giovedì 6 ottobre 2011

Carnage - You can't always get what you want



Carnage segna il rientro di Roman Polanski dopo il deludente (e noioso) The Ghost Writer. Presentato a Venezia, non ha raccolto premi, rischia però di rifarsi al botteghino. Diciamo subito che l'operazione è di quelle che fanno esclamare "ne facessero di più di film così!". Carnage concilia un umorismo acido con una amara riflessione di costume. Per la caratteristica di essere girato praticamente in un unico ambiente (il soggiorno della famiglia Longstreet), ci ha fatto pensare a Buried, solo che Polanski nella cassa ci mette non una ma quattro persone, e poi si diverte a guardare cosa succede.


La trama, tratta da una pièce teatrale, è composta quasi di nulla. L'antefatto ci mostra due ragazzini picchiarsi in un parco cittadino. I genitori del piccolo aggressore, i Cowan si recano a casa di quelli della vittima, i Longstreet, per dirimere la questione e stabilire come comportarsi. Passeranno la giornata intenti in un gioco al massacro psicologico, che attraverso un continuo cambio di alleanze (Cowan vs Longstreet, uomini vs donne, etc..) lascerà i personaggi (tutti?) nudi e disarmati di fronte alla propria irredimibile meschinità.


Il film utilizza praticamente un solo ambiente: la casa - ed in particolare il soggiorno - della famiglia Longstreet. Si intuisce l'ambientazione newyorchese dal paesaggio che si intravede dalle finestre, ma Parigi, Londra, Bruxelles non avrebbero tolto nulla all'efficacia della storia. Probabilmente se il film è ambientato negli States è più appetibile per quel mercato. La casa, dicevamo, riflette perfettamente i Longstreet o meglio riflette perfettamente l'idea che i Longstreet vorrebbero avessimo di loro: un affastellamento senza costrutto di libri di arte e pezzi di arredamento di design, senza tuttavia un'idea che armonizzi tanta cultura. Come vedremo, non è un caso!
I movimenti di macchina alternano riprese degli ambienti a movimenti in soggettiva, quasi in fish-eye sui singoli personaggi. Ci siamo chiesti per lunghi minuti se la soggettiva cambia in base al personaggio di cui assume il punto di vista (più in alto per la Winslet, più in basso per la Foster, per capirci). Alla fine abbiamo concluso di no, ma l'impressione è comunque quella di trovarsi in mezzo al battibecco.

I costumi riflettono lo stereotipo dei personaggi: i Longstreet, la famiglia liberal, indossano sobri maglioncini, mentre i Cowan, la famiglia in carriera, si presentano in elegante completo e soprabito lui e professionale gonna longuette nera con camicia bianca e filo di perle lei.


Gli attori  sono tutti bravissimi e di grande esperienza,  resistono alla tentazione di gigioneggiare rubandosi la scena a vicenda, meritano un'occhiata ciascuno:

John C. Reilly (una carriera straordinaria premiata -finora- da una candidatura all'Oscar per Chicago) interpreta Michael Longstreet, venditore di sanitari e accessori per la casa. Rappresenta l'americano medio, in bilico fra ragionevolezza e tentazione di risolvere le cose "fra uomini". Tenta di dare un'immagine di sè un po' più elegante di quello che non è, ma una volta scoperto sembra che abbia una gran voglia di mandare tutti al diavolo e andare a farsi una passeggiata nella prateria.

Jodie Foster è Penelope Longstreet, aspirante scrittrice di denuncia sociale sui temi dell'Africa. Si sente migliore del mondo che la circonda e non si capacita di come tutti gli altri non condividano il suo modo politicamente corretto di vedere le cose. La Foster si conferma attrice di categoria superiore, basta vedere come riesce a vibrare di sdegno gonfiando la vena della fronte: monumentale!

Kate Winslet una meravigliosa prova, secondo noi di magistrale misura, nel ruolo di Nancy Cowan, madre in carriera oberata dallo stress e dai sensi di colpa mai sopiti nel rapporto con il figlio. In continua oscillazione fra rassicurazione (siamo adulti, siamo ragionevoli...) e isteria. Due scene tutte da godersi in poltrona:quando vomita sui preziosi libri d'arte di Penelope e quando impazzisce perchè le maltrattano la borsa (come non solidarizzare??)!

