domenica 30 dicembre 2012

Margin Call - It's the end of the world as we know it


Margin Call di J.C.Chandor è un progetto "piccolo" (è costato tre milioni e mezzo di $), ma di indubbio valore artistico: si è guadagnato una nomination agli ultimi Oscar per la migliore sceneggiatura ed un'altra al festival di Berlino per il miglior film (riconoscimento poi andato a Cesare deve morire dei fratelli Taviani), inoltre ha incassato worldwide oltre sedici milioni, rivelandosi un investimento di gran lunga migliore di quelli di cui si parla nella pellicola.
Chandor, alla prima esperienza sul grande schermo dopo una carriera nel mondo della pubblicità, ripercorre attraverso una "piccola storia di uomini" il cruciale momento in cui si è scatenata la crisi finanziaria le cui conseguenze patiamo (e temo patiremo) ancora. Lo stile non è documentaristico ma proprio per questo la pellicola si permette di alludere a fatti, personaggi e aziende reali, ben sapendo di dare una rappresentazione veritiera proprio in quanto frutto dell'immaginazione invece che di una cronaca che sarebbe necessariamente imprecisa.

Quinto e Badgley annichiliti dalla velocità del licenziamento di Tucci

La trama è semplice, viviamo una giornata importante in una grande banca d'affari: un team di tagliatori di teste licenzia in modo repentino il capo dell'ufficio rischi (Stanley Tucci, di film in film mi sembra sempre più bravo). Questi prima di essere accompagnato alla porta riesce a passare ad uno dei giovani analisti che lavorano con lui (Zachary Quinto, il Dr. Spock di di Star Trek - Il futuro ha inizio) una chiavetta USB con alcuni importanti files a cui stava lavorando. Il giovane analista ci impiega poco a rendersi conto che i dati riguardano la eccessiva esposizione su prodotti derivati (MBS, sta per Mortgage-backed securities, in sostanza dei titoli ad alto leverage garantiti da mutui immobiliari. Se mi scrivete in privato posso tentare di spiegarvi cosa vuol dire!). Ovviamente lo racconta al capo, che ne parla al direttore, che ne parla al capo-divisione che consulta l'amministratore delegato; insomma nell'azienda si scatena il panico. Nel corso di una riunione notturna viene deciso che la banca venderà i titoli "tossici" nel corso della mattinata successiva, anche sottocosto se necessario, poichè una tale mole di vendite renderà comunque i titoli carta straccia in poche ore. Come conseguenza si renderà necessaria una ristrutturazione aziendale che porterà al licenziamento di moltissimi impiegati.

""Ragazzi, me raccomando: nun me fate fà figure de...."

Il film è corale, i personaggi principali sono Peter Sullivan (Quinto), il suo dirigente Sam Rogers (Kevin Spacey, in palla come sempre). Alcune digressioni ci raccontano qualcosa anche di Will Emerson (Paul Bettany, il Silas di Il codice Da Vinci, molto bravo), di Jared Cohen (Simon Baker da The Mentalist, convincente), Jeremy Irons è un John Tuld, l'amministratore delegato, al tempo stesso spietato e distaccato. 
Il punto di vista varia da quello stranito dei giovani Sullivan e Bregman a quello disincantato e rassegnato di Rogers e Dale (Tucci) a quello gelido di Cohen e Tuld. Demi Moore è invece Sarah Robertson, head del risk department, prima fredda e professionale per ritrovarsi in seguito affratellata a Dale, da lei licenziato il giorno precedente.
La pellicola ha il pregio di restituire un'ottima immagine di quelle che sono le dinamiche e la tipologia di rapporti che si creano all'interno di una grande azienda; detto per inciso pur guardandosi bene dal dichiararlo esplicitamente la vicenda che vediamo rappresentata è ispirata al comportamento tenuto dalla Goldman Sachs, famosa (e in molti ambienti famigerata) banca d'affari newyorchese.
Va comunque detto che non è la banca del film a "creare" la crisi in modo artificioso: la fine del mondo non arriva perchè lo decide una banca, ma state pur certi che se arriva loro proveranno a guadagnarci su qualcosa!

Spacey: "Svendete tutto e poi  buona fortuna"

Il film non si lascia andare a facili moralismi: la banca licenzia i propri collaboratori più fedeli senza il minimo scrupolo,eppure molti di essi vi si affezionano. I traders fanno un lavoro "sporchetto", ma in fondo i loro clienti non sono meglio di loro. Come Chandor fa dire ad Emerson, se c'è qualcuno che chiede il guadagno facile, è probabile che ci siano altri che si ingegnano di procurargli gli strumenti adatti. 
Il film non ci spiega il perchè della crisi, ci mostra dal punto di vista umano, com'è che siamo arrivati fino a qui. E' l'uomo ad essere fatto così? Probabilmente sì, anche se non tutti quanti. Chiudiamo dunque un 2012 difficile (ad esempio per me lo è stato, non solo sotto il profilo economico-lavorativo) e ripartiamo da zero con la consapevolezza che solo il lavoro serio paga nel lungo periodo: il mio augurio per l'anno entrante e per i successivi è di lavorare bene e con soddisfazione. Il resto verrà.
Buon 2013 a tutti!

