giovedì 12 giugno 2014

Moneyball - L'arte di vincere...innovando


La mia unica esperienza nel mondo del baseball risale a quasi dieci anni fa; durante un viaggio a New York decisi di non lasciarmi sfuggire il "rito" della partita degli Yankees allo Yankee Stadium. Risultato: dopo tre ore passate più a osservare le bizzarre abitudini dei miei vicini di posto che quello che (non) stava accadendo in campo lasciai senza rimpianti l'incontro, ancora ben lungi dalla conclusione.
Come potete immaginare, sulla base di questa esperienza senza "nessun rimpianto nessuno rimorso" quando Moneyball uscì in sala l'avevo snobbato; in fondo non si può vedere tutto, e l'ennesimo film sul baseball è proprio il candidato ideale all'esclusione dalla lista dei titoli da non perdere. Feci male, perchè L'arte di vincere non solo è opera non banale di un artista inconsueto come Bennett Miller (Capote), ma - a dispetto dell'apparenza - non è un film sul baseball.


La storia è basata sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis dove si racconta della vicenda realmente accaduta alla squadra degli Oakland Athletics. Il general manager Billy Beane si trova a gestire una difficile situazione in cui i migliori giocatori abbandonano la squadra, senza disporre di un budget adeguato ad attrarre altri top players; decide dunque di affidarsi al sistema ideato da Peter Brand (il nome è di fantasia ma il personaggio no), un neolaureato in economia di Yale che ha elaborato un sistema statistico per la valutazione delle prestazioni dei giocatori partendo da dati misurabili (chiamato, appunto, moneyball). L'introduzione di questo strumento nella gestione della squadra porta a fare scelte di mercato apparentemente incomprensibili, oltre che un violento scontro con gli "esperti", i talent scout e l'allenatore della squadra, che non riescono ad adattarsi alla novità. Anche se la squadra fallirà il campionato, il sistema si rivela validissimo, portando alla record della più lunga serie di vittorie consecutive dell'American League.



Brad Pitt (anche produttore) è misurato e credibile nella parte del protagonista, lo smaliziato e coriaceo Billy Beane, Jonah Hill interpreta il giovane Peter Brand, un ruolo che in qualche modo precorre la sua interpretazione in The Wolf of Wall Street. Philip Seymour Hoffmann dopo la ridda di premi vinti per Capote non può negarsi a Bennett anche in un ruolo del tutto secondario come quello del coach Howe.
Ottima crew tecnica: oltre a un Miller bravissimo nel mantenersi equidistante fra tre generi: commedia, dramma e sportivo, troviamo Wally Pfister, il direttore della fotografia di Nolan; il casting, azzeccatissimo, è curato da una vecchia pellaccia (augurandomi che la signora non legga mai queste parole) Francine Maisler, una vera eminenza grigia di Hollywood.


Come dicevo prima Moneyball non è un film sul baseball, è un film sull'innovazione e su quanto sia difficile introdurre innovazioni radicali in un'azienda o un mercato consolidati. Bean e Brand sono gli innovatori, ma le resistenze all'introduzione di una maggiore scientificità nel baseball sono enormi. Gli scout hanno l'esatto atteggiamento "abbiamo sempre fatto così/tutti fanno così" che rappresenta la principale minaccia a qualsiasi tentativo di innovazione, il coach Howe è invece l'uomo a cui non devi andare a dire come deve gestire la sua squadra, in fondo ha trent'anni di esperienza e una professionalità riconosciuta! Un aspetto molto interessante è come anche di fronte ai risultati l'atteggiamento di questi rimanga sullo stile "avete avuto fortuna, ma io so che non si dovrebbe fare così"


Un film interessante che solleva una tematiche non banali, mantenendo un certo grado di humour grazie anche alla recitazione di ottimo livello. Non si viene stupiti da effetti speciali e il ritmo non è particolarmente avvincente, però è un film che andrebbe proiettato in tutte le scuole di business e non al primo anno, ma verso la fine dei corsi, quando ci si può già rendere conto di com'è fatta davvero la vita in azienda. Punto non secondario Billy Beane dopo aver rivoluzionato il mondo del baseball sceglie di non specularci su: guadagna già abbastanza così, ama il suo lavoro negli Athletics e in fondo "come si fa a non essere romantici quando si parla di baseball". In un colpo solo salva il film dalla retorica del sogno americano e iscrive di diritto il personaggio di Brad Pitt fra i migliori beautiful losers di sempre.