Last but not least Christoph Waltz - Alan Cowan, il papà del piccolo aggressore. Waltz, che tutti ricordiamo magistrale "cacciatore di ebrei" in Inglorious Basterds, interpreta qui un altrettanto  luciferino personaggio, avvocato di fantomatiche amorali multinazionali farmaceutiche. Da ogni sua parola, da ogni alzata di sopracciglio partono sciabolate sulle ipocrisie e le contraddizioni degli altri personaggi. Da vero "dio della carneficina" (titolo originale della piece da cui è tratto il film) è l'unico personaggio che, nella propria totale amoralità ed indifferenza per il prossimo, mantiene una tragicomica coerenza.

Il film annovera fra i suoi pregi anche quello di non dilungarsi oltre il necessario, 80 minuti circa. Da più parti si è letta l'ipotesi che Polanski con questo film avanzi una critica alla società borghese. A nostro avviso si spinge invece molto più in là: la critica, spietata è per tutta la società occidentale, ormai incapace di contestualizzare e dare l'adeguato peso persino a una banale baruffa fra ragazzini. I personaggi di Carnage hanno desideri a cui non sanno come dare forma, si perdono in oceani di parole, cortesie di facciata, piccole e grandi ipocrisie nel disperato tentativo di trovare una soluzione condivisa, quando - ma ormai ce lo siamo dimenticati un po' tutti - un paio di sganassoni bene assestati ed una settimana senza Nintendo avrebbero forse raggiunto con sufficiente efficacia gli scopi educativi dei personaggi.



All'uscita dalla sala ci si scopre divertiti, ma fatalmente torna in mente la profezia degli indiani Hopi citata in Koyaanisquatsi di Godfrey Reggio: "È possibile che un giorno un recipiente di cenere sia scagliato dal cielo, che arda la terra e faccia ribollire gli oceani." Se davvero le cose stanno come ci fa vedere Polanski, quando succederà potremo ben dire di essercelo meritato!

giovedì 28 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte 2 - love devotion & surrender


In un periodo in cui i titoli interessanti sembrano latitare, non potevamo di certo perderci l'occasione per vedere (non in 3D perchè mi da fastidio) il film conclusivo della saga di Harry Potter. Ebbene sì, lo ammettiamo, siamo fanatici della prima ora del maghetto con la cicatrice e gli occhiali, di cui abbiamo atteso ed avidamente divorato i vari capitoli in libreria, prima ancora che su pellicola. Tuttavia, sarebbe ingiusto lasciar prevalere il punto di vista del fan su quello dello spettatore che paga il biglietto, e tenteremo di attenerci a questo principio.
La trama segue la seconda parte del capitolo conclusivo, laddove si tirano le fila e tutte le trame (e le innumerevoli sotto-trame) trovano la loro conclusione. In questo senso si può ammettere che il regista (Peter Yates, inglese e già autore di alcuni dei capitoli precedenti) dia per scontata una certa conoscenza "di base" del contesto e dei personaggi. Harry (Daniel Radcliffe, cui auguriamo di sottrarsi alla "maledizione del personaggio") ed i suoi amici Hermione (Emma Watson, più passano i film e più la sua capigliatura si fa normale) e Ron (Rupert Grint, toccante in In viaggio con Evie) sono alla disperata ricerca degli "horcrux", gli oggetti magici in cui il perfido Lord Voldemort (Ralph Fiennes, irriconoscibile sotto al trucco) ha riposto i frammenti della propria anima nel tentativo di rendersi immortale. Nel frattempo Voldemort ha instaurato nel mondo un vero e proprio regime di stampo nazista, basato sulla purezza della razza (i maghi sono la razza eletta) e sulla manipolazione delle coscienze; i tre eroi, dunque, oltre alla difficoltà del compito sperimentano anche quella del muoversi in un ambiente sempre ostile e pericoloso. Dopo diverse peripezie i protagonisti torneranno ad Hogwarts, la scuola dei maghi dove si svolge la maggior parte della saga. Lì avverrà la battaglia finale fra le forze del bene e quelle del male (bellissime le scene con le statue di pietra che prendono vita per salvare la scuola e lottano contro giganteschi troll di montagna). Lì verranno chiusi tutti i conti e Harry affronterà Voldemort in un duello al quale solo uno dei due potrà sopravvivere.

la rabbia e l'orgoglio?

