacere di vedere sempre apprezzati i propri sforzi.

La cucina del Presidente

Gli interpreti sono Catherine Frot (vista ne La cena dei cretini) nel ruolo di Hortense; l'accademico di Francia, giornalista e scrittore Jean d'Ormesson  (che a 88 anni esordisce come attore) nel ruolo di un presidente della repubblica dallo sguardo ironico e penetrante; il giovane e ancora sconosciuto a livello internazionale Arthur Dupont nel ruolo di Nicolas, il pasticcere ed aiutante di Hortense.

La pellicola è stata girata nel palazzo dell'Eliseo, mentre la location scelta per rappresentare l'Antartide è in realtà l'Islanda
Nel comparto tecnico si distingue la fotografia di Laurent Dailland (Il gusto degli altri, Welcome, Il concerto), molto efficace come sempre.

Hortense fa personalmente la spesa

I produttori ed il regista decisero di girare il film dopo aver letto una articolo sulla Mazet-Delpeuch, ed in effetti la persona ha una vita interessante: proveniente da una famiglia di solide tradizioni gastronomiche (la bisnonna e la nonna erano appassionate cuoche di famiglia), dichiara di  non aver mai cucinato prima del matrimonio (a 19 anni), a 25 era già impeganata nella produzione di manicaretti per ben quattro figli. Inizia a tenere lezioni di cucina  e di confezionamento del foie-gras nel Périgord, sua terra natale. Verso i quarant'anni molla tutto, marito incluso, per andare negli Stati Uniti a tenere lezioni di cucina francese. Lì incontrerà Joël Robuchon, famoso chef che la raccomanda al presidente Mitterand, un gourmet desideroso di avere all'Eliseo una cucina tradizionale e saporita. Danièle si rivela la persona giusta, addirittura in anticipo sui tempi con la sua straordinaria attenzione all'eccellenza delle materie prime ed ai prodotti del territorio che oggi diamo per scontata, ma sul finire degli anni 80 era ancora considerata un vezzo.  Nella realtà il lavoro in Antartide lo ha fatto dieci anni dopo l'esperienza presidenziale, e non è stato così commovente come viene raccontato nel film. Oggi vive e lavora ancora nel Périgord. La donna è coriacea e riservata, ed infatti ha preteso che alcuni dettagli mostrati nel film venissero tagliati nella versione finale, per mantenere Hortense un personaggio più che una rappresentazione di lei come si sente davvero. Danièle ha affermato che il film dia una rappresentazione "onesta" di lei e della sua esperienza come cuoca presidenziale.

Danièle Mazet-Delpeuch oggi

Il film difficilmente segnerà grandi incassi in sala, ma è ben recitato, mostra piatti (lo zuccotto di cavolo e salmone, per la sua apparente semplicità realizzativa, è quello che ha attirato maggiormente la mia attenzione) il cui solo nome fa sognare di delizie gastronomiche e racconta una storia che val la pena di ascoltare. Danièle-Hortense è una donna vera, con i suoi difetti, ma appassionata e competente nel proprio lavoro, capace di decisioni difficili e assolutamente padrona del proprio destino. 

Buon 8 marzo dunque e, se decidete di non andare a vedere questo film, vi suggerisco di passare la serata,che siate uomini o donne, provando a cucinare qualcosa di speciale per le persone a cui volete bene. L'amore è un ingrediente che rende straordinario qualsiasi piatto!


2012  - La cuoca del presidente (Les saveurs du palais)
Regia: Christian Vincent
Food preparation/food stylist: Gérard Besson, Guy Leguay, Elisabeth Scotto
Fotografia: Laurent Dailland
Art Director: Fanny Stauff


martedì 5 marzo 2013

Fabrizio De André - La domenica delle salme - Ceci n'est pas un film


La recensione dell'ultimo film di Gabriele Salvatores mi dà lo spunto per continuare il discorso sul regista attraverso i suoi video musicali. Salvatores, a quanto mi risulta, ha girato soltanto due video, entrambi estratti dallo stesso album di Fabrizio De André: Le Nuvole.

Vista la temperie politica iniziamo con La domenica delle salme, uno dei testi più politici di sempre per De André, che lo scrisse pescando da uno dei suoi quaderni su cui segnava appunti in modo casuale. La canzone, che ha generato diversi esegeti, riflette amaramente sul XX secolo e di come nel corso di questo l'etica sia andata sempre più deteriorandosi a favore di un materialismo sterile. Va segnalato che l'album è del 1990: politicamente parlando si tratta di almeno due ere geologiche: tanto per dire è in quest'anno che fu scarcerato Nelson Mandela, il PCI si rinominò in PDS, Andreotti era Presidente del Consiglio e lo scandalo di Mani Pulite era ancora un paio d'anni di là da venire. Ciononostante, la canzone è ancora piuttosto attuale.

