venerdì 4 febbraio 2011

Mancia competente - It could be sweet


Vi è mai capitato di ordinare ostriche al ristorante e trovare dentro una di esse una perla? Questa è la sensazione esatta che abbiamo provato noi assistendo alla proiezione di Mancia competente, pessima traduzione (al solito) del ben più incisivo titolo inglese Trouble in paradise. Si tratta del 53° film di Ernst Lubitsch (Anna Bolena, L'allegro tenente, Montecarlo, Il principe consorte) maestro tedesco, trasferitosi negli USA, della commedia brillante.
La trama racconta di Gaston Monescu (Herbert Marshall, visto in Venere Bionda di Von Sternberg) ladro e truffatore che passa la vita depredando i facoltosi ospiti di alberghi di lusso. Gaston, nel corso di una delle sue avventure, si imbatte in Lily (Miriam Hopkins, L'allegro tenente già con Lubitsch), giovane ed avvenente truffatrice. I due immediatamente riconoscono l'anima gemella l'uno nell'altra e iniziano una vita girovaga passando da un colpo all'altro. A Parigi i due decidono di derubare una ricca ereditiera, Madame Colet (una seducente Kay Francis, Peccato virtuoso, La donna e la femmina, Amanti senza domani). Il piano, diabolicamente semplice, prevede che Gaston guadagni la fiducia di Mme Colet lavorando come suo assistente personale fino a convicerla a trasferire una grossa somma di denaro in casa dove potrà essere rubato senza difficoltà da Gaston e Lily. La faccenda si rivelerà più complicata del previsto perchè il nuovo segretario di Mme Colet alimenterà al tempo stesso la gelosia dei numerosi pretendenti della bella milionaria e quella di Lily.


Gaston, innamoratosi della bella datrice di lavoro, si troverà quindi a dover scegliere non solo fra le due donne ma fra due stili di vita antitetici, e non vi faremo il torto di rivelare la sua scelta!



Per una volta, con nostra grande soddisfazione, possiamo soffermarci sui costumi: meravigliosi quelli femminili ma di grande eleganza e sobrietà anche quelli maschili. Travis Banton (Se io fossi re, Montecarlo, Il dr. Jekyll, Shangai express, solo per citarne alcuni), di cui prossimamante riparleremo su questo blog, si conferma il miglior costumista di Hollywood drappeggiando elegantissimi abiti, sia da giorno che da sera (i nostri preferiti, sia quello bianco nella scena a teatro, che quello nero indossato nel finale) utilizzando con maestria la seta e come motivo ricorrente irresistibili dettagli in pelliccia.


Degni di nota anche i costumi maschili, dalle classiche marsine indossate dai personaggi più tradizionalisti agli impeccabili completi di Gaston. Una cura particolare si apprezza nella scelta delle cravatte: magistrali gli accostamenti del pur arcigno manager Adolphe Giron, bello il papillon a pois indossato sul tight dal sempliciotto Mr Filiba.


Altrettanto curate le scenografie, semplici ma efficaci, che rendono perfettamente l'idea del lusso decadente degli alberghi veneziani, nelle sequenze iniziali, e del razionalismo minimal ma lussuoso della casa di Mme Colet.


Lubitsch tratteggia in modo impareggiabile un empireo di ricchezza e glamour nel quale i personaggi, solo apparentemente egoisti, lottano strenuamente per la conquista dell'amore. Spiccano (una volta tanto!) i personaggi femminili: emancipati, indipendenti e - anche quando poveri - privi della minima volgarità.
L'atmosfera è intrisa di un erotismo ben più che accennato, ma la rinuncia all'esibizionismo rafforza il senso di eleganza che caratterizza tutta la pellicola.


Nel gioco delle parti non si può che ingannare o essere ingannati, eppure non si sfugge al proprio destino: a qualcuno dei personaggi rimarrà solo la tistezza di una sconfitta ed il rimpianto  di come avrebbe potuto essere bella la vita (it could be sweet, come dolorosamente cantano i Portishead) se solo il mondo non fosse fatto come è fatto.
Brillanti i dialoghi con alcuni scambi di battute che resteranno memorabili, fra i quali non possiamo non citare quello in cui siamo certi molte lettrici si riconosceranno:


Commesso: "Questa borsa Mme Colet costa solo 3.000 Franchi"
Mme Colet: "Oh no, è decisamente troppo! Questa qui invece?"
Commesso: "Questa qui, Madame, costa 125.000 più cento Franchi!"
Mme Colet: "Ma è bellissima...la prendo!"