E' veramente complicato ridurre una cosmogonia di migliaia di pagine in poche parole, ma lo è altrettanto il farlo per immagini. Il film sceglie dunque di operare alcuni tagli e semplificazioni, restando però piuttosto fedele al testo originale, nella lettera e - soprattutto - nello spirito. Alla fine la figura più difficile è quella di Harry, il cui problematico mondo interiore viene minuziosamente scandagliato nei libri e lasciato invece abbondantemente all'intuizione dello spettatore nel film. Il risultato è un personaggio un po' isterico e a volte sinceramente antipatico. Anche il rapporto amoroso con Ginny Weasley (Bonnie Wright) viene quasi completamente ignorato.
La scenografia è, come da tradizione, basata su elementi gotici e vittoriani nel mondo dei maghi e contemporanei in quello dei "babbani". Qualche dettaglio in più all'interno di Hogwarts (ci pare di ricordare che le fantasmagoriche scale in movimento siano state realizzate solo nel primo capitolo) avrebbe potuto donare un appropriato senso di sorpresa di fronte alla magia.
I costumi non sono particolarmente interessanti, ci è sempre parsa una occasione persa quella di scegliere di non rappresentare i maghi con vestiti eccentrici, che avrebbero dato un tocco in più di humour, oltre che sottolineare la differenza di approccio a cosa è importante rispetto ai "babbani".
Fra gli interpreti, menzione d'onore ad Alan Rickman per un Severus Piton ambiguo fino alla fine, caratterizzato da un'aspetto simile in modo inquietante (per la gioia degli spettatori italiani) ad un Renato Zero in salsa celtica.
Fra le scene degne di nota, quella all'interno della banca Gringott, che ad alcuni è parsa una citazione di "Mary Poppins" e quella della battaglia di Hogwarts, comprensibilmente accostata ad alcune scene del "Signore degli anelli". A noi invece il duello tra Harry e Voldemort ha ricordato quello tra Luke Skywalker e l'imperatore di "Guerre stellari", ma senza l'aspetto seduttivo del "lato oscuro" che a Voldemort manca completamente, preso com'è dalla propria furia omicida.

Neville, si può essere eroi anche in cardigan

Un aspetto che abbiamo sempre considerato interessante è come in Harry Potter i ragazzi siano veri protagonisti, fautori del proprio destino, gli adulti sono lì per guidare, aiutare, a volte ingannare, mai sostituire i giovani. Mano a mano che da ragazzi si fanno adulti vengono chiamati a fare delle scelte ed a sopportarne le conseguenze. Emblematica la figura di Neville Paciok, giovane mago pasticcione spesso deriso sia dai compagni che dagli avversari, che posto di fronte alla difficile scelta fra il bene ed il male (non è filosofia, la scelta implica la vita o la morte immediata) butta il cuore oltre l'ostacolo - unico fra tutti - e sceglie il bene "a prescindere", sfidando il trionfante Voldemort in modo - in apparenza - insensato.

It's over!

E' spesso un mondo senza pietà quello di JK Rowling, in cui i buoni muoiono come e più dei cattivi, e nemmeno all'adolescenza è concessa un po' di irresponsabilità. Ma non è forse uno specchio fedele del mondo reale, anche se non è piacevole ammetterlo?
Hary Potter  è nato, e rimane, un racconto per ragazzi e di ragazzi, in cui il "restare giovani dentro" fa la differenza e cosa più dell'amore ci fa restare giovani? Harry da bambino viene salvato dall'amore di sua madre, più forte della peggiore magia oscura, una volta cresciuto combatte a ben vedere usando lo stesso - invincibile - incanto, che voi-sapete-chi non potrà mai comprendere: la gratuità dell'amore che non si mette al primo posto.
Ricorrendo a questa magia, che anche a noi babbani è concesso sperimentare in mille forme ogni giorno, qualunque cosa succeda...la fine potrebbe mai essere una brutta fine?

a kiss before dying?