Più belli  e sorridenti da attori che da finanzieri


2012 - Margin Call
Regia e sceneggiatura: J.C. Chandor
Scenografia: John Paino
Fotografia: Frank DeMarco
Costumi: Caroline Duncan


venerdì 21 dicembre 2012

Bones - Ceci n'est pas un film


Come i più assidui lettori ormai sapranno non perdo occasione per ribadire la mia ammirazione per Tim Burton, uno dei registi più originali e creativi di sempre.

Nel 2006 i Killers fecero uscire il loro secondo album Sam's town (un momento delicato per tutte le band che hanno fatto un grosso successo con il primo); per il video del secondo singolo estratto, Bones, si affidarono a Tim Burton. La collaborazione (che è continuata con il recentissimo video di Here with me con Winona Rider, di cui riparleremo presto) è particolarmente azzeccata dal punto di vista artistico. Trovo che l'universo burtoniano si sposi particolarmente bene con le atmosfere un po' anni 80 dei Killers, i cui testi peraltro sono a volte parecchio inquietanti, ad ascoltarli con attenzione.

Il video di Bones è un vero e proprio attestato di amore per il cinema, vi compere una giovane coppia - lei è la superstilosa modella Devon Aoki - in un cinema drive in (scene girate in un vero Drive In di Las Vegas), intenta a guardare un film. Sullo schermo vengono di volta in volta proiettate scene di film di culto come Lolita, La creatura della laguna nera e Gli argonauti (con gli effetti speciali di Harryhausen, uno dei miti ispiratori di Burton). 
La giovane coppia viene poi mostrata su una spiaggia (citazioni da 10 e  Da qui all'eternità), dove quando iniziano a togliersi i vestiti rimangono solo gli scheletri, che nuotano, si amano e si corrono romanticamente incontro.
In un continuo cambio di piano narrativo i personaggi in azione e quelli sullo schermo sono di volta in volta i Killers stessi che  suonano, la nostra coppia di innamorati e scene tratte da film. 

La visione di Burton aggiunge ancora qualcosa al senso della canzone: i due innamorati quando sono insieme sono nudi fino all'osso, senza alcun tipo di filtro. Una visione romantica che passa attraverso un immaginario che potremmo definire horror, insomma una poetica ed una estetica tipicamente burtoniane.

La canzone già di suo è bella, il video lo trovo molto autoriale e perfettamente aderente allo scopo, in una parola: superlativo!






2006 - Bones
Artista: The Killers
Regia: Tim Burton
Album: Sam's town



giovedì 20 dicembre 2012

Lo Hobbit - un viaggio inaspettato


Fin dalla felicissima conclusione della trilogia de Il Signore degli anelli (Il ritorno del re si aggiudicò tutte le 11 statuette alle quali era candidato) la voglia di sfruttare il filone Tolkien con una riduzione cinematografica de Lo Hobbit aveva portato ad ipotizzare una prosecuzione del franchise con due film prequel di quanto mostrato nella trilogia. Tuttavia l'impegno richiesto dall'impresa non poteva essere sottovalutato: la cosmogonia immaginata da Tolkien è complessa e molto articolata e l'impegno artistico (per non parlare di quello finanziario) richiesto estremamente stressante. I problemi legali di Jackson con la New Line cinema, che aveva prodotto The Lord of Rings, fecero sì che - in un primo momento - la nuova serie dovesse essere diretta da Guillermo Del Toro (Mimic, Blade II, i due sottovalutati Hellboy). I reiterati ritardi nell'inizio della lavorazione portarono però alla rinuncia di Del Toro ed al re-ingaggio di Jackson.

Ian Mc Kellen - Gandalf Il Grigio

Lo Hobbit doveva inizialmente articolarsi in due film, in modo aderente alla scansione dell'opera letteraria, a produzione già iniziata è stato invece deciso di mantenere il format della trilogia: Un viaggio Inaspettato è quindi il primo di tre capitoli: nel 2013 vedremo La desolazione di Smaug e l'anno successivo There and back again, per il quale non mi risulta sia già stato approvato un titolo italiano.
Dal punto di vista produttivo si sono dovuti risolvere diversi problemi, primo fra tutti quello legato alle locations: per problemi sindacali-legali abbiamo rischiato di non poter godere dei meravigliosi paesaggi neozelandesi (Wellington e Matamata), inoltre alcune parti hanno dovuto per forza essere girate in Inghilterra (nei Pinewood studios) in modo da vedere ancora Christopher Lee nei panni di Saruman (all'attore, novantenne, non si poteva chiedere di sobbarcarsi il viaggio fino agli antipodi).