2011 - L'arte di vincere (Moneyball)
Regia: Bennett Miller
Fotografia: Wally Pfister
Musiche: Mychael  Danna
Casting: Francine Maisler

domenica 1 giugno 2014

Only lovers left alive - Solo gli amanti sopravvivono



I vampiri sono da sempre un topos cinematografico di grande efficacia; Jim Jarmush, senza curarsi dei recenti successi dei vampiri teenager e politicamente corretti della saga di Twilight, li usa come perfetti rappresentanti di quei personaggi emarginati e borderline malinconici e di pochissime o nulle speranze nelle magnifiche sorti e progressive di una certa America che popolano il suo cinema.


Eve e Adam sono una coppia di vampiri vissuta attraverso i secoli occupandosi lui di musica, lei di filosofia. Ai giorni nostri vivono rispettivamente a Detroit e Tangeri, si procurano negli ambienti ospedalieri sacche di sangue da degustare come liquore prezioso e inebriante (le scene di estasi quando bevono il sangue mi hanno ricordato i personaggi di Trainspotting quando assumono eroina). Adam conserva dal suo passato una attitudine da artista maudit preda della fatica di vivere; sapendolo depresso Eve si reca a trovarlo in America, dove però i due verranno raggiunti da Ava sorella combinaguai di Eve. A seguito di uno dei soliti casini innescati da questa, i due devono fuggire a Tangeri dove assistono alla morte di Marlowe, vampiro in stratta relazione con Eve, ammalatosi per aver bevuto del sangue contaminato. Soli e perduti i due amanti vagano per la città cercando di decidere se vivere o morire.


Gli interpreti sono estremamente azzeccati: chi meglio di Tilda Swinton per interpretare Eve, una vampira di estrema classe e profonda cultura? Tom Hiddleston interpreta Adam, il vampiro rockstar che più tenta di nascondersi e più viene inseguito dai fans curisi. Mia Wasikowska è l'avventata Ava, mentre John Hurt è Marlowe, il "vero" autore dei capolavori di Shakespeare. Di classe anche la crew tecnica: fotografia di Yorick Le Saux (Io sono l'amore), montaggio di Affonso Gonçalves (Un gelido inverno, Re della terra selvaggia), costumi di Bina Daigeler (Tutto su mia madre, Volver, Biutiful) e production design a cura di Marco Bittner Rosser (V per vendetta, Mission Impossible III, Bastardi senza gloria).


I vampiri di Jarmush sono creature di profonda e vasta cultura unita ad un grande amore per la natura (ad esempio conoscono il nome scientifico di tutte le piante), Eve è in grado di leggere qualsiasi libro a supervelocità e può datare un oggetto semplicemente toccandolo, Adam è invece dotato di straordinario talento per la musica e colleziona strumenti antichi e chitarre elettriche appartenute  a grandi bluesmen. Lei, bianca ed eterea, si muove in una Tangeri brulicante di vita, lui nero ed oscuro si sposta di notte in una Detroit ormai ridotta quasi a città fantasma, con i filari di case di media borghesia abbandonate e cadenti (mi dicono che in realtà quando una casa viene abbandonata i vicini la bruciano per evitare che diventi un rifugio di homeless). La terra sempre più inquinata corrompe il sangue degli uomini rendendo difficile anche l'approvvigionamento di sangue pulito per le provviste vampiresche. I vampiri non possono che contemplare la progressiva disintegrazione del mondo, che avviene senza consapevolezza da parte della razza umana (che loro definiscono zombie, per l'apatia e l'incapacità di apprezzare il bello). 


Il film è esteticamente curato e vi affiora a tratti una aspra critica per il lifestyle postindustriale occidentale, Jarmush arriva forse un po' fuori tempo massimo confezionando un'opera che tutto sommato non segna nessun significativo passo avanti rispetto a Dead Man e Ghost Dog. Resteranno però la grandissima classe dei protagonisti e una colonna sonora memorabile, oltre all'indiscutibile pregio di aver restituito i vampiri a un empireo irraggiungibile dagli uomini comuni in cui il significato dell'immortalità è di godere del bello in tutte le sue forme.

2014 - Solo gli amanti sopravvivono (Only lovers left alive)
Regia: Jim Jarmush
Scenografia: Marco Bittner Rosser
Costumi: Bina Daigeler
Musiche: Carter Logan, Jozef van Wissem