Come i più accorti fra i nostri lettori avranno già notato, questo film è piuttosto datato. Per la precisione è stato girato nel 1935. Eppure la domanda sorge dolorosamente spontanea: in quale film girato negli ultimi venti anni abbiamo il piacere di ammirare personaggi femminili di grande bellezza che non siano solo corpi da desiderare, in cui le donne siano capaci di realizzarsi da sole, arbitre del proprio destino senza per questo disprezzare il genere maschile? In quale pellicola di questi tempi tanto liberati e disinibiti quanto problematici il protagonista è in grado di sedurre con maestria una donna discettando del make up più adatto ad esaltare la di lei bellezza? In quale opera, ancora, l'eleganza maschile di abiti dal taglio accurato e delle cravatte scelte con sapienza non viene additata come simbolo della ricchezza che prevarica o di vuota formalità?
Forse l'amore per il vintage ci acceca, ma vedendo oggi questa commedia leggera e maliziosa, ci si rammarica che non si producano più pellicole così attente a quegli elementi come l'eleganza, lo stile, la cortesia che a nostro avviso hanno una platea assai più vasta di quanto alcuni soloni del marketing paiono pensare!

mercoledì 12 gennaio 2011

Hereafter - How soon is now?



E' con una certa preoccupazione che siamo entrati in sala per darvi conto dell'ultima opera di Clint Eastwood, di cui non pensiamo siano necessarie presentazioni.
La preoccupazione era dovuta parzialmente al tema trattato (l'aldilà) e in altra parte alle numerose recensioni comparse in questi giorni, divise fra il "capolavoro" ed il "povero vecchio, ormai si sente un piede nella fossa". A nostro avviso l'opera resta di un gradino al di sotto delle sue migliori, quanto alla seconda ipotesi vi rimandiamo alla foto qui sopra, a voi il giudizio!
Sgombriamo dunque preventivamente il campo da malintesi, Hereafter non è un film sulla morte, nè su cosa ci attende dopo la morte. A dispetto di sguardi superficiali Eastwood  con questo film ci ricorda che viviamo qui, adesso e solo di questo dovremmo preoccuparci. Che il discorso provenga da un autore di 80 anni (assai ben portati peraltro) è forse un sintomo dei nostri tempi irrisolti e depressi?

Belle e azzeccate le scenografie, in particolare la casa da single di Matt Damon e quella da intellettuale di una Cecile de France sempre molto ben vestita. Il che, oltre a piacerci "a prescindere", è anche ben in accordo con il personaggio.
Per potenza visiva e senso della misura la sequenza dello tsunami è da storia del cinema e da sola varrebbe il prezzo del biglietto.

La trama segue tre personaggi che più diversi non potrebbero essere: George Lonegan (Matt Damon), un sensitivo americano che rifugge dal proprio "dono" di comunicare coi morti (o meglio con le loro anime), Marie Lelay, una giornalista francese (Cecile de France - belga a dispetto del nome - Il giro del mondo in 80 giorni con Jackie Chan) in vacanza nel sud est asiatico travolta dallo tsunami, che prova un esperienza di vita oltre la vita e Marcus, un ragazzino inglese (Frankie McLaren, e il gemello George) proveniente da una famiglia disastrata (la madre è eroinomane) e che perde il proprio fratello gemello per un incidente automobilistico. I destini di questi tre personaggi seguiranno per quasi tutto il film strade parallele, per poi incrociarsi nel finale.

Questi personaggi, ciascuno a modo proprio ossessionato dalla morte, sperimentano dapprima l'incomprensione: George, perchè non vuole sfruttare economicamente le proprie possibilità di mettersi in relazione con l'aldilà; emblematico che a nessuno interessi cosa LUI provi o quanto gli costi, i suoi clienti vogliono solo sapere cosa ne è dei cari estinti. Marie, dopo essere quasi annegata nello tsunami inizia a porsi ed a porre domande importanti, sempre percepite come fuoriluogo. Il suo fidanzato-capo le spiega infastidito come sia ovvio che dopo la morte non c'è nulla, chiunque abbia buon senso lo sa. Incompresi anche i gemelli, che amano - ricambiati - la propria madre così com'è (anche se non rinunciano a sperare che diventi migliore).
Il secondo tema è la difficoltà a comunicare (o di ascoltare?). Quanto a George nè il fratello nè la possibile fiamma Melanie (Bryce Dallas Howard, figlia del Ron regista, vista in Twilight: Eclipse, Spiderman 3 di Sam Raimi, Come vi piace di Kenneth Branagh e Manderlay di Lars Von Trier) riescono a capire che lui non vuole più praticare un "dono" che porta più dolore che serenità. Riguardo a Marie, nè la casa editrice per cui dovrebbe scrivere un libro, nè il fidanzato-capo (che ci mette pochissimo a sostituirla, e non solo in video) riescono a capire la sua ansia di ricerca, di risposte. Nessuno, infine, intorno a Marcus, sembra realmente capire la sua necessità di ritrovare l'unico punto fermo della sua vita, letteralmente strappatogli via.
Il destino fa sì che i tre protagonisti si incontrino a Londra, dove avverrà la catarsi finale ed i nodi si scioglieranno in un inno alla vita.