Nani che fanno bisboccia

La trama è ambientata circa sessanta anni prima delle vicende narrate nella Compagnia dell'anello e raccontano di un pacifico e pigro hobbit, Bilbo Baggins, che viene cooptato dal mago Gandalf per unirsi ad una compagnia di tredici nani impegnati nella riconquista del proprio regno, dal quale sono stati scacciati dal drago Smaug. Nel film vengono integrate alcune parti prese da altre opere di Tolkien e aggiunti alcuni personaggi che non compaiono nel libro (come Galadriel e Frodo), ma che sono funzionali a dare continuità al franchise.
Molte delle caratteristiche dell'universo raccontato da Tolkien vengono date un per acquisite, il film non si sofferma molto sulla presentazione dei personaggi, scopriamo sì qualcosa di più sul mondo dei nani, ma elfi ed hobbit ed i complessi rapporti fra i diversi popoli che abitano la terra di mezzo non vengono spiegati in alcun modo, se non per l'inimicizia che storicamente divide i nani e gli elfi.
Completamente diverso il contesto narrativo: se il Signore degli anelli narrava di un mondo in crisi nel quale ci si avviava ad una resa dei conti definitiva fra il Bene ed il Male, lo Hobbit racconta di come vennero poste le basi per l'ascesa di Sauron. Emblematico in questo senso che il popolo degli Uomini, il popolo del futuro per la Terra di Mezzo, qui non compaia per nulla.

Fra gli interpreti nessun nome di grido, a parte i personaggi già comparsi nella prima trilogia. Il ruolo del protagonista, Bilbo Baggins, se lo è aggiudicato Martin Freeman (già apprezzato Dr. Watson nell'originale Sherlock televisivo), Andy Serkis torna a donare voce e movenze al Gollum, oltre ad essersi guadagnato "sul campo" anche il ruolo di regista della seconda unità. Benedict Cumberbatch (anche lui proveniente da Sherlock, ma già avvezzo a grandi produzioni per il grande schermo) dona voce e e movenze al Negromante.
Una curiosità: l'attore Richard Armitage, che interpreta il principe dei nani Thorin, è nella realtà alto più di un metro e novanta!


Sylvester McCoy - Radagast

Lo Hobbit è un 'opera che "a prescindere" non ha né l'organicità né la complessità della trilogia dell'anello, si può in qualche modo interpretare come una prova generale per Il signore degli anelli. Anche nella versione cinematografica mi pare si sia deciso di puntare le carte migliori non sullo sviluppo dell'intreccio, bensì nell'accuratezza della realizzazione. I costumi, ad esempio, sono realizzati con cura molto maggiore che non nei tre capitoli precedenti, i nani sono tutti e tredici caratterizzati con abiti che ne rispecchiano professione, posizione sociale ed a volte anche le avventure passate (uno ha un'ascia impigliata nell'acconciatura, segno delle battaglie passate), la parrucca di Thorin, il principe, è realizzata con capelli umani, al contrario delle altre che sono fatte con peli di animale. Straordinaria la resa di visuale del mago Radagast, la cui missione di guardiano dei boschi è perfettamente integrata nell'abbigliamento, che vive su di lui.

Per gli effetti speciali Jackson si è affidato a Joe Letteri, con cui aveva già collaborato in passato, e che nel frattempo ha lavorato in film come I, robotAvatar e Le avventure di Tintin.
Le differenze di dimensione fra i personaggi (Gandalf è molto più alto dei nani, che a loro volta sono più grossi e tozzi degli hobbit) sono state gestite imbottendo i costumi degli attori per cambiarne le proporzioni fra le varie parti del corpo. Le scene in cui compaiono personaggi di razze sono state riprese contemporaneamente su due set paralleli, uno a "grandezza naturale", l'altro al chroma key (cioè davanti allo schermo verde).

Lo Hobbit si è già guadagnato un posto nella storia del cinema in quanto primo film girato con tecnologia a 48 fotogrammi per secondo (da sempre i film sono girati a 24 fps); a mio parere questa innovazione, che dovrebbe mantenere più a fuoco le immagini in movimento, ha  il pregio di annullare quasi del tutto il fastidioso effetto "mal di mare" del 3D, che pure - al solito -  non aggiunge molto dal punto di vista artistico. 


Cate Blanchett - Galadriel e Peter Jackson

In sintesi una buona pellicola di intrattenimento orientata al pubblico dei ragazzi, con molta azione, avventura, e violenza spettacolarizzata; gli aspetti allegorici e "filosofici" (la corruzione del potere, l'importanza del rispetto per la natura, la difficoltà di mantenere fede alle proprie scelte) che hanno reso grande Il Signore degli Anelli qui sono appena abbozzati. Va però tenuto in conto che si tratta del primo di tre capitoli, è lecito aspettarsi che alcune tematiche possano essere meglio sviluppate nei film seguenti.
Ottimo per occupare in modo più che soddisfacente un pomeriggio (un intero pomeriggio, il film dura quasi tre ore) vacanziero, e magari farsi venir la voglia di leggere il libro nell'attesa delle prossime puntate.




