Con questo post inizia la rubrica "This gun for hire", dedicata alle recensioni richieste dai lettori. In questo caso la recensione è stata commissionata da Maurizia, anima e motore del blog Torino Style.
Non si potrebbe pensare ad un titolo migliore per un inizio in grande stile. Ninotchka è forse il titolo più famoso del grande regista Ernst Lubitsch, eppure anche uno degli ultimi della sua lunga carriera.
Il film è ambientato a Parigi nel periodo immediatamente antecedente la Seconda Guerra Mondiale. L'Unione Sovietica, in grave crisi di liquidità (i corsi e ricorsi della Storia...), invia emissari nelle principali capitali dell'occidente per vendere alcuni beni confiscati alla nobiltà. A Parigi vengono inviati gli agenti Iranoff, Bulianoff e Kopalsky, con l'obiettivo di vendere i gioielli appartenuti alla granduchessa Swana. Caso vuole che questa sia riparata proprio a Parigi e incarichi il proprio amante, lo spiantato conte Leon d'Algout, di impedire la vendita dei gioielli intentando una causa legale contro i tre sprovveduti. Leon fa molto di più, converte i tre rozzi agenti ai piaceri della vita occidentale, al punto che dalla Russia inviano a Parigi un commissario per accertarsi della condotta dei tre e portare a termine la transazione relativa ai gioielli. L'emissario è una giovane, Nina Yakushova completamente dedita alla causa sovietica.
Ninotchka e Leon cercano sulla mappa...la Tour Eiffel |
Ninotchka incontra per caso il conte Leon ed i due, complice l'atmosfera parigina, si innamorano. Leon mostra alla giovane razionalista sovietica il lato sentimantale e piacevole della vita, conquistandone l'amore e la fiducia. Con un sotterfugio la granduchessa Swana, ormai apertamente in competizione per l'amore di Leon, rientra in possesso dei gioielli e fa sì che la pattuglia russa sia costretta a rientrare in patria: Leon e Ninotchka devono dunque separarsi. Rientrati in Russia i quattro agenti faticano a riadattarsi alle pratiche collettiviste e vivono nel ricordo dei fasti parigini. Fortunatamente dopo qualche tempo il commissario Razinin (Un Bela Lugosi inatteso in una commedia brillante) invia Ninotchka a Costantinopoli, dove pare che Bulianoff, Iranoff e Kopalsky stiano scialaquando i fondi assegnatigli invece di dedicarsi alla vendita di una partita di pellicce. All'arrivo nella città del Bosforo, Ninotchka scopre che i tre agenti hanno aperto un ristorante etnico e non hanno nessuna intenzione di rientrare a Mosca, ma questa non sarà l'unica sopresa: Leon ha infatti architettato tutto in modo da far uscire Ninotchka dalla Russia e poterle finalmente dichiarare tutto il suo amore.
Iranoff, Gulianoff e Kopalsky eleganti nelle loro marsine "occidentali" |
Ernst Lubitsch dirige una commedia in bilico fra il rosa e il gioco di equivoci con la leggerezza che lo contraddistingue. Sarebbe tuttavia un errore scambiare la leggerezza per mancanza di profondità. La pellicola all'epoca suscitò vibrate proteste da parte dell'Unione Sovietica per via della raffigurazione denigratoria della Russia e dei Russi; forti del senno del poi possiamo dire che Lubitsch aveva colto la sostanza, esprimendola con la forma a lui più congeniale, la commedia.
Lubitsch possiede (fra gli altri) un dono andato ormai quasi del tutto perduto ai giorni nostri: il lasciar capire senza mostrare direttamente. Così ad esempio il cambio di mentalità dei russi è spiegato dal cambiare dei loro cappelli, da informi coppole di lana ad eleganti e lucide tube e la vita di bagordi condotta dai tre è mostrata quasi sempre dall'andirivieni dei camerieri sull'inquadratura fissa della porta della stanza d'hotel (notate peraltro quanto sono corte, e non solo relativamente all'epoca, le gonne delle ragazze che vendono le sigarette).
La scenografia è Edwin Willis, che ha al suo attivo ben 609 titoli fra cui tengo a citare Alta società, Amami o lasciami, Sette spose per sette fratelli, Lassù qualcuno mi ama, Zigfield Follies, Scandalo a Filadelfia. L'arredamento della casa di Leon è elegante e moderno, il grand hotel è fastoso e classicheggiante, la stanza di Ninotchka a Mosca monumentale ma misera.
I costumi, come sempre in Lubitsch curatissimi, sono di Adrian Greenburg, geniale stilista di Hollywood (su Torino Style trovate un post molto interessante dedicato proprio a lui); si sbizzarrisce per la Garbo in completi "razionalisti", alta moda con cappello ad anfora e un meraviglioso e scollatissimo abito da sera.
Greta Garbo (2 volte Anna Karenina, muto e col sonoro, Mata Hari, Grand Hotel) ormai verso la fine della carriera finalmente si concede una bella risata; le doti interpretative sono fuori discussione, ma non si può non notare come la verve comica arrivi dalcontrasto fra il suo personaggio rigido e severo e quello scanzonato di Melvyn Douglas (Il candidato con Robert Redford, L'inquilino del terzo piano di Polansky, Hud il selvaggio con Paul Newman, Oltre il giardino con Peter Sellers), un vero fuoriclasse ingiustamente poco conosciuto nonostante possa vantare ben due Oscar e una carriera cinquantennale. Il suo Leon è il vero protagonista e deus ex machina del plot. Possiamo non rimpiangere i tempi in cui gli uomini erano eleganti senza affettazione ma sempre virili, sfacciatamente dediti alla caccia di belle donne ma senza rinnegare i propri sentimenti ed erano capaci di coltivare anche i piaceri più colti come la musica o il teatro?
Senza voler cercare reconditi significati psicologici restiamo leggeri anche noi: il film altro non afferma che una incontenibile joie de vivre: non c'è senso di responsabilità che tenga, nè verso le "grandi" ed "importanti" aspirazioni dettate dalla politica nè verso le aspettative sociali: come fa dire a una Ninotchka significativamente un po' brilla, anche se ci dicono che la rivoluzione è in marcia, pioveranno le bombe e sprofonderanno le civiltà, questo è il nostro momento di essere felici, godiamocelo!
Lubitsch touch!
Garbo laughs! |
lo vedo già, tra le righe della recensione...dalla camiciona cosacca all'abito scultura! che Garbo!
RispondiEliminaGrazie Simone, è un contributo interessantissimo!
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