domenica 5 settembre 2010

Somewhere - dove è il tuo cuore, là è il tuo tesoro


C'è qualcosa di ognuno di noi in Johnny Marco, l'immaginaria star di Hollywood in Somewhere di Sofia Coppola, ma ci torneremo su fra poco. 
La figlia d'arte e di fatto di Francis Ford Coppola (qui in veste di produttore esecutivo) non sbaglia un colpo e ci regala un altro film memorabile dopo Il giardino delle vergini suicide, Lost in translation e Marie Antoinette. Lo sguardo di Sofia sa cogliere il surreale come pochi altri ed ha la rara dote di un'ironia feroce, senza tuttavia giudicare i propri personaggi. In questo film parla di ciò che probabilmente conosce meglio: il mondo dello showbiz  e il rapporto padre - figlia nell'ambiente dello spettacolo; indubbiamente alcuni spunti sono autobiografici, ma riesce comunque a mantenere il dovuto distacco.
La storia infatti ci racconta di Johnny (Stephen Dorff, visto in Blade, e più di recente in Nemico Pubblico con Johnny Depp), celeberrimo attore che passa le proprie giornate al Chateau Marmont (scelta ovviamente non casuale, servirebbero un paio di pagine solo per l'elenco di attori e rockstar che vi hanno soggiornato) fra eccessi di alcol, medicinali e sesso. Ma Johnny non sa più divertirsi, pare quasi aver perso la memoria del perchè si trovi lì e passa da una situazione assurda all'altra, dal letto di una coppia di spogliarelliste gemelle ad una surreale conferenza stampa con l'identica espressione di indifferenza, straniero a  se stesso ed al mondo in cui vive.
La Coppola fortunatamente non si perde in moralismi (e si che la giustizia sommaria sarebbe semplice: ha tutto, è giovane, ricco, famoso, desiderato), va anzi dritta al punto: Johnny, banalmente, si limita a vivere la vita che gli è toccata in sorte - non ha nemmeno studiato recitazione - senza sapere bene come fare a uscirne, sembra anzi aver perso la mappa: non sa più dove si trova nè dove vuole andare. A scuotere il suo torpore arriva la figlia preadolescente Cleo (Elle Fanning, sorella minore della più famosa Dakota) che resterà a vivere con lui per alcune settimane dandogli l'occasione che stava aspettando.
Scene memorabili: 
L'esibizione delle spogliarelliste gemelle con Johnny che si addormenta, surreale e tristissima!
Tutta la sequenza italiana della consegna dei telegatti, verosimile in modo imbarazzante, con ballerine sculettanti e seminude (la coreografia è molto simile allo strip tease delle gemelle, non ho capito se fosse voluto o meno, ma è inquietante).
Infine la scena del ritorno al Chateau Marmont dopo la trasferta italiana, con Cleo che si addormenta con la testa abbandonata sulla spalla del padre.
Ci è piaciuta moltissimo la tecnica dell'inquadratura fissa con i personaggi che entrano ed escono dal campo, come se al di fuori dello spazio previsto per loro non esistessero neppure, d'altronde allo spettatore non interessa la persona dell'attore, ma solo il personaggio che lo star system ha confezionato per lui.
Il cast:  
Stephen Dorff, molto in forma, interpreta con misura un Johnny perso ma non perduto. Indossa in continuazione camicie a quadri sulla maglia della salute o t-shirt di band rock (tipo quella dei Black Flag, gruppo cult degli anni '90).
Elle Fanning, ci è piaciuta molto. Una Cleo undicenne ma cresciuta più della sua età; in effetti quasi nessuno la tratta come una bambina. Belli i costumi, che la fanno sembrare un po' più grande della sua età, scelta di regia o più semplicemente è nello spirito dei tempi il vestire le bambine in modo vagamente lolitesco? Molto elegante nel vestito indossato per la cerimonia di consegna del telegatto.
Tutti i personaggi italiani, anche le comparse, sono vestiti realisticamente "da italiani", in modo molto diverso dai personaggi americani.
La sequenza della trasferta in Italia ci regala alcuni personaggi di casa nostra che, per quanto minori rispetto alla trama, non possiamo esimerci dal commentare.  
Laura Chiatti interpreta un flirt italiano di Johnny, ancheggia da par suo su tacchi 12, sempre bellissima.
Jo Champa (a volte ritornano!), giustamente volgare in un bel cameo come moglie di "Pupi" (aargh!), il burinissimo produttore italiano dell'ultimo successo di Johnny.
Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini consegnano i telegatti. La Coppola sostiene che la scena sia la ricostruzione di una situazione realmente vissuta, poco importa: dall'estero ci vedono così e non ce ne stupiamo. I tre interpretano se stessi, nel film sono simbolo della volgarità imperante e fanno una magnifica contrapposizione all'eleganza di Cleo, in prima fila ad applaudire il padre. Neppure noi indulgiamo al moralismo: al film servono così. A noi, meno!