Salvatores (all'epoca sulla cresta dell'onda di Marrakech express e impegnato nella produzione di Turné) confeziona un bellissimo video intorno ad un testo che è tutto narrazione, alternando riprese vere e proprie a scene di cinegiornale e immagini tratte dalla produzione industriale, con un montaggio eizensteiniano (cioè mostra fotogrammi che illustrano il concetto pur mostrando un'immagine diversa da quanto viene pronunciato) ed a tratti segue una linea più aderente al testo della canzone.
Un video non banale, che sottolinea la complessità del testo senza che l'immagine distragga dall'ascolto, fra l'altro assume un'importanza particolare nella videografia di De André perchè è l'unico clip nel quale compare il cantautore stesso.
Nella prossima puntata vi dirò qualcosa dell'altro video di Salvatores: Mégu megún.



1990 - La domenica delle salme
Artista: Fabrizio De André
Regia: Gabriele Salvatores
Album: Le nuvole (1990)

venerdì 1 marzo 2013

Educazione Siberiana - Absolute beginners


Gabriele Salvatores, dopo i due film tratti dai romanzi di Niccolò Ammaniti, continua la sua analisi sui percorsi di formazione attraverso la trasposizione di Educazione siberiana, primo romanzo di Nicolai Lilin;  una storia di bambini (Absolute beginners di fronte alle scelte che la vita impone) che crescono in un ambiente totalmente degradato, nel quale le scelte fondamentali continuano però a fare la differenza. Una storia di uomini veri, girata fra Milano e Vilnius, da dove provengono quasi tutti gli attori.


Trama
Kolima e Gagarin sono due bambini che crescono nel ghetto dei siberiani deportati in Transnistria negli anni a cavallo della caduta del muro di Berlino. La comunità siberiana è composta da autodefiniti "criminali onesti", dotati di un rigido codice d'onore e di tradizioni che ne definiscono l'identità, ed è guidata dal nonno di Kolima, nonno Kuzya, temuto e rispettato da tutti, rigido guardiano dell'ortodossia criminale dei siberiani (vietati stupri e sfruttamento della prostituzione, il traffico di droga, lo strozzinaggio, i proventi dei furti devono andare a beneficio di tutta la comunità e il denaro non può essere conservato in casa). Nonno Kuzya cresce Kolima educandolo al rispetto delle regole. Il migliore amico di Kolima, Gagarin, rappresenta invece la ribellione all'ordine costituito. Crescendo entrambi vengono attratti da una ragazza mentalmente disturbata, Xenya, che come tutti i matti gode di particolare rispetto da parte dei siberiani. Crescendo i caratteri dei due amici entrano sempre più in collisione, le rispettive scelte di vita li porteranno l'uno contro l'altro, fino all'unico epilogo possibile.


Intepreti:
John Malkovich: giganteggia nel ruolo del nonno Kuzya, un vero maestro di vita, depositario di una morale forse deviata ma granitica, enunciata attraverso aforismi definitivi: "un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare", "la dignità una volta persa non si può più ritrovare". Arnas Fedaravicius è Kolyma "adulto", un ragazzo che - grazie agli insegnamenti del nonno - ha sempre un sistema di valori a cui fa riferimento e riesce perciò a mantenere una sorta di leggerezza di fronte a qualsiasi bruttura. Vilius Tumalavicius interpreta invece Gagarin, il personaggio che "può fare qualsiasi cosa perchè non crede in niente"; scoprirà che il vuoto di valori porta al non-senso della vita e che la ricchezza non dà la felicità, come ben rappresentato dalla parabola dei lupi. Eleanor Tomlinson (che rivedremo fra poco nel Cacciatore di giganti di Bryan Singer), molto convincente nel ruolo, è una Xenya quasi più esile nel fisico che nella psiche. E' lei - cherchez la femme, toujours - a catalizzare la dinamica fra Gagarin e Kolima e sarà sempre a casa sua che l'amicizia fra i due troverà epilogo. Peter Stormare è Ink, il maestro di tatuaggi (un aspetto fondamentale della cultura dei criminali onesti), semplicemente splendido. Infine una citazione anche  per il bravissimo Arnas Sliesoraitis, attore che interpreta il Kolima ragazzino sgranando gli occhi di fronte agli insegnamenti del nonno.


Conclusioni
Questo è un film che non si può non apprezzare. Lontanissimo dagli stereotipi del solito cinema italiano,ci racconta (finalmente!) una storia universale ed è curato fin nel minimo dettaglio da una crew di collaboratori abituali di Salvatores. Bellissima la fotografia di Petriccione, ma curatissimi anche i costumi. Ogni inquadratura è studiata nei particolari, ma il gusto estetico viene sempre tenuto al servizio del film, senza un'ombra di compiacimento.
Certo, la morale dei criminali siberiani segue un'etica di violenza (mai di sopraffazione, però), ma il rifiuto di regole e radici per inseguire ricchezza e potere alla fine portano Gagarin a vivere sulle montagne della Cecenia, braccato come una bestia e probabilmente desideroso di incontrare la morte. Mantenere la propria identità e conservare un sistema di valori che può anche evolversi ma non negarsi alla base è  invece la strada che segue Kolima; la dignità una volta persa non si recupera mai più.
Chissà che non sia un suggerimento provvidenziale, quello del film di Salvatores, che giunge a puntino in questo strano momento, in questo strano Paese.


2013 - Educazione siberiana
Regia: Gabriele Salvatores
Fotografia: Italo Petriccione
Scenografia: Rita Rabassini
Costumi: Patrizia Chericoni