Il caso cinematografico dell'inizio del 2014 è senza dubbio I sogni segreti di Walter Mitty di e con Ben Stiller. Sorprendendo tutti Stiller esce dal suo consueto registro comico per confezionare una commedia delicata e romantica, estremamente piacevole da guardare.
Possiamo davvero dirci sorpresi da questo exploit? Chi come me inizia ad avere qualche filo grigio fra i capelli non ha dimenticato che l'esordio alla regia di un giovane Stiller avvenne in piena era grunge con Giovani, carini e disoccupati, quando a Ethan Hawke si poteva ancora scusare ancora l'odore muschiato e Winona Ryder era la fidanzatina d'America. Certo, le cose in seguito hanno preso un'altra piega, ma la verve romantica Stiller l'aveva già dimostrata venti anni fa.
Il soggetto è tratto da un racconto di James Thurber dal quale è stato anche tratto Sogni proibiti, un vecchio film degli anni 40 con la coppia Danny Kaye - Virginia Mayo, Stiller però (o meglio il suo sceneggiatore Steve Conrad) rielabora la storia per adattarla ai nostri tempi: il risultato è un film con una punta di amaro in più rispetto al predecessore, quasi un contrappeso alla comicità delle situazioni in cui si trova il protagonista, che non siamo mai sicuri se siano "reali" o frutto della sua immaginazione.
Il Walter Mitty del 1947 è un mite e svagato (ma geniale) redattore di una casa editrice di fumetti horror, con il vizio di sognare ad occhi aperti (oggi diremmo - ironia - che si fa un film in testa). Fidanzato con una moretta perbenista e rompiscatole, viene coinvolto per puro caso in un intrigo criminale da un bionda (Virginia Mayo) identica alla donna dei suoi sogni. La distrazione di Mitty è tale che quando chiede aiuto a parenti e colleghi tutti sono convinti che non sappia più distinguere tra realtà ed immaginazione.
Anche se il film parte un po' lento (nonostante la regia di Norman McLeod, più volte collaboratore dei Fratelli Marx) la vis comica di un Kaye che passa attraverso le situazioni più assurde è irresistibile. In questa versione Mitty rischia di essere vittima di una banda di assassini, correndo seri pericoli (deve sfuggire persino a Boris Karloff!) ed alla fine ottiene una promozione.
Il Walter Mitty di Stiller invece è l'archivista fotografico della rivista Life nel momento in cui questa passa da rivista cartacea a web company (situazione verificatasi realmente). Innamorato di una bella collega (Kristen Wiig), la sua vita viene complicata da una foto inviatagli da un famosissimo fotografo, Sean O' Connell (poco più di una cameo ma di grandissima classe per Sean Penn), per essere la storica copertina dell'ultimo numero del Life di carta. La foto non si trova da nessuna parte e Walter decide di lasciare il suo rassicurante ufficio per inseguire O'Connell per mezzo mondo per farsi consegnare il negativo. Dall'Alaska all'Islanda, per finire in Nepal e Afganistan, Walter scoprirà un lato di sè sopito da sempre a causa delle responsabilità familiari. Mano a mano che Walter inizia a vivere una vita sua, inizia ad avere meno bisogno di immaginarne una diversa; il regalo dell'amico fotografo più che un'occasione da copertina sembra essere l'occasione per imparare a vivere il presente.
Stiller ci porta in un viaggio in posti che la maggior parte di noi non vedrà mai, regalandoci panorami spettacolari fotografati benissimo da Stuart Dryburgh (collaboratore di Jane Campion nella prima fase della sua carriera). I punti in comune con il Walter Mitty di Kaye si limitano al sogno ad occhi aperti ed a un percorso di formazione che porta il personaggio a scoprire di essere in grado di vivere le avventure da sempre soltanto immaginate. In entrambi i casi il motore della presa di coscienza è una donna da conquistare. La vera sorpresa è che Stiller coglie in pieno l'occasione per dimostrarci di essere un cineasta vero: la scena della corsa in skateboard prima dell'eruzione dell'Eyjafjallajökull (il vulcano islandese che causò lo stop del traffico aereo in europa qualche anno fa) è una gioia per gli occhi, il karaoke in Alaska raggiunge quasi il livello espressivo di quello di Lost in translation. A fare da cornice al tutto la riflessione su un mondo della finanza più stupido che spietato, più avido che cattivo. E' la superficialità a fare il danno peggiore nella visione "stilleriana" della ristrutturazione della rivista in cui lavora Mitty. La ripetizione quasi ossessiva del motto di Life è emblematica: vedere, fare, capire, incontrarsi sono le parole chiave, tutto il contrario di quei personaggi finti fino alla punta della barba a cui è affidato il futuro di una delle più iconiche pubblicazioni di sempre e - soprattutto - delle persone che l'hanno resa tale dedicandovi tempo e passione.
A I sogni segreti di Walter Mitty manca ancora qualcosa per essere un capolavoro assoluto, però non sbaglia il finale (non dico di più) e mette insieme una vera sinfonia dell'immagine: ambientato nella rivista che forse più di tutte ha fatto della fotonotizia un'arte, ci porta di panorama in panorama, fino a giungere al momento in cui Walter ritrova finalmente O'Connell e questi gli spiega il significato del suo modo di vivere. Il contrasto fra i manager rappresentati in modo quasi bidimensionale e la profondità di campo che assume la vita di Mitty quando decide di mettersi in gioco è quasi poesia.
La sala gremita a tre settimane dall'uscita nei cinema mi dice che Stiller ha colpito nel segno: un film divertente ma delicato che fa venir voglia di rivederlo.
Regia: Ben Stiller
Fotografia: Stuart Dryburgh
Scenografia: Jeff Mann
sono d'accordo anche sulla filosofia della foto: non sempre quando raggiungi la 'grande inquadratura' la fotografi...spesso preferisci vivere il momento.
RispondiEliminasì, sono d'accordo.