2012 - The Hobbit: An Unexpected Journey (Lo Hobbit: un viaggio inaspettato)
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura: Peter Jackson, Guillermo Del Toro, Philippa Boyens, Fran Walsh
Fotografia: Andrew Lesnie
Costumi: Ann Maskrey
Effetti speciali: Joe Letteri




lunedì 17 dicembre 2012

The lone ranger - Read and be ready


Il regista Gore Verbinski e il produttore Jerry Bruckheimer, dopo aver realizzato i primi tre capitoli della saga Pirati dei Caraibi, tornano insieme in una pellicola che riprende uno storico personaggio della radio prima e della TV negli anni 50: The lone ranger.
Ignoro se in Italia sia mai stato programmato e se abbia avuto successo, di certo io non mi ricordo di averlo mai visto. Comunque, il personaggio è quello di un ranger del Texas, non poi tanto solitario, visto che è sempre accompagnato dal fido cavallo bianco Silver e dall'indiano Tonto (absit iniuiria verbis), in compagnia dei quali cavalca nel west per combattere l'ingiustizia.
Il ranger Reid, è fra l'altro destinato ad essere l'antenato di un vero e proprio supereoe: Green Hornet, che altri non è se non Britt Reid, bisnipote del cavaliere solitario che - guardacaso - come lui si nasconde dietro una mascherina e si fa aiutare da una spalla "non bianca", Kato (nei telefilm interpretato da un giovane Bruce Lee).

Ma torniamo a noi: il film ripropone la vicenda della nascita del personaggio: alcuni rangers, comandati dal capitano Reid vengono abbattuti in un'imboscata ad opera del cattivo Butch Cavendish (il personaggio però nei telefilm si chiamava "colonnello Smith"). Uno di essi, il fratello minore del capitano,  sopravvive e viene salvato da un pellerossa di nome Tonto, che più tardi gli consiglierà,per meglio compiere la propria vendetta, di "restare morto" e salvaguardare la propria privacy nascondendosi dietro alla maschera, poeticamente confezionata utilizzando gli abiti del defunto fratello maggiore. Il lone ranger viene quindi alla luce come un eroe mascherato, di cui si dice non possa essere ucciso in combattimento, essendo tornato dal mondo dei morti.

Ieri così...

Spettacolari le locations selezionate: lo Utah, con gli incredibili paesaggi modellati dal vento all'interno del famoso Arches National Park, ma anche New Mexico e California.

Come già sperimentato nel franchise dei Pirati dei Caraibi, il registro è avventuroso ma con un certo gusto per l'umorismo e l'ironia.
Il personaggio principale è affidato ad Armie Hammer (The social networkJ. Edgar), che dopo il principe belloccio di Biancaneve di Tarsem Singh ha un'altra occasione per dimostrare caratura da protagonista; Johnny Depp,  dopo il capitano Sparrow  si toglie la soddisfazione di inventare una nuova fantasmagorica mascherata nel ruolo di Tonto. I ruoli femminili sono appannaggio di Helena Bonham Carter e Ruth Wilson (la psicopatica-killer Alice Morgan del serial TV Luther). Date le premesse possiamo sperare in grandi e divertenti interpretazioni, vedremo e giudicheremo a tempo debito!

...oggi colà!

A causa dello stratosferico budget previsto, di ben 255 milioni di dollari, ed alle conseguenti difficoltà nel reperire questo oceano di denaro, l'uscita del film è stata più volte rinviata.
Prevista originariamente per il 21 dicembre 2012, la release è stata rimandata in un primo momento a maggio 2013, ed è attualmente annunciata per il 3 luglio (negli USA). In Italia spero che non lo vogliano stroncare mandandolo allo sbaraglio nel periodo estivo, sarebbe invece un ottimo titolo per movimentare il rientro dalle vacanze.

La visione del trailer mi lascia fiducioso che si tratti anche questa volta di un grande spettacolo, per di più girato nel mio beneamato formato anamorfico e non in 3D!



2013 - The lone ranger
Regia: Gore Verbinski
Fotografia: Bojan Bazelli
Scenografia: Jess Gonchor
Musiche: Hans Zimmer




venerdì 14 dicembre 2012

Director's ads - Banca di Roma / Fellini 3


Concludo l'excursus sulle pubblicità felliniane con i tre spot girati nel 1992 per la Banca di Roma.
Si tratta di tre spot che ripropongono gli stessi protagonisti: Paolo Villaggio nel ruolo di un dirigente d'azienda alle prese con sogni ed ossessioni e Fernando Rey in quello del suo psicanalista.
Come visto in precedenza, Fellini gira i commercials come se fossero dei veri e propri corti, affidandosi ad una crew di valore tecnico-artistico assoluto.


Il sogno della galleria è il primo spot, in cui Villaggio sogna di essere al volante di un'automobile che percorre una galleria, che ad un tratto inizia a crollargli addosso.



Ne Il sogno del leone in cantina Villaggio sogna la bionda e giunonica vicina di casa di quando era bambino (Ellen Rossi Stuart, madre di Kim, anche se in base alle mie ricerche per l'anagrafe dovrebbe chiamarsi Klara Müller), ad un certo punto compare un leone piangente. Vabbè...forse non c'è bisogno di Freud per l'interpretazione!