Non è una storia senza speranza quella di Somewhere. Da qualche parte, in questo grande mondo, tutti viviamo un quotidiano surreale ed alienante, ma a ben vedere basta poco per ritrovare affetti, radici e speranza. Johnny ci prova, lascia il luogo dell'apatia, lascia le false sicurezze e lascia anche la sua Ferrari, non gli serve più. Non gli serve più nulla: ci sono solo lui, una piana sterminata e la strada. Finalmente può sorridere: per lui (ma non è forse così per tutti?) c'è un orizzonte sconfinato da raggiungere, laggiù, somewhere... 
Buon viaggio a tutti!

mercoledì 7 luglio 2010

Valentino - la solitudine dei numeri uno


Quale occasione migliore per Torino Style di unire la passione per la moda e quella per il cinema e vedere per voi il DVD di "Valentino - the last emperor"? La pellicola segue l'ultimo periodo della carriera del grande couturier, in particolare la sfilata parigina del 2007 e la celebrazione romana per i 45 anni di carriera; tecnicamente si tratta di un documentario, girato in presa diretta sui luoghi di lavoro, ed ha il grande pregio di consentirci uno sguardo all'interno del mondo un po' magico ed un po' misterioso dell'alta moda.
Il film è realizzato dal cineasta americano Matt Tyrnauer (bravo ed equilibrato). La domanda ci sorge spontanea: un progetto come questo viene realizzato da un americano perché la lontananza culturale gli consente uno sguardo privo di pregiudizio o perché in Italia nessuno è in grado di farlo? Attendiamo con  curiosità qualche commento in merito.

Il film centra l'attenzione sul sodalizio fra Valentino e Giancarlo Giammetti, rispettivamente la geniale anima creativa e la brillante mente organizzativa che hanno dato una grande contributo alla creazione del mito del made in Italy, infondendo vita e vigore ad una delle principali fashion companies a livello mondiale.
Una riflessione importante che il film propone è quella sul legame fra finanza e moda, precisamente su come il mondo della moda si vada trasformando sempre più in un mercato, comprimendo parzialmente la libertà creativa degli stilisti. Se la domanda di fondo è "oggi per un giovane stilista sarebbe ancora possibile diventare Valentino?", ebbene la risposta, purtroppo, pare scritta negli indici di bilancio più che nelle matite dei designers.

Nelle prime sequenze Valentino dichiara di essere stato inizialmente ispirato dal cinema, dai meravigliosi costumi delle dive del silver screen, e a noi pare che di questa ispirazione abbia fatto tesoro per una vita che sembra davvero un film: dalle prime esperienze parigine, agli incontri fondamentali, alla costruzione di un successo mondiale partendo sostanzialmente da zero e attraversando con la stessa eleganza le diverse epoche dagli anni '60 in poi.
Il film non manca di momenti ironici o buffi, che a nostro avviso alleggeriscono un po' l'insieme e non scalfiscono di una virgola nè l'uomo nè il mito che ha saputo creare.

Le sarte fanno tutto a mano (come Giammetti orgogliosamente rivendica), le mannequin paiono davvero più "strumenti di lavoro" che bellissime donne da ammirare, lo stile di Matteo Marzotto è da manuale, ma purtroppo nessun libro può insegnare la sua innata eleganza. Alle sfilate presenziano miriadi di attori hollywoodiani, ma in questo film sono solo comparse!
Momenti da ricordare: la geniale inquadratura dei carlini messi in fila sul sedile dell'aereo all'inizio del film, la scena della consegna della Legion d'Onore con i ringraziamenti sinceramente commossi a Giammetti, la camera che coglie il cambio d'espressione delle modelle, da trafelato nel backstage ad altero sul catwalk; infine Valentino e Karl Lagerfeld, mentre ammirano i vestiti appesi all'Ara Pacis, sembrano due generali avversari che si incontrano dopo anni di battaglie e non hanno bisogno di parole per capirsi. 