Riassumono bene il film due frasi di George: quando - per bocca del fratello - afferma che non si può vivere pensando sempre alla morte, e quando tenta di convincere Melanie che ci sono cose, nel passato nostro e dei nostri cari che è meglio restino non dette. La poverina non lo ascolta e uscirà sconvolta dall'esperienza del contatto con l'aldilà.

Eastwood pare ammonirci: non ci è utile sapere se c'è e come è fatto il dopo... Quello che ci serve è capire che siamo comunque provvisori, e non è mai troppo tardi (citando gli Smiths: "quanto presto è ora?") per scegliere, con tutti i rischi che questo comporta, la vita.

sabato 1 gennaio 2011

L'esplosivo piano di Bazil - Shot of love


Dopo cinque anni, torna a dirigere un nuovo film Jean-Pierre Jeunet. Forte di alcuni titoli memorabili nel passato (l'abrasivo Delicatessen, ma anche il sanguinario Alien la clonazione oltre al celeberrimo Il favoloso mondo di Amélie), come tutti i grandi autori Jeunet ama sviluppare alcune tematiche che gli sono care: la famiglia - spesso d'elezione più che di sangue - il rapporto con la morte e, soprattutto, la casualità che rende la vita imprevedibile e affascinante.
Se dovessimo condensare in un aggettivo l'universo immmaginario di Jeunet non avremmo dubbi: strambo!  Strambi sono i personaggi, strambo il mondo in cui vivono: un universo al margine del mondo reale. Non per questo però i sentimenti sono meno profondi ed i dolori meno veri; non fa e non si fa sconti Jeunet: la vita è dura anche quando è magica!

Bazil, il protagonista interpretato da Dany Boon (qui sempre convincente dopo l'ottima prova in Giù al nord), da bambino perde il padre artificere in Africa saltato su una mina antiuomo, fuggito dall'orfanatrofio lo ritroviamo commesso in un negozio di dvd (come, nella realtà, fece Quentin Tarantino, solo un caso o una strizzata d'occhio?). Una sera, coinvolto per caso in una sparatoria, sopravvive ma gli resta una pallottola conficcata nel cervello. In seguito al ricovero in ospedale perde tutto: casa, lavoro e fiducia nella vita. L'incontro con una comunità di barboni riciclatori di rifiuti gli regalerà una famiglia e nuova speranza ("devi toglierti quella pallottola dalla testa figliolo", ovviamente non in senso letterale). Bazil viene per caso (o per magia?) a scoprire che le due fabbriche che hanno prodotto la mina che uccise il padre ed il proiettile che si porta nella testa si trovano proprio nella sua città e proprio una di fronte all'altra, come in una infinita guerra di trincea. Escogita dunque un piano, aiutato dai suoi improbabili quanto versatili amici, per abbattere le due multinazionali produttrici di sofisticati strumenti di morte.
Ovviamente Bazil non si abbasserà al livello dei suoi nemici, che verranno perduti dalla loro stessa avidità e destinati ad essere ridicolizzati e messi a nudo attraverso la nuova arma: internet (Jeunet precorre il fenomeno wikileaks con apprezzabile anticipo).

Come sempre nei film di Jeunet la scenografia è semplicemente adorabile. Bellissimo il contrasto fra le abitazioni, con interni in perfetto stile "steampunk", underground, tecnologici e retrò al tempo stesso per la banda dei barboni, uno stile techno-minimal per uno dei due direttori delle fabbriche d'armi e perfetta casa borghese per l'altro (interpretato da André Dussollier, presenza costante nei film di Jeunet, i meno giovani lo ricorderanno come uno dei tre scapoloni - il pilota d'aerei - di Tre uomini e una culla di Coline Serrau).

Jeunet ci presenta un mondo dove il male è presenza costante, ci sono dittatori che escogitano colpi di stato, fabbricanti d'armi senza scrupoli, malviventi che si sparano per strada. C'è anche chi, come Bazil, non ha più nulla, nè padre, nè madre e una minaccia costante per la sua vita dentro al suo corpo.
Eppure questa strana famiglia di barboni dimostra di avere ciò che il denaro non può comprare: l'amore ed il sostegno di una famiglia, sia pure "di risulta", come i personaggi ripetono spesso. Come tutto il materiale che toccano sono imperfetti, mutilati nell'anima o nel corpo, aggiustati alla meglio. Però, insieme ai difetti, ognuno di loro ha un talento e la volontà dimetterlo a disposizione di chi ama. 
Si prende così com'è, il materiale di risulta, lo si aggiusta e - a volte - se ne può trarre una vera e propria opera d'arte, come Petit Pierre lo strambo l'inventore sa fare costruendo con le posate un robot che chiede l'elemosina!