L'ultimo spot è Il sogno del dejeuner sur l'herbe in cui Villaggio si trova ad un picnic insieme a una giovanissima (alle'epoca ventunenne) e splendida Anna Falchi, per scoprire di essere incastrato sulle rotaie di un treno a vapore lanciato a tutta velocità!


In tutti e tre i casi lo psicanalista conclude lo spot affermando di essere in grado di risolvere problemi psicologici, mentre per tutto il resto ci può pensare....la Banca di Roma (non faccio pubblicità perchè l'ente non esiste più)!

Intervistato sul rapporto fra arte e commercio, Fellini rispose così:
"Io non offro messaggi, sono solo un creatore di immagini, e quindi posso fare il madonnaro come le foto tessere, ma non mi sento un "venditore" ne' palese ne' occulto. Pero' organizzo il lavoro con lo stesso impegno di un vero film, con i miei consueti tecnici, con un operatore come Giuseppe Rotunno. Sono felice di questa committenza: per la prima volta mi sento come Michelangelo, l' artista rinascimentale che aveva alle spalle Papi e Granduchi, col vantaggio che i banchieri lasciano liberta' creativa, non vengono neppure a vedere come vanno i lavori alla Cappella Sistina. Spero che a questo incontro ne seguano altri, magari per raccontare la Venezia sotterranea o Napoli: citta' che appartengono a un' altra dimensione"


Nella ricerca dei filmati da includere nel post mi sono imbattuto in questo interessante backstage, in cui appare il mecenate committente, un "giovane" Cesare Geronzi, all'epoca già più vicino ai 60 che ai 50, oltre al vedersi il lavoro delle maestranze di cinecittà e - ovviamente - anche il Maestro mentre dirige Anna Falchi.


I tre spot sono molto belli, ed hanno indiscutibilmente una coerenza con l'opera di Fellini ed un valore artistico che va molto al di là della funzione per cui sono stati creati.



Spot: Il sogno della galleria, Il sogno del leone in cantina, Il sogno del dejeuner sur l'herbe
Anno 1992
Prodotto: Banca di Roma
Regia: Federico Fellini
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Scenografia: Antonello Geleng
Musica: Nicola Piovani
Montaggio: Nino Baragli



mercoledì 12 dicembre 2012

All the way to Reno - Ceci n'est pas un film



Avete presente Michael Moore, il regista di Bowling a Columbine e Sicko? Anche se non lo avreste mai detto si è cimentato anche in alcuni video musicali per i Rage Against The Machine, i System Of A Down e anche in questo famoso video per gli R.E.M.

Il video è stato girato nel 2001, precedentemente al successo planetario ottenuto da Bowling for Columbine e anche prima delle grandi polemiche suscitate da Farenheit 9/11. 

Il video, particolarmente azzeccato rispetto al testo della canzone,fu girato al Bishop Ford Central Catholic High School di Brooklyn (NYC), utilizzando come operatori quattro studenti della zona. L'atmosfera è quella di un concerto e di una visita dei R.E.M. all'interno della scuola, all'interno della quale vengono mostrati alcuni siparietti ironici, come il chitarrista ed il bassista che entrano armati dei propri strumenti nell'ufficio di job placement della scuola per uscirne armati di una scopa e di una pala, o Michael Stipe - il cantante - che "ruba" megafoni e microfoni per ricordare agli studenti che se rimarranno fedeli a se stessi ed avranno il coraggio di seguire i tuoi sogni, saranno delle star!
Il taglio della clip è quello tipico di Moore, cioè il documentario a tesi, ed ha il pregio di mostrarci l'interno di una scuola americana popolata di adolescenti sgraziati, un po' come in tutto il resto del mondo.
La canzone è molto bella ed il video - a suo modo - poetico. Il connubio fra il grande critico della società americana e la più grande band di "College rock" a mio avviso è perfettamente riuscito.
E a voi piace?




2001 - All The Way To Reno (You're Gonna Be A Star)
Artista: R.E.M.
Regia: Michael Moore



lunedì 10 dicembre 2012

Di nuovo in gioco - Blues before sunrise


Dopo aver annunciato il proprio ritiro dalle scene come attore, Clint Eastwood ritorna sui suoi passi in Di nuovo in gioco, pessimo titolo italiano per Trouble with the curve una espressione da baseball intraducibile nella nostra lingua ma che si riferisce a quel punto debole che tutti abbiamo che ci impedisce di essere "campioni".
Prima premessa: si tratta di un film con Clint, non di Eastwood. Il regista è infatti Robert Lorenz, uno dei collaboratori storici di Eastwood, normalmente in veste di produttore. Come disse Francesco De Gregori, tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi.
Seconda premessa: non è un film sul baseball più di quanto Gran Torino lo fosse sul giardinaggio, lo spettatore non si lasci scoraggiare dallo sport più noioso del mondo, è del tutto marginale.
Avvertenza numero tre: sì, sono tutti e due burberi, ma chi vi dice che il personaggio di Eastwood è uguale a quello di Walt in Gran Torino o non ha visto tutti e due i film o è un cretino, tanto per parlar chiaro.


