mercoledì 23 gennaio 2013

Django unchained - The D is silent


Buone notizie dall'inizio del 2013! Dopo un autunno avaro di pellicole di un certo interesse, con l'inizio del nuovo anno è in arrivo una notevole quantità di titoli carichi di aspettative, tanto che temo mi sarà difficile star dietro a tutto. L'inverno del nostro scontento sembra essere passato, almeno cinematograficamente.
Di Django Unchained avevo già detto qualcosa qui, ma dopo averlo visto c'è moltissimo da aggiungere; si pone come il secondo e "americano" episodio di una  trilogia di film "storici", iniziata con Inglorious Basterds e che si concluderà con Killer Crow, sulle gesta di una compagnia di soldati di colore subito dopo lo sbarco in Normandia (tema questo già affrontato da Spike Lee con il suo Miracolo a Santa Anna). 


Il concetto di film storico di Quentin Tarantino non passa per il filologico rispetto dei fatti, ma per la resa su schermo di un'atmosfera, un'idea di passato, con l'aggiunta di alcuni elementi pulp che da sempre caratterizzano lo stile dell'autore. Venendo al dunque, Django Unchained si propone come omaggio del regista al genere spaghetti western, in particolare a Django, mitico film di Sergio Corbucci con protagonista Franco Nero. Se nel film originale Django era un inquietante reduce dalla guerra di secessione che tornava a vendicare l'assassinio della moglie, trascinandosi dietro una bara dal misterioso contenuto, Tarantino ambienta il suo film qualche anno prima e centra il discorso sulla schiavitù (argomento evidentemente di moda, considerando la prossima uscita di Lincoln di Steven Spielberg). Django (Jamie Foxx, gran fisico) è uno schiavo di colore, che viene liberato da un eccentrico bounty killer tedesco, il Dr. King Schultz (Christoph Waltz, molto divertente), affinchè lo aiuti a trovare ed uccidere tre ricercati. Dopo questa prima avventura, i due decidono di continuare a lavorare insieme fino al disgelo, quando si recheranno in Mississippi per tentare di liberare dalla schiavitù anche la moglie di Django, Broomhilda (Kerry Washington, molto in parte), che nel frattempo è stata acquistata da un ricco possidente del sud, Calvin Candie (Leonardo Di Caprio, a cui la barba dona assai). Lo scontro con la cultura schiavista del sud si rivelerà però molto difficile da sopportare, più per Schultz che per Django, fino allo scatenarsi della crisi finale dove non mancano sparatorie , botte, sangue e vendetta, com'è nella tradizione del genere e del regista.


Gli attori sono diretti benissimo, oltre a quelli già citati è un vero piacere rivedere gente del calibro di Bruce Dern, Don Johnson, con un buffo pizzetto, Robert Carradine, fratello più giovane dei più famosi David e Keith,  e James Remar (il papà adottivo di Dexter nell'omonima serie). Samuel L. Jackson merita un discorso a parte, capace com'è di dare sostanza alla storia interpretando un personaggio che è la vera anima nera del plot. Franco Nero fa una divertente comparsata nel ruolo del proprietario di un lottatore nero che viene sconfitto dal mandingo di Calvin Candie; Tarantino lo ha da subito voluto nel film come personale omaggio al Django del 1966.
Come Tarantino ci ha abituati, la colonna sonora è entusiasmante (il regista ha utilizzato per la colonna sonora diversi esemplari dalla sua collezione personale di vinili d'epoca) e mischia grandi pezzi del passato, si passa dal tema originale di Django cantato da Rocky Roberts alla canzone scritta a quattro mani da Elisa e Ennio Morricone,al tema di Trinità (!) senza dimenticare la musica nera, John Legend, 2pac e James Brown.


La colonna sonora è in effetti una metafora efficace del film: dentro c'è di tutto, quasi che Tarantino si sia un po' fatto prendere la mano: c'è violenza splatter quanto mai, tutto il discorso sullo schiavismo (l'utilizzo e la ricorrenza della parola "negro" è esasperante, diventa fisicamente fastidiosa ad un certo punto del film, un effetto che ho molto apprezzato per la sua efficacia: è evidente che per gli schiavisti i neri non sono uomini, visto che non li definiscono mai così), c'è un pezzo esilarante sul ku klux klan, con la scena degli incappucciati che criticano la fattura dei cappucci. 
Il film, come sempre in Tarantino, è ricchissimo di citazioni e rimandi ai film più diversi, nella pagina wikipedia dedicata al film se ne contano circa una ventina, ma a cercarle potrebbero certamente essere molte di più.
 Il film di Corbucci era molto più dark, mentre in questo ci sono maestose riprese in esterni con piantagioni sconfinate, montagne inaccessibili, insomma si può godere del meglio che il paesaggio americano ci mette a disposizione, fotografato in modo molto luminoso.Come nel Django originale, le strade, anche in città sono viscidi pantani di fango, c'è una donna frustata e c'è una missione da compiere.



Il film è lungo quasi tre ore (un trend del 2013?) che scorrono veloci come il fiume Mississippi. Il film  - più di altri - esibisce la violenza rendendola a tratti insopportabile a tratti ridicola. Nella tradizione del western ci son panorami spettacolari, pistoleri velocissimi e letali, vecchi sdentati e negrieri spietati. Alcune sequenze rimarranno negli annali: le mie preferite sono il lunghissimo pianosequenza iniziale con gli schiavi incatenati, lo spruzzo di sangue sui fiori di cotone, la scena dell'uccisione del ricercato che sta arando il campo. Da manuale di sceneggiatura la scena della cena a casa Candie, che parte scanzonata e via via si fa più tesa, e fino all'ultimo non si sa se finirà in una bolla di sapone (come nella famosa sequenza della Sachertorte dello strudel in Inglorious Basterds) o in una carneficina.
Se da una parte il film ci rende orgogliosi - come Nazione - per essere stati capaci di reinterpretare così bene un genere tipicamente yankee che un regista a stelle e strisce lo prende ad ispirazione, dall'altro ci si potrebbe domandare quali strumenti abbia lo spettatore medio americano  per cogliere le finezze, come le musiche o come i passi di dressage che Django fa fare al cavallo nel finale, riprese pari pari da Lo chiamavano Trinità... La domanda evidentemente è oziosa: il box office sta premiando il film, i cui incassi hanno  già quasi doppiato il costo di produzione. 
Evidentemente - citazioni o no - il buon cinema non può non piacere!

2013 - Django Unchained
Regia: Quentin Tarantino
Fotografia: Robert Richardson
Scenografia: J. Michael Riva
Costumi: Sharen Davis
Montaggio: Fred Raskin



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