L'atmosfera del film, uscito nel 2009, è un po' da fine di un'epoca e forse è proprio così, oggi si ama forse più la moda dell'eleganza e la trasgressione più della professionalità. 
Valentino, per quanto ammirato, non pare compreso fino in fondo quasi da nessuno, come se il suo inarrivabile talento lo rendesse in qualche modo straniero. E' forse parte del destino dei numeri uno scalare la montagna fino alla vetta e scoprire che non v'è posto per nessun altro?

mercoledì 16 giugno 2010

Il Concerto, o della ricerca del bello


Esce il 16 giugno in DVD Il concerto, pregevole opera di Radu Mihaileanu, di cui si ricorda il commovente Train de vie. Si tratta di una favola, il cui prezioso messaggio è nascosto ora dal registro grottesco, ora da una pungente ironia. 
La trama segue le vicende di un direttore d'orchestra, caduto in disgrazia ai tempi di Breznev, nella realizzazione (improbabile) di un sogno interrotto trenta anni prima dall'idiozia totalitarista. Andreï Filipov, rimosso dal suo incarico di direttore dell'orchestra del Bolschoi, è ormai ridotto a fare le pulizie nel teatro che lo vide trionfatore e i membri della sua orchestra conducono da trenta anni vite altrettanto umilianti. L'occasione è quella di sostituirsi all'orchestra del Bolschoi per un concerto a Parigi. Andreï, come in tutte le fiabe che si rispettino, dovrà superare alcune prove, ritrovare i musicisti, organizzare il viaggio e riuscire a suonare a Parigi senza aver provato un solo minuto. Eppure l'improbabile orchestra è unita da un filo invisibile, il portare a termine un concerto interrotto trenta anni prima, così come invisibile è il filo che lega la solista Anne-Marie Jacquet al destino di questo stesso concerto. E' un segreto e nobile compito di dignità e di umana pietà, quello che si danno i nostri musicisti; a ben vedere ciò che li muove non è la ricerca di una rivincita ma la ripresa di un discorso interrotto. Ogni orchestrale può dare il proprio contributo, la vita li ha resi brutti, meschini, egoisti, ubriaconi: tutti saranno redenti perchè uniti - nonostante tutto - dalla ricerca del bello, dell'assoluto. Non è questione di tecnica, ma di cuore, ed è grazie a questo che Andreï riuscirà nella sua personale catarsi e Anne-Marie, attraverso la musica, troverà una nuova consapevolezza di sè. 
Il film è anche l'occasione per una feroce critica alla miopia dei totalitarismi; raramente abbiamo assistito ad un affondo così penetrante nei confronti del regime sovietico, oggi rappresentato in modo quasi gattopardesco dai magnati del gas. Mihaileanu sembra dirci che nessuna epoca può dirsi realmente al sicuro: i nemici dell'arte e del bello si nascondevano ieri in un regime stolido, oggi li ritroviamo nelle pacchianate da miliardari senza cultura.

Gli interpreti:
Mélanie Laurent: l'abbiamo già apprezzata in Bastardi senza gloria di Tarantino ed ha veramente i numeri. E' una perfetta Anne-Marie Jacquet, di cui rende con sincerità la spocchia "parigina" prima ed il sentimento di solitudine e fragilità dell'orfana poi
Aleksei Guskov: è un magnifico protagonista. Dignitoso ed elegante quasi malgré soi, interpreta con classe un uomo che pare sconfitto dalla vita, ma che in realtà non riesce a rinunciare al valore assoluto. 
Citazione d'obbligo per Miou-Miouun pezzo di storia del cinema francese: interpreta la madre putativa di Anne-Marie ed è semplicemente monumentale, soprattutto nella misura. I veri grandi non strafanno!

Un film come questo non si giudica dai costumi, tuttavia segnaliamo la elegantissima mise di Mélanie Laurent nella scena della cena, ed il vestito bianco che indossa al concerto.
Bellissimo l'arredamento della casa della violinista, una vera maison d'artista!
In mezzo a un film che non rinuncia a prendere in giro perfino sè stesso (i personaggi parlano con un accento russo a dir poco fumettistico), Mihaileanu ci regala due scene di grande cinema: la cena in cui Andreï non riesce a comunicare la verità ad Anne-Marie e quando Sacha, il violoncellista, chiede alla stessa Anne-Marie di non rinunciare al concerto in nome di un valore: la bellezza.