Il film racconta le vicende di Gus Lobel (Eastwood), un talent scout ormai a fine carriera che lavora per una squadra  di baseball professionistico. Dal momento che ha problemi con la vista Pete (John Goodman), dirigente della squadra e vecchio amico di Gus chiede alla figlia di questi, Mickey (Amy Adams, in forma smagliante) di accompagnarlo in North Carolina per valutare l'acquisto di una stella della squadra locale. Mickey sta facendo carriera in un prestigioso studio legale e non vorrebbe partire, ma alla fine cede per avere un'ultima occasione di dialogo col padre, che è di carattere piuttosto burbero. Una volta arrivati in loco  i due incontrano Johnny (Justin Timberlake, sempre più a suo agio sul grande schermo), un ex atleta scoperto da Gus che a seguito di un nfortunio sta tentando di divenire telecronista per la squadra dei Red Sox. In segreto Phillip (Matthew Lillard), un altro dirigente della squadra per cui lavora Gus patito delle statistiche elaborate al computer, invia un suo osservatore.
Fra riavvicinamenti e incomprensioni i personaggi si ritroveranno infine ad Atlanta nello stadio dei Braves (la squadra di Gus) dove tutti i nodi verranno al pettine.


Per chi si aspetta la profondità e la poesia degli ultimi lavori di Eastwood, be' vi state sbagliando! Trouble with the curve è un pranzo in trattoria: piatti tradizionali e nessuna alzata di ingegno, in compenso è realizzato con mestiere e all'uscita dal locale lascia sazi e soddisfatti.
Clint a 82 anni sa benissimo come rappresentare il vecchio orso che perde qualche colpo ma non lo vuole ammettere, prima di tutto con se stesso. Il tema portante del film, tuttavia, è il rapporto padre-figlio e l'avvicendarsi nel grande cerchio della vita, con i figli che, prova e riprova, capiscono finalmente qual'è la propria strada, e la imboccano con decisione: sono padre e figlia Gus e Mickey (grande alchimia fa Eastwood e la Adams), sono padre figlio in qualche modo anche Gus e Johnny (l'uno è creatura dell'altro) sono padre e figlio nella vita Clint Eastwood-Gus e il giocatore con la nostalgia della mamma Scott Eastwood-Billy. La descrizione del rapporto fra padre e figlia, fatto di inevitabili incomprensioni, conflitti di caratteri in realtà simili e ricerca di attenzione ed approvazione da parte del poco comunicativo genitore strapperà qualche lacrima a diverse fanciulle in sala.


I temi trattati dal film sono quelli da sempre cari ad Eastwood: tradizione, famiglia, difficoltà di comunicazione e sospetto per la tecnologia quando si sostituisce all'uomo invece di aiutarlo. L'osservazione, anche con le orecchie se necessario, ma io direi soprattutto col cuore, non può essere sostituita dalla fredda statistica (che fra l'altro è sempre una interpretazione ndr).
Verso il finale il film sbraca un po' troppo nel buonismo da favola moderna, ma nel complesso si tratta di un'ora e cinquanta sì di stereotipi ma piacevoli e rassicuranti, un po' come il blues che ascoltano Mickey e Johnny: si sa già com'è ma in fondo la sua forza è proprio di essere uguale a se stesso ma tutte le volte un po' diverso, e poi...funziona sempre!



2012 - Trouble with the curve (Di nuovo in gioco) 
Regia: Robert Lorenz
Sceneggiatura: Randy Brown
Fotografia: Tom Stern


venerdì 7 dicembre 2012

Director's Ads - Campari / Fellini 2



Faccio ammenda per l'errore di cronologia, in realtà il debutto nel mondo della pubblicità di Federico Fellini avvenne nel 1984 (un anno prima rispetto allo spot per la Barilla) con uno spot per la Campari per realizzare il quale  il maestro si avvalse di una crew di valore mondiale: Dante Ferretti (scenografia), Ennio Guarnieri (fotografia), Bernardino Zapponi (sceneggiatura), Nicola Piovani (musica).

Fellini propose alla Campari ben sette diversi script (sarebbe interessantissimo sapere come erano quelli scartati!), fra cui venne scelto quello di Che bel paesaggio in cui ci troviamo nello scompartimento di un treno in cui ci sono solo due viaggiatori: una ragazza bionda (Silvia Dionisio, vista in Amici miei) ed un tipo barbuto (Victor Poletti, già con Fellini in E la nave va) dal sorriso inquietante che assomiglia un po' al gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie.
La ragazza si annoia e, usando la finestra come se fosse lo schermo di una TV, con un telecomando fa una sorta di zapping fra diversi paesaggi. Dopo averne visti diversi si stufa, allora il suo compagno di viaggio prende il telecomando e mette sul paesaggio di Piazza dei Miracoli a Pisa, dove fra i monumenti campeggia una enorme bottiglia di Campari. In quel momento arriva una hostess che offre da bere ai viaggiatori.

