giovedì 24 maggio 2012

The devil wears Prada - se questo è un diavolo


A proposito di Il diavolo veste Prada si è molto scritto nella blogosfera, ma - sollecitato da una diretta richiesta da parte del il mio più affezionato lettore, l'Anonimo delle 3.37 - non posso esimermi dal dare il mio contributo.
Lo styling del film è stato ampiamente dibattuto sia al momento dell'usicta film sia successivamente e - in tutta franchezza - il commento sulle scelte degli abiti di scena sarebbe ben oltre le mie possibilità.
Non sono mancate infatti le critiche alla vacuità del mondo della moda ed alle sue manie ("un disperato bisogno di Chanel", "la 38 è la nuova 40"). Quello della moda è però un mondo le cui fobie e  contraddizioni sono sotto gli occhi di tutti, in realtà uno sguardo più attento su altre industry - dalla cultura al metalmeccanico - evidenzierebbe inevitabilmente le loro peculiari idiosincrasie, forse meno interessanti o emblematiche da riprodurre sul grande schermo. Bando quindi alla critiche superficiali e a priori, cercherò invece di dare enfasi al tesoro che a mio parere si nasconde sotto una superficie patinata.


Nel cast tecnico spicca la stylist Patricia Field, che ha  curato lo styling di due serie TV di culto come Sex & The City e Ugly Betty. Vi consiglio una visita al suo sito personale: trovo affascinante il contrasto fra l'incredibile gusto personale che traspare dal sito web e la capacità di dare un look elegante ed adeguato a tutti i personaggi del film.


Un altro punto di forza del film è certamente il cast artistico: Meryl Streep giganteggia in un ruolo in cui sarebbe facile perdere la bussola e trasformare il personaggio in una macchietta. Miranda Priestly (chiaramente ispirata  ad Anna Wintour) è un boss inflessibile e inarrestabile, ma la Streep le regala una umanità che dà spessore a tutto il film. Emily Blunt (nel ruolo di Emily, la "prima segretaria" di Miranda), oltre a regalarci la sua interpretazione migliore in assoluto (finora) è molto affascinante e magrissima. Nella versione in lingua originale è un vero piacere sentirla parlare con una inflessione british molto comprensibile.
Stanley Tucci si conferma un vero fuoriclasse (in inglese ha meno "vocina", molto meglio per il suo personaggio). La sua caratterizzazione di Nigel, stretto collaboratore di Miranda e mentore di Andy nel mondo della moda, è irresistibile.
Personalmente non sono un grande fan di Anne Hataway, ma devo riconoscere che qui fa un buon lavoro. Andy Sachs è un personaggio che si evolve, passando dal falso intellettualismo snob della neodiplomata in giornalismo al disincanto senza amarezze della professionista ormai matura del finale.
Anche se qui mi pare un po' fuori parte, concedo una citazione per Simon Baker, nel ruolo di Christian Thompson. Visto col senno di poi è molto meglio in TV (dimagrito e coll'inseparabile gilet) come protagonista della serie The Mentalist.
Il personaggio di Nate (Adrian Grenier) è francamente un insopportabile compendio dei difetti maschili: egoista, infantile e invidioso dei successi della fidanzata. Accetto la critica, ma vorrei puntualizzare che noi maschietti sappiamo essere meglio di così!

 

"Svestiamo" ora per un momento la confezione e analizziamo la trama per quello che è: la storia di una brillante neodiplomata al primo impiego.
Andy si presenta in modo arrogante, forte dei propri successi accademici e ponendosi subito come alternativa rispetto ai propri colleghi. Lei è una giornalista seria, mica una fashion victim! L'ambiente di lavoro si rivela, oltre che competitivo, estremamente professionale, eppure Andy pare aspettarsi che le vengano riconosciuto un occhio di riguardo non per i meriti acquisiti "sul campo", ma semplicemente per essere in possesso di un supposto  livello culturale superiore rispetto agli altri dipendenti. Tuttavia, nonostante il brillante curriculum di studi Andy si rivela alla prova dei fatti incapace di capire il senso delle attività che si svolgono a Runway.
Fortunatamente per lei Miranda si rivela un capo sì duro ed esigente ma anche disposto ad aprirle gli occhi su molte cose: sul senso del mercato di Runway, in una memorabile lezione a metà fra la microeconomia e la filosofia della moda, sull'impegno più che massimo da profondere nello svolgimento dei propri compiti (anche quando apparentemente assurdi, come nel caso del manoscritto di Harry Potter), sul non fuggire di fronte alle proprie responsabilità, anche quando queste ci impongono scelte sgradevoli o che ci possono porre in cattiva luce di fronte ai colleghi. Basta un sussurro a Miranda per dare una nuova consapevolezza ad Andy "tu hai scelto". Sembra il diavolo, ma è Virgilio a parlare con un filo di voce.