Pietà, dignità, bellezza. Non sono parole di cui capita di scrivere spesso, eppure il film ci dà speranza: chissà che di qui a trenta anni qualcuno non riesca nuovamente ad allestire un concerto per ridare giustizia a valori che a volte covano sotto la cenere, ma non si spengono! 

venerdì 28 maggio 2010

Robin Hood, la recensione


In tempi di crisi e scandali finanziari internazionali, quale storia è più attuale se non quella di Robin Hood? Ridley Scott ancora una volta si conferma fortunato, oltre che bravo, ed esce con il film giusto al momento giusto. 
Necessaria premessa: non si tratta di un film storico. Rispetto a precedenti versioni i fatti sono calati in un contesto storico realistico anche se non reale e i personaggi sono ispirati ai veri protagonisti di quel periodo; tuttavia, un film non è un libro e si prende ampie licenze "artistiche" inventando di sana pianta, ad esempio le circostanze della morte di Riccardo Cuor di Leone o  la genesi della Magna Charta, in modo però funzionale al discorso che Scott intende portare avanti. 
Il film narra di Robin Hood prima che diventasse mito, un'operazione già tentata con successo da Christopher Nolan con Batman Begins. La trama si tiene comunque sulla falsariga della tradizione, con qualche variante. Robin Hood è un soldato che di rientro dalle crociate si trova ad impersonare un nobile inglese. Le circostanze lo porteranno ad assumerne completamente l'identità completando un percorso personale attraverso cui ritroverà le proprie radici, scoprirà una nuova coscienza civile e farà innamorare lady Marian. Game, Set and Match!
Belle e ben sceneggiate le scene di guerra e di lotta. Bella l'immagine della nave che risale a remi il Tamigi. Le scialuppe da sbarco dei francesi, in stile Normandia 1944 ma a remi: semplicemente buffe; non possiamo che augurarci che siano state messe lì strizzando un occhio al soldato Ryan!

Il cast: un vero parterre de roi con molti britannici.
Russel Crowe, piuttosto in forma giunto ai 46 anni, è ormai  presenza fissa nei film di Scott. E' un Robin Hood muscolare ma credibile. Ci piace (fin dai tempi di LA Confidential) per come sa usare un fisico possente solo quando serve, mettendosi al servizio dell'interpretazione e non viceversa.
Cate Blanchett, è una scelta piuttosto azzeccata. Riesce ad essere elegante anche lavorando nei campi, coniuga alterigia nobiliare e passione civile. Una bionda qualsiasi sarebbe stata fuori luogo.
William Hurt è la vera sorpresa del film, e non parliamo solo dell'abbondante dose di botulino con cui si è spianato il viso! Interpreta con rara maestria un Guglielmo di Longchamp (personaggio storico) vero deus ex machina della corte inglese. Ci mancava e l'abbiamo ritrovato!
Max Von Sydow: Interpreta il vecchio padre cieco di Locksley e diviene padre spirituale di Robin Hood. Torreggia da par suo senza gigioneggiare eccessivamente. 
Mark Strong: il personaggio (Godfrey, il super cattivo del film) è banale, ma merita un citazione per il make up per la cicatrice stile Capitan Harlock su un lato della bocca causata da una freccia di Robin. 
Danny Huston (figlio del grande John Huston): fa un Riccardo Cuor di Leone romantico e diverso dal solito: come un soldato stanco ma consapevole di non poter fare altro che continuare sulla via che ha scelto fino alle estreme conseguenze.
Oscar Isaac nel ruolo di Giovanni Senza Terra (incomprensibilmente il fratello è biondo-rossiccio - come nella realtà era - lui invece sembra il fratello del Saladino, carnagione olivastra e una barbetta che sarebbe ridicola anche sulla faccia di un tronista). E' un personaggio sfortunato perchè pare che debba essere rappresentato comunque come un idiota. Qua e là vediamo invece  barlumi di una interpretazione originale. Lo aspettiamo a una prossima prova!
I costumi non sono particolarmente belli ma abbastanza fedeli al periodo, Robin indossa pantaloni di pelle un po' punk, Marian veramente troppo scollata per quel periodo storico. Da notare il numero di anelli alle dita di re Giovanni e della principessa Isabella. Gli abiti regali però li avremmo voluti più in evidenza.

Last but not least il regista: Ridley Scott è forse l'autore in attività che può vantare il maggior numero di film che hanno fatto epoca (I duellanti, Alien, Blade Runner, Thelma & Louise, Il Gladiatore e qui mi fermo per ragioni di spazio); purtroppo questo non è uno di quelli, ma resta un prodotto di rara qualità. Ce ne fossero!