L'atmosfera onirica e grottesca è di matrice marcatamente felliniana, fra le varie curiosità segnalo la minuziosa realizzazione delle enormi maquette dei paesaggi: 7 metri di altezza 14 di larghezza, più o meno tre volte la grandezza abituale per questo tipo di manufatto.

Lo spot, anche per il debutto in pubblicità di Fellini, ebbe grandissima risonanza, la notizia venne persino riportata sul Financial Times ed il MoMA di New York ne chiese i negativi per il proprio archivio!



Spot: Che bel paesaggio
Regia: Federico Fellini
Prodotto: Campari
Anno: 1984



giovedì 6 dicembre 2012

Zero Dark Thirty - Read and be ready


Gli appassionati dei film di guerra dovrebbero tutti aver visto The Hurt Locker di Kathryn Bigelow (Pointbreak, Strangedays), non solo perchè fu un vero "caso" nella storia del cinema, che partendo da un budget di "soli" quindici milioni di $ vinse ben sei Oscar sbaragliando inaspettatamente  la concorrenza di blockbusters come Bastardi senza gloria, Avatar, An education e Up, ma soprattutto perchè dà una rappresentazione assolutamente veritiera (in spirito, non sempre è realistica) di cosa significa operare in teatri di operazione così complicati come l'Iraq. Per chi apprezza il coté artistico ed esistenziale, invece, è la perfetta parabola del credere ai propri sogni: la regista Bigelow ed il giornalista-sceneggiatore Mark Boal grazie al successo di un film quasi autoprodotto si sono guadagnati da parte della Annapurna Pictures di Megan Ellison (figlia del fondatore di Oracle Larry Ellison) un'apertura di credito di ben cinquanta milioni per girare Zero Dark Thirty, una sorta di docufiction sull'operazione che ha portato all'uccisione di Osama Bin Laden.


Il titolo del film riprende un espressione militaresca per indicare "il cuore della notte", il momento in cui vengono sferrate le operazioni top secret. Il progetto ha radici piuttosto antiche perchè regista e sceneggiatore hanno lungamente lavorato ad uno script sulla battaglia di Tora Bora, la località dell'Afganistan dove si suppone sia rimasto nascosto Bin Laden dopo l'invasione da parte degli Stati Uniti. La notizia dell'uccisione dell'uomo più ricercato del mondo ha scompaginato i piani, facendo sì che l'attenzione si spostasse su una delle operazioni di search and destroy più lunghe della storia (virtualmente dal settembre 2001 fino al maggio2011). Il lavoro di documentazione  non è di certo andato perduto ed il film promette di essere una ricostruzione dei fatti tanto fedele che il Presidente Obama è stato addirittura accusato di aver concesso alla Bigelow l'accesso a documenti classificati; l'argomento è stato a più riprese utilizzato durante la recente campagna elettorale, tuttavia non sono emerse prove a suffragio delle accuse portate. 



Se in The Hurt Locker Bagdad era stat ricostruita in Giordania, in Zero Dark Thirty il Pakistan ed in particolare il famoso compound di Abbottabad sono stati ricreati a Chandirgah in India, dove - per non farsi mancare nulla - vi sono state proteste detatte da odio anti-pakistano (un po' come se girassero un film sul Grande Torino nella sede della Juve...è una cosa che non si può fare!).

Gli interpreti principali sono Joel Edgerton, già apprezzato in Warrior e prossimamente ancora sugli schermi con Il grande Gatsby, e Jessica Chastain (The tree of life, The Help, Lawless).

La Bigelow è donna di grande capacità e con i piedi molto per terra, se il film - come credo - manterrà ciò che promette si tratta di una potenziale pietra miliare nel genere del war movie.
Previsto in uscita per il 10 gennaio per chi - come me - non sa resistere ai film di guerra o a quelli di ricostruzione storica.





2013 - Zero Dark Thirty 
Regia: Kathryn Bigelow
Fotografia: Greig Fraser
Scenografie: Jeremy Hindle
Sceneggiatura: Mark Boal


martedì 4 dicembre 2012

Una famiglia perfetta - Last Christmas


A Natale siamo tutti più buoni, ci si ritrova con i parenti, si sta insieme e spesso si scopre che non è un caso che ci si veda così poco tutto il resto dell'anno!
Sarebbe così, se ci fosse, una introduzione per Una famiglia perfetta di Paolo Genovese (La banda dei Babbi Natale, i due Immaturi), film arrivato giusto in tempo per il periodo natalizio, di certo non il solito cinepanettone.
Partendo dal soggetto di Familia dello spagnolo Fernando de Aranoa, Genovese, insieme a Marco Alessi confeziona una commedia dolceamara con qualche goccia di  curaro purissimo, nella quale si prende il lusso di riflettere su temi come famiglia (quella vera e quella di elezione), realtà e finzione e - in modo diffuso - sul mestiere d'attore.