mercoledì 8 giugno 2011

The tree of life - the answer is blowing in the wind


Ispirati ed incuriositi dalla vittoria al festival di Cannes, non potevamo perderci l'occasione di vedere per voi The tree of life, ultima opera di Terrence Malick (La rabbia giovane, I giorni del cielo, La sottile linea rossa, Il nuovo mondo), stravagante autore texano da sempre in odore di genialità. Il problema con questo tipo di film è che viene preceduto dalla propria fama rendendo assai difficoltoso evitare il pre-giudizio. Sgombriamo subito il campo dai possibili malintesi: Malick sta al cinema circa allo stesso modo in cui James Joyce sta alla letteratura: per apprezzarlo è rilevante lo stato d'animo del momento, non va scelto se avete in mente una serata memorabile in compagnia di un partner che ama i film d'azione o le commedie romantiche!
Se invece, come Malick, avete sempre avuto interesse per le domande fondamentali, allora sì, mollate tutto e dirigetevi al cinema più vicino, qui c'è pane per i vostri denti!
A dispetto delle domande "importanti", il film non si nasconde dietro grandi metafore, nulla viene omesso, nulla resta non detto, il che implica una durata di quasi due ore e mezza, che passano senza eccessiva difficoltà.


Non si può parlare di trama in senso stretto, diciamo che il film accosta un piano universale ad uno personale, simbolizzato dalla vicenda di Jack (interpretato da adulto da un mito vivente, Sean Penn, da ragazzo dal giovane e talentuoso HunterMcCracken), che vediamo crescere in una tipica famiglia americana degli anni 50 in cui il principio maschile è rappresentato attraverso un padre autoritario (Brad Pitt, estremamente convincente) e quello femminile da una madre amorevole (Jessica Chastain, in stato di grazia; la attendiamo nel prossimo Coriolano di Ralph Fiennes).
Spesso al posto del dialogo vengono riportati i pensieri dei personaggi, come un semplice sussurro fuori campo.
Vediamo Jack, ed i suoi genitori, sperimentare gioe e dolori: la nascita dei figli, la lacerante perdita di uno di essi, fortune e miserie lavorative, l'intimità, l'incomprensione che porterà Jack ed il padre ad allontanarsi, pur consapevoli di essere l'uno lo specchio dell'altro. Ritroviamo Jack affermato professionista in una moderna metropoli, alle prese con le domande fondamentali: CHI? PERCHE'? COSA DEVO FARE?
Il montaggio - estremamente complicato - destruttura la trama in frames scollegati dall' asse temporale. Alla vicenda umana si giustappone quella universale, un discorso che Malick riprende veramente dall'inizio, dal big bang fino alla nascita del mondo e delle ere. Questa parte del film si compone di immagini struggenti che non solo a noi - a quanto si legge nelle critiche - hanno ricordato Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio. La lunghezza, e in qualche modo la prolissità di questa parte del film, hanno suscitato polemiche rispetto alla loro reale necessità. A nostro parere, pur essendo la sintesi un dono, senza questa lunga parentesi il film non sarebbe la stessa cosa, sprofondatevi nella poltrona e godetevi semplicemente la bellezza delle immagini; condensare la storia della vita in alcune decine di minuti denota concisione!


Un plauso a Emmanuel Lubezki  (messicano, a dispetto del nome - una filmografia troppo lunga per poter essere citata), magistrale direttore della fotografia. Ci è piaciuta moltissimo la luce con cui riprende la famiglia di Jack.
Bellissimi i costumi di Jaqueline West, perfettamente calata nell'atmosfera anni 50.


In conclusione il filosofo Malick realizza un film complesso per giungere a conclusioni semplici: ogni minuto non speso con amore è un minuto perso. Come scoprirà il padre di Jack, siamo troppo piccoli per illuderci di contare qualcosa in questo universo. Però - come ruiscirà a Jack adulto - possiamo cogliere, magari nel volo di uno stormo di uccelli fra assurdi grattacieli, in un albero verde piantato nel cemento, in un filo di vento, LA risposta che Malick ci esplicita nell'ultima immagine: un ponte lanciato verso l'orizzonte.

giovedì 21 aprile 2011

The next three days


Immagina di fare colazione con la tua famiglia, improvvisamente due forti colpi alla porta: la polizia entra e fra le lacrime di tuo figlio arresta tua moglie (Elizabeth Banks, Shaft, tutti e tre gli ultimi Spider-Man, ma anche una intera annata di Scrubs in TV). Due anni dopo lei è stata definitivamente condannata . E' praticamente certo che passerà i prossimi trenta anni in carcere.
Tu cosa faresti?
Nell'improbabile ipotesi che fra i nostri lettori ci sia Russell Crowe la risposta sarebbe: qualsasi cosa!