giovedì 25 novembre 2010

Inception - Distinguere nei sogni il falso dal vero


Dentro un  film d'azione dove si susseguono senza posa sparatorie ed inseguimenti, Christopher Nolan (Memento, Insomnia, Batman Begins, The Prestige, The Dark Knight) nasconde una complessa riflessione sulle sue tematiche preferite: sogno, realtà ed illusione. 
Il film ipotizza che sia stata scoperta una tecnica per introdursi nel subcosncio attraverso il sogno. Un team di spie industriali specializzato nel furto di informazioni direttamente dalla mente dei derubati viene assoldato per compiere l'operazione inversa, invece di scoprire un pensiero nascosto dovranno inserirne uno nuovo nella mente di un giovane capitano d'industria, Robert Fischer (Cyllian Murphy: Ritorno a Cold Mountain, Batman Begins, Il cavaliere oscuro), inducendolo a smantellare il proprio impero economico. Per farlo dovranno calarsi nel profondo del subconscio di Robert inducendolo - nel sogno - a sognare ancora e ancora, scendendo sempre più nel profondo della sua mente.
Nell'intreccio si sovrappongono dunque i piani (un sogno dentro un sogno all'interno di un altro sogno), nel film chiamati non casualmente livelli
Nel team ognuno ha un proprio ruolo, Leonardo Di Caprio (Romeo+Juliet, Titanic, The Aviator, The Departed, Body of lies) interpreta il capo della banda, Dom Cobb, talentuoso ma tormentato dalla morte della moglie Mal (Marion Cotillard: Taxxi, Big Fish, Un'ottima annata, La vie en rose, Nemico pubblico) di cui si crede responsabile, e che compare puntualmente a tormentarlo in sogno. Arthur (Joseph Gordon-Levitt, Miracolo a Sant'Anna) è il solver, la mente organizzativa; Eames (Tom Hardy, Black Hawk down, Rocknrolla) è un falsario, cioè è in grado di assumere l'identità di altre persone all'interno del sogno. Infine Ariadne (Ellen Page, Juno) è l'architetto, cioè colei che deve curare l'ambientazione del sogno nei minimi particolari, nel film ogni livello di sogno è infatti contraddistinto da una diversa ambientazione. 

Gli effetti speciali ci sono e sono curati con grande professionalità (bellissima la città che si ripiega su se stessa, un po' troppo Matrix style la lotta in assenza di gravità)  ma non sono eccessivamente invadenti.
Ancora una volta nulla di particolare da segnalare sul versante costumi.
La trama, visto il tema trattato non è del tutto lineare però all’interno del sogno, o dei sogni – che pure alla vittima devono parere reali – i personaggi, anche se consapevoli di vivere un'illusione, si muovono esattamente come nella realtà, rispettando le medesime regole e (fortunatamente per la nostra capacità intellettiva) non sovrapponendo troppo i piani. A noi capita invece di vivere spesso nei sogni come verosimile qualcosa che non lo è affatto.  
Visto il tema ci sarebbe piaciuto veder osare qualcosa di più anche dal punto di vista delle scenografie, poco o nulla oniriche.
Fra gli interpreti si distinguono Marion Cotillard per l'ambiguità che regala al personaggio e Ellen Page, solo 23 anni e già un gigante della recitazione. Una breve apparizione del sempiterno ed elegantissimo Michael Caine (qui giustamente celebrato da una delle band anglosassoni più eleganti).

Un film così si ama o si odia e ci sono ragioni per sostenere ciascuna delle due opinioni, dal canto nostro, ancora una volta, lasciamo a voi l'ardua decisione.
Nolan, anche autore della sceneggiatura, usa il registro del kolossal per interrogarci sul rapporto fra realtà ed illusione: la realtà esiste in sé, o è reale solo la nostra percezione? Viviamo davvero ancorati alla realtà o non preferiamo forse architettarci un mondo di illusioni rassicuranti per fuggire al dolore, all'insoddisfazione di un mondo che non è fatto come noi lo vorremmo? L'illusione (o la realtà) che viviamo è la nostra o è quella preparata per noi da qualcun altro? Non ci paiono domande di poco conto e fra un inseguimento ed una sparatoria il film non risolve alcuna delle questioni che pone, e meno di tutte quella fondamentale: alla domanda di Ariadne su come si possa capire se quello che si sta vivendo è reale, Dom risponde che quando ci si trova in un sogno – a pensarci bene – non si sa con precisione dire com’è iniziato. Ma se così fosse, allora chi di noi può dire di ricordarsi come è iniziato il sogno che sta vivendo in questo momento?