La trama racconta di Leone, uomo ricco ed eccentrico che per un suo motivo misterioso a Natale ingaggia una compagnia di attori in difficoltà economiche (a causa della crisi sono ridotti a fare i babbi Natale nei supermercati) per impersonare la famiglia che non ha mai avuto, con tanto di copione, sceneggiatura e inquadramento del passato e presente dei singoli "personaggi". Il patto è che la troupe deve impersonare la famiglia di Leone dalla Vigilia fino al mattino del giorno di Natale, nessuno può abbandonare la "recita", pena la rescissione del contratto. Gli attori devono preparare il pranzo ed il cenone, giocare a tombola, insomma fare tutto quello che tradizionalmente si fa durante le feste comandate. Leone però, in modo davvero perfido, si divertirà a mantenere alta la tensione cambiando qualche dettaglio qua e là, o divertendosi a fare domande di cui gli attori non possono conoscere la risposta.  Il tutto sarà complicato dall'arrivo di una ospite inattesa, la ignara Alice che non può evitare lo shock del contatto con la "finta" famiglia.


Oltre che sull'idea - buona ma non nuova - dell'amarezza nel film di Natale,  la pellicola si regge sul lavoro degli attori tutti più che promossi:
Sergio Castellitto è un magnifico Leone: cinico, baro e senza un briciolo di pietà, neppure per se stesso.
Marco Giallini, bravissimo, è Fortunato, il capocomico della compagnia impegnato al tempo stesso a motivare i suoi attori, tenersi stretta la moglie e portare a casa il sontuoso cachet.
Claudia Gerini è artisticamente in un vero momento di grazia: la sua Carmen, moglie di Fortunato nella vita e di Leone nella finzione, è un vero capolavoro.
Carolina Crescentini è purtroppo un po' penalizzata da un personaggio poco sviluppato dalla sceneggiatura e anche un po' lagnoso.
Ilaria Occhini, tornata in intensa attività sul grande schermo, impersona da quella fuoriclasse che è la finta madre di Leone e Fortunato.
Francesca Neri è spaesata ed isterica il giusto nel ruolo di Alicia, l'ospite inattesa.
Anche dal comparto "giovani" ottime notizie da Eugenia Costantini (figlia di Laura Morante e del regista Daniele Costantini), Eugenio Franceschini (che rivedremo presto nel film tratto da Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D'Avenia), ed i piccoli Giacomo Nasta e Lorenzo Zurzolo, bravi uguali!


Benchè abbia un sapore amaro, Una famiglia perfetta è una commedia: le situazioni comiche non mancano, ma alternano senza annoiare con alcuni momenti davvero drammatici. Sono belli i dialoghi in cui gli attori si confrontano su come affrontare al meglio certe scene, ed è geniale nella sua assoluta autenticità la partita fasulla a tombola, in cui tutti stanno lì a chiacchierare per un'ora per poi fingere - ciascuno nella sua parte - una concitata attività. Interessante il  dialogo fra Castellitto e la Neri (ma perchè si è fatta tirare così il volto che era tanto bella!) sulla vita dell'amante sempre in attesa di qualcosa di autentico, di uno spizzico di attenzione, che assume una valenza multipla: ci si potrebbe vedere anche un riferimento alla vita dell'attore che attende il momento della recita in cui - finalmente - può paradossalmente essere stesso.
Cosa è realtà e cosa è finzione? L'idea forte del film è che gli attori non rendono reale una finzione, fanno esattamente il contrario ed è proprio questo rovesciamento a mandarli in crisi. La difficoltà nel distinguere la famiglia fittizia e quella elettiva, ma reale, formata dalla compagnia di teatranti conduce verso l'inevitabile punto di non ritorno, oltre al quale ognuno dovrà scegliere la strada da prendere, con il  rischio che finisca come in Last Christmas degli Wham!.


Dopo una serie di commedie molto leggere, Genovese libero dal "dovere" del successo, dimostra caratura da artista completo dirigendo un film che ha numerosi (e a tratti profondi) livelli di lettura, con due pregi fondamentali: l'aver evitato ogni macchiettismo da commedia all'italiana e aver mantenuto per quasi tutte le due ore di durata un ritmo che tiene lo spettatore attento e divertito. Il fatto che il film non abbia velleità da blockbuster potrebbe rivelarsi l'arma vincente per figurare molto bene fra gli incassi natalizi, grazie magari al passaparola, a cui qui contribuisco per quanto nelle mie possibilità.


Così come sul palcoscenico, anche nella vita la "tecnica" non è tutto, si deve imparare a improvvisare e - a volte - anche a fingere che tutto vada bene, in attesa di qualcuno che dica la battuta giusta e sblocchi la situazione: dopotutto quando mai possiamo esser certi di cosa è vero e cosa è costruito ad arte per sembrarlo? Eppure alla fine se tutto si risolve è sempre per amore: della propria professione, dei propri "compagni di viaggio" e, perchè no, della propria famiglia. Dietro ogni crisi c'è una bottiglia di champagne che aspetta solo di essere stappata. Prosit!



2012 - Una famiglia perfetta
Regia: Paolo Genovese
Fotografia: Fabrizio Lucci