Mike Haggis è un curioso caso di regista e sceneggiatore che si divide fra cinema e TV. Autore di  Crash - Contatto fisico e Nella valle di Elah, ha collaborato spesso con Eastwood ma ha anche scritto gli ultimi due 007. Una curiosità: se vi foste chiesti chi ha scritto le sceneggiature di  Walker Texas Ranger ebbene sì è lui ed è pure inglese! 
The Next three days pone una questione: quanto siamo disposti a spingerci oltre i limiti per realizzare ciò in cui crediamo, cosa accettiamo di lasciare indietro per raggiungere ciò che davvero conta? Tuttavia  ci pare che al regista interessi più porre la domanda che trovare una risposta. Questa si perderebbe comunque nel clamore di ruote che stridono e spari che rimbombano.

Russell Crowe interpeta il mite professore John Brennan, la cui ordinaria vita quotidiana viene sconvolta da una kafkiana irruzione dell'assurdo, sotto forma di arresto della moglie Lara per l'omicidio della propria superiore sul lavoro.
John non può credere che la moglie sia veramente colpevole, così quando è acclarata la condanna giudiziaria, escogita un piano per farla evadere e fuggire con lei. Nella fase preparazione John si scontrerà piuttosto dolorosamente  con le difficoltà  di compiere un atto illegale da parte di un ingenuo neofita del crimine. A tempo debito però John avrà reperito le risorse finanziarie, pianificato la fuga e rapito la incredula moglie dopo averla fatta trasportare fuori dal carcere con un inganno.
Riuscirà John da mite professore a trasformarsi in smaliziato criminale raggiungendo una rinnovata libertà con moglie e figlio? Ogni piano perfetto si scontra con l'imprevedibile, la sfortuna...vale davvero la pena di provarci?
Per sapere come finisce dovrete andare a scoprirlo al cinema, quello che è sicuro è che per John ne vale la pena. La sceneggiatura infatti si premura di chiarire che per il protagonista non è più tanto importante se la moglie è davvero colpevole oppure no; lui decide che non lo è, non lo può essere, e si comporta di conseguenza: di fronte a un sistema giudiziario che fallisce, il tentativo di ristabilimento della giustizia da parte di John passerà per diversi reati, fino a giungere - in modo che abbiamo trovato addirittura ironico - all'omicidio: Lara forse è innocente, John invece colpevole lo è di sicuro, ma allo spettatore ormai non importa più. Lara, fra l'altro, è un personaggio ambiguo, solo nelle ultime sequenze si scoprirà la verità su di lei, ma nel corso del film non ci sono appigli per anticipare la soluzione. Anche lo spettatore, come John, deve decidere in cosa credere.

Il film dopo una partenza fulminante tende a incepparsi nella fase di preparazione della fuga, per poi riprendersi (per fortuna!) nell'azione mozzafiato della fuga e dell'inseguimento.
Probabilmente qualche minuto in meno nella parte centrale della pellicola non avrebbe nuociuto alla scorrevolezza dell'insieme.

Il cast è straordinario e racchiude star del cinema e della TV.  Olivia Wilde (una bellezza moderna vista in The O.C. e Dr. House in TV), Liam Neeson, appena un cameo, come anche RZA (celebre rapper che ricordiamo per un cameo e la bella colonna sonora in Ghost Dog di Jarmusch), infine un commovente Brian Dennehy padre di John che intuisce le intenzioni del figlio ma non tenta di fermarlo, condividendone le motivazioni. Con questi attori ci sarebbe piaciuto vedere sviluppati meglio i personaggi di contorno.

Un dettaglio un po' inquitante sui tempi che viviamo: John impara molte cose, ad esempio fabbricare passepartout universali e scassinare le serrature delle automobili attraverso accurati tutorials su youtbe. Dopo "Clio Makeup" arriveremo a "Jake Breakup"?

Personalmente abbiamo già avuto modo (qui) di dichiarare la nostra ammirazione per Crowe, che sa con la forza delle emozioni rendere credibile l'inverosimile. Questa pellicola non resterà fra le sue più memorabili, ma noi lo seguiremo sempre con partecipazione nei bassifondi di Pittsburgh (brutta città, a giudicare da come è ripresa) per coprirgli le spalle da falsari infidi e spacciatori violenti. A quanto sembra, però, sa cavarsela alla grande anche da solo!