D'altro canto  Miranda si dimostra un vero leader: estremamente competente e capace di prendere decisioni con grande lucidità, tiene sempre la bussola puntata sul bene del giornale e non su quello dei singoli (anche quando come Nigel avrebbero accumulato crediti di riconoscenza), sa premiare quando ne ricorrono le condizioni (ahilui Nigel dovrà aspettare, ma Andy viene presto promossa de facto a prima assistente). Miranda però non chiede a se stessa un grammo meno dello spasmodico impegno richiesto a tutti i suoi collaboratori, sacrificando anzi la propria vita  privata alla causa.
Certo, questo modo di intendere il lavoro non è per tutti, Andy decide di seguire una strada personale differente, ma solo dopo aver imparato che è sulla base dell'impegno e dei risultati che si costruiscono i successi. Non per grazia ricevuta, nè attraverso intrighi dietro le quinte, come tenta invece di fare Christian, restandone scottato.
A mio modo di vedere Miranda forse non è molto simpatica, ma è un capo come non se ne trovano quasi mai: esigente ma capace di delegare ed assolutamente focalizzata sui risultati, senza indulgere a simpatie personali.
Miranda ancora una volta aveva visto giusto: Andy ha stoffa, ma se ci sembra (e pare sentirsi a sua volta) una persona più matura e consapevole alla fine del film, il merito va tutto alla sua griffatissima persecutrice. Se questo è un diavolo, mi sento di augurare un po' d'inferno a tutti coloro che si accostano per la prima volta al mondo del lavoro!

Un cameo per la bellissima Gisele.

4 commenti:

  1. che meravigliosa analisi, dear Mule...
    non si può che dar ragione, soprattutto dopo 'alcuni' anni di lavoro, alla teoria che il novellino si affaccia al mondo con la presunzione dei propri studi e dell'impegno profuso in un ambiente protetto, e che si scontra inevitabilmente con la struttura di un mondo che va avanti nonostante lui.
    personalmente ho avuto a che fare con diversi capi ma con un solo 'Diavolo': odioso, superbo, presuntuoso, egotico, in costante competizione con le capacità dei propri collaboratori e incapace di concedere la propria saggezza o briciole di esperienza lavorativa.
    detto questo, mi ripugna dirlo, ma la decostruzione delle proprie piccole certezze di novellino, cghe avviene sempre in modo doloroso, serve a costruire un professionista più consapevole, più capace e, se vogliamo, con più carisma...il senso del demonio in questione è che si impara ad essere sicuri di sè per acquisire statura professionale.
    A 3. 37

    RispondiElimina
    Risposte
    1. @Anonimo 3.37
      First of all sono contento che la recensione ti sia piaciuta, visto che l'avevi richiesta tu!

      In secondo luogo leggere il tuo commento mi ispira una interpretazione diversa, per cui il diavolo del titolo più che Miranda potrebbe essere il "demone" che è in Andy a essere portato fuori grazie a Miranda (che in effetti nel film NON veste Prada....)

      Elimina
  2. Bellissima recensione =) E' vero, questo diavolo non veste per niente Prada, fatta eccezione della borsa che sfoggia la prima volta che scende dall'auto.
    Consiglierei, in particolare alle ragazze perché mi rendo conto del pubblico a cui si rivolge, la lettura del libro che ovviamente non coincide con il film in tutto e per tutto, ma può essere divertente, magari da gustarsi sotto l'ombrellone.
    Due parole riguardo il processo di adattamento cinematografico, credo che il film tutto sommato renda merito al libro e restituisca molto bene le caratteristiche dei personaggi =) Addirittura oserei dire che si completino a vicenda rendendo visibile quello che l'autrice racconta solo a parole, incentivando ancora di più quanto sia spietato il mondo della moda: regno del visibile, del mostrarsi, del mostrare. =)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Francesca! Il libro OVVIAMENTE ;-) non l'ho letto, e sarebbe invece interessante capirne le differenze rispetto al film. Penso però che i film tratti da opere letterarie abbiano diritto ad essere giudicati per quelo che sono e non per la maggiore o minore aderenza al genitore di carta. Quello che di solito trovo affascinanate è la molteplicità delle sfumature che si possono trarre "girando intorno" alla medesima storia.
      Una chiosa sul mondo della moda, per il quale come si sarà capito ho molto rispetto. In quanto regno dell'apparenza vive (anche) di piccole e grandi ipocrisie. Però anche se squali e profittatori non mancano resta senza dubbio uno dei settori merceologici in cui il merito ha più chances di essere valorizzato